Invece, ahinoi lettori di “Due vite”, rimarrà
la bonaccia, fino all’ultima pagina, fino alla fine.
Ho scritto “libro”
perché, in realtà, “Due vite” è un melanconico, emozionale e nostalgico diario
personale di un'amicizia tra tre scrittori di riconosciuto talento e di buon successo
letterario italico all’interno delle comunità di lettori sofisticati e
appassionati di letture ricercate, ma mai - come forse sognato sin dalla tenera
età dai tre protagonisti della storia - di grandi Best Seller che
avrebbero dovuto fare la storia della letteratura occidentale contemporanea. Un
racconto intimo che pur non descrivendo mai alcuna scena di cinici tradimenti o
di atti moralmente riprovevoli, costringe spesso il lettore a sperimentare una
sorta di imbarazzante voyeurismo
proprio perché le relazioni tra i tre protagonisti sono riservate, casalinghe,
private, di scarso interesse letterario perché radicate nella quotidianità di
tutti noi comuni mortali. Il sogno – che si respira sempre tra le righe della
lettura - dei tre attori del libro di diventare noti scrittori al grande
pubblico, rimarrà tale fino alla fine della storia narrata
perché, pur avendo tutti loro pubblicato con le più grandi e importanti case
editrici del loro tempo, pur avendo venduto decine di migliaia di copie dei
loro libri, pur avendo ricevuto lusinghiere e positive critiche letterarie
dalle più importanti riveste culturali e club letterari, il grande successo mediatico
e di vendite sperato con centinaia di migliaia di copie vendute, per nessuno di
loro arriverà mai... tranne che per la voce narrante di "Due vite"
perché vincitore del Premio Strega 2021 che - è ovvio per tutti ed è banale
anche scriverlo qui! - indipendentemente dal libro e dall'autore che l'ha
scritto vende sempre, ogni anno, dal giorno successivo alla proclamazione, centinaia
di migliaia di copie, se non, milioni di copie! Non c'è, infatti, alcun dubbio
che il "Premio Strega" sia oggi il Brand editoriale che
in Italia, e solo per l'Italia, garantisca al titolo che lo vince una vendita
di copie che nessuna operazione di marketing, comunicazione e pubblicità
potrebbe mai, onestamente, garantire.
Così come non v'è dubbio alcuno che tutti i
vincitori dagli anni Novanta ai giorni nostri dello Strega - tranne un paio di
casi già molto noti al grande pubblico dei lettori italiani prima di vincere il
più importante e noto premio letterario italiano - dopo pochi mesi dalla
vittoria, cadono nell'oblio letterario più assoluto del grande pubblico, esattamente
come i Jalisse che vinsero il Festival di Sanremo del 1997.
Non credo che potrei aggiungere altro su
questo libro... anzi sì, scusate, a dire il vero sì… due cose:
La prima: La
bonaccia, ad un certo punto del libro, dalla pagina 92, sembra prossima alla
fine con l’inizio del racconto di un fatto che sospetta la regia della ‘ndrangheta
nella prematura morte di Rocco: «Molto spesso,
negli ultimi tempi, Rocco mi aveva parlato di una specie di inchiesta che gli
era venuta in mente per un racconto o un reportage su Cosoleto. Nel paesino
dell’Aspromonte, infatti, stando a quello che mi raccontava, si era registrato
un picco inedito di morti per tumori. (…) Non so, ma la spiegazione di Rocco
era terribile: l’Aspromonte è una zona rinomata per lo smaltimento clandestino
di rifiuti tossici, una delle specialità della malavita locale. (…) Fatto sta
che mi ero messo in testa (…) che Rocco avesse cominciato a fare domande inopportune
e pericolose. E le strane circostanze di quello scontro mortale con una
macchina parcheggiata suggerivano la presenza di un mistero e nello stesso
momento l’assoluta impossibilità del suo scioglimento. In certe ore oscure di
quella strana insonnia generata dalla paura del sonno, mi appariva come una
certezza l’idea che Rocco fosse stato ucciso.»
(pp. 92-94). Ma tutto finisce qui, troncato, come l’ingresso nella scena
narrativa e la subitanea morte accidentale di Elpenore nell’Odissea di Omero: puro
nonsense! (cfr. p. 78).
La seconda: Al
momento dell’acquisto in libreria, lessi, sulla quarta di copertina, le
citazioni estratte dalle recensioni entusiaste di Sandra Petrignani, Marco
Missiroli, Concita De Gregorio e Luca Mastrantonio (che riporto a seguire), che
ebbero a convincermi ulteriormente del buon acquisto appena fatto. Lessi a
seguire quelle di Lisa Ginzburg, Cristina Taglietti e Massimo Raffelli, che
invece trovai pacate, misurate, descrittive, sagge e, per certi versi, di
dovere giornalistico, prive dell’entusiasmo delle prime. Qui, allora, il dubbio
mi assalì inesorabile e mi spinse ancor di più a voler leggere il libro prima
possibile!
Adesso, dopo aver terminato di leggere "Due
vite", mi piacerebbe chiedere ai primi - se li conoscessi di persona! –
quali sono i passi del libro dai quali hanno tratto queste valutazioni perché
possa leggerle e rileggerle per capire anch’io le stupefacenti emozioni
recensite. Sono perfettamente consapevole – e lo scrivo sempre per evitare
equivoci e fraintendimenti di qualsivoglia natura! – che non
sono uno scrittore, non sono un esperto di letteratura contemporanea, non sono
un critico letterario, e quindi la mia opinione è quella di “uno vale uno”,
ovvero nulla! Ma mi piacerebbe capire e approfondire questa questione
letteraria dalla mia prospettiva di lettore dilettante ed al contempo di ignorante
plebeo siciliano!
FINE!
Andrea Giostra
Vedi su Ray Play dal minuto 00:38:00 al minuto
00:47:30, l’intervista a Emanuele Trevi di Geppi Cucciari, conduttrice della serata
di premiazione del Premio Strega 2021:
https://www.raiplay.it/programmi/premiostrega
Stralci delle recensioni citate, dalla
quarta di copertina di Due vite:
«Questo di Trevi è un libro pervaso dalla luce
dell’amicizia, della forza quieta e granitica del suo sentimento». Lisa
Ginzburg, Avvenire.
«Una “autobiografia per interposta persona” in
cui la letteratura, l’amicizia, la vita, vengono intrecciate da una scrittura
limpida e lucida» Cristina Taglietti, Sette.
«La capacità di stenografare in pochi segni un
destino e di tracciare d’acchito una parabola esistenziale si confermano tratti
elettivi della scrittura di Trevi, anche nei momenti di pathos e di nera
malinconia che si accampano in Due vite». Massimo Raffeli, il
manifesto.
«In Due vite si avverte la forza di un
racconto che probabilmente da anni premeva nelle intenzioni e sul cuore, e che
cuore e intelletto abbiano trovato la strada di pagine talmente essenziali e
vere da lasciare i lettori a lungo senza fiato, commossi, coinvolti, perturbati».
Sandra Petrignani, Il Foglio.
«Uno dei libri che ho amato di più in questi
ultimi anni». Marco Missiroli
«Un libro che in queste settimane ho
desiderato imparare a memoria, incorporare le parole come fossero mie». Concita
De Gregorio, D, La Repubblica.
«Queste Due vite è un gioiello di
disvelamenti psicologici, sul sadismo e sul masochismo degli affetti,
sull’influenza del ceto familiare nei destini individuali e su volersi bene
come cura e condanna. E unico è oramai lo stile di Trevi, di prosa d’arte
umanissima, quasi prosa d’anima». Luca Mastrantonio, Sette.
Post scriptum:
P.S. Punto uno:
Da quando è andato in pensione il mio ex
professore d’università, Girolamo Lo Verso, già titolare della cattedra
di Psicologia clinica, una delle materie più ostiche e complesse del corso di
laurea in Psicologia, capita ogni tanto che ci ritroviamo per un caffè al bar
sotto casa sua, nel centro di Palermo, per discutere di letture, libri, letteratura.
Il Prof. Lo Verso è uno dei più grandi lettori seriali e voraci che io abbia
mai conosciuto, ha letto e riletto tutto degli autori siciliani più importanti
della storia della letteratura siciliana, ha una conoscenza della letteratura
occidentale che pochi posseggono, è stato amico personale di molti dei più
grandi scrittori siciliani della seconda metà del Novecento, noti al grande
pubblico, ha coltivato intime amicizie con le più grandi e significative personalità
della mia città, Palermo. Ha scritto e pubblicato centinaia di articoli, saggi,
testi universitari, libri scientifici del suo ampio campo di studi che spazia
tra la psicologia clinica, la psicoterapia, l’epistemologia, le scienze
psichiatriche e psicologiche. Una delle cose che mi disse durante una delle
nostre chiacchiere recenti, che mi colpì e che mi rimase impressa, fu questa,
che riporto a memoria: «Io ho scritto centinaia tra libri e
articoli scientifici. Ho scritto pure dei racconti, piccoli romanzi. Quello che
so di certo e che ho capito, è che non ho il dono di scrivere letteratura.
Scrivere saggi, libri universitari, testi scientifici è un’altra cosa. Scrivere
letteratura è qualcosa che pochi sanno fare. Ne sono consapevole». Scrivere
e pubblicare un “libro” è una cosa, scrivere Letteratura è
tutt’altra cosa. Non potei che essere d’accordo con la sua riflessione. La
penso allo stesso identico modo. E allora occorrerebbe che chi si cimenta ed ha
la rispettabile ambizione di scrivere un romanzo che volesse essere “Letteratura”
– e anche questa a seguire è una cosa che chiacchierando ci siamo detti tra le
righe – dovrebbe almeno leggere, capire e studiare la struttura, la
composizione, la narrativa, delle opere che riporto a seguire. E dovrebbe farlo
perché sono opere che danno una “misura” oggettiva, un “metro”,
seppur Occidentale, di cos’è la Letteratura, ed essere così in grado di
distinguerla da tutto il resto che evidentemente “è altro”. E allora –
penso che il Prof. Lo Verso condivida! - se dovessi dare un consiglio ad un/a
ragazzo/a, ad un/a adolescente con la passione per la scrittura e per l’arte
dello scrivere, che volesse essere riconosciuto/a come “scrittore”, che
volesse scrivere e pubblicare “romanzi” di qualità, direi di leggere,
capire e studiare le opere che elenco in ordine cronologico a seguire:
- Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo
perduto”, 1913
- James Joyce, “Ulisse”, 1920
- Rober Musil, “L’uomo senza qualità”,
1943
- Stefano D’Arrigo, “Horcynus Orca”,
1975.
Chi, pur scrivendo, pur essendo “scrittore”,
ovvero, pur auto-definendosi “uno scrittore” – ma anche tutti i critici
letterari, i book blogger di professione, gli esperti di letteratura
occidentale, tutti coloro che per professione scrivono di letteratura - non
l’avesse ancora fatto, dovrebbe farlo e sperimenterebbe una sorta di “Sindrome
di Stendhal letteraria” e, dopo questo studio-lettura, capirebbe da sé
il confine tra la “Letteratura” e lo “Scrivere”, e avrebbe
coscienza della qualità letteraria di quello che scrive e ha scritto.
P.S. Punto due:
Dal profilo Facebook di Gian Paolo Serino
del 23 agosto 2021, ore 16:07, sulla “Scrittura” che diventa arte del
linguaggio alternativo, e per quello non compreso da molti critici letterari
contemporanei:
#ControCultura Il Giornale. «Ho molto amato l'intervista di Alessandro Gnocchi ieri sul supplemento
culturale a Emanuele Trevi vincitore del Premio Strega con lo stupendo "Due
vite". Dopo aver letto l'intervista ho fatto due pensieri, ed è quando
nascono i pensieri che una intervista funziona. Una sul cambiamento della
letteratura italiana e un'altra su Philip Dick che Trevi cita alla fine come
autore che "non scriveva bene". (…) Non è vero che Dick scrive male:
Dick non racconta di persone ma ciò che sente. (…) Nell’intervista in chiusura
Trevi parla di Philip Dick – del quale è curatore dell’opera completa per
Mondadori- e in un passaggio sottolinea che Philip Dick non scriveva bene. Ecco su questo non sono d’accordo: troppo si è
favoleggiato sullo scrittore americano autore di “Blade Runner” come scrittore
dallo stile sciatto. E qui mi ricollego a Trevi: Dick non racconta persone, ma
ciò che sente. L’intera narrativa di Philip K. Dick è leggibile anche come una
continua riformulazione della valore del linguaggio e verso un suo uso sperimentale
o alternativo. Ed è la radicalità del suo rifiuto nei confronti delle strutture
del reale che lo porta a ridefinire i rapporti esistenti tra le parole che esse
creano. I tentativi di rompere il contratto tra la parola e il mondo. «Io sono un filosofo-narratore, non un romanziere; utilizzo la mia
abilità di scrittore di romanzi e racconti come mezzo per dare formulazione al
mio sentire. Al centro dei miei scritti non è l’arte, bensì la verità. Quindi,
io dico la verità, e non posso far nulla per attenuarla con azioni o
spiegazioni», ha confessato al
suo biografo Lawrence Sutin. La cifra espressiva della sua scrittura è nella
costruzione e nell’ottimizzazione degli scarti tra la vita e le opere, in un
uso fortissimo dell’intertestualità. Infatti Dick non si è limitato a rimettere
in forma in modo nuovo frammenti di testo che appartengono a generi e linguaggi
differenti: il discorso teologico, il discorso filosofico, il discorso
psicologico, il discorso sociologico, ma ci ha messo dentro la sua vita.»
P.S. Punto tre:
Cosa è un “Diario” personale e
cosa è un “Romanzo”. È il dubbio che m’è venuto dopo aver
terminato di leggere “Due vite”. Allora, come sempre faccio quando ho
dubbi di questa natura, ho chiesto al mio fidatissimo consulente, Treccani,
che così mi risponde:
dïàrio – 1. a. Forma elementare di storia in cui gli
avvenimenti sono registrati giorno per giorno: per es., i Diarî, in 58 volumi, del cronista veneziano Marin
Sanudo (1466-1536). b. Nell’uso com.,
quaderno o sim. nel quale si annotano e si commentano giorno per giorno gli
avvenimenti che si ritengono più importanti, e spec., se a carattere personale,
le proprie vicende intellettuali e sentimentali, si esprimono pensieri,
osservazioni e spesso confessioni intime e segrete; le annotazioni stesse che
si fanno: diario di viaggio; il d. di una spedizione scientifica;
scrivere nel d.; tenere un d.; pubblicare il d. di uno statista, di un poeta, ecc. Anche, titolo di opere a stampa che
riproducono il contenuto del diario di uno scrittore, di un artista, di un uomo
politico, ecc.: il «Diario
intimo» di N. Tommaseo.
romanzo - Alle origini delle
moderne letterature europee, ampio scritto in lingua volgare, dapprima in versi
poi anche in prosa, che narra avventure eroiche in margine alla storia o di pura
invenzione; così nel r. cavalleresco e nel r. cortese, anch’esso del tipo cavalleresco, ma con prevalenza
del tema amoroso.
Nell’uso moderno, componimento
letterario in prosa, evoluzione della forma precedente, che si diffonde dalla metà
circa del 16° sec. e si afferma nella letteratura europea a cominciare dal 17° sec.,
raggiungendo il suo maggiore sviluppo e le più varie articolazioni nel 19° sec.:
narrazione di vicende familiari o di un singolo individuo, su uno sfondo storico
o di fantasia. Per lo più di media estensione, può assumere talvolta le dimensioni
e i caratteri di un racconto più o meno lungo (r. breve);
o essere invece assai ampio e dare la narrazione continua delle vicende di un ambiente,
di una famiglia, o addirittura di più generazioni (r. fiume;
r. ciclico). I tipi di r. sono distinti e denominati
in rapporto ai temi dominanti, allo stile, alla struttura ecc.
Per estensione si dà
il nome di r. a opere letterarie antiche di carattere narrativo, destinate come
il r. vero e proprio a dilettare il lettore: in questo senso si parla di r. greco
o di r. indiano, orientale ecc.
Il libro:
Emanuele Trevi, “Due vite”, Neri Pozza
ed., Vicenza, 2021
https://neripozza.it/libri/due-vite
Emanuele Trevi:
https://neripozza.it/autori/emanuele-trevi
https://premiostrega.it/PS/autori/#emanuele-trevi-3
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Leggi anche qui:
“Cronaca di una tragedia” o “Letteratura contemporanea”? Cos’è “Il pane perduto” di
Edith Bruck? | di Andrea Giostra
https://www.fattitaliani.it/2021/09/edith-bruck-cronaca-di-una-tragedia-o.html
“Quando cadono le stelle” di Gian Paolo Serino | Spunti e associazioni per
discorrere di letteratura e omogeneizzati | di Andrea Giostra
https://www.fattitaliani.it/2021/07/quando-cadono-le-stelle-di-gian-paolo.html
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg