di Andrea Giostra - Sono anni che non scrivo recensioni di libri. Non perché non ne legga, ne leggo sempre tanti, anzi, a dire il vero, inizio a leggerne tanti, le prime dieci, venti pagine, qualche volta arrivo anche a trenta pagine… ma poi desisto, mollo, non riesco ad andare avanti, li chiudo per non riaprirli mai più. Negli ultimi anni mi succede sempre più spesso, allora mi rifugio nei mie autori preferiti che leggo e rileggo da sempre, Sciascia, Bufalino, Pirandello, Verga, Capuana, Philip Roth, Dostoevskij, Anaïs Nin, Proust, Bukowski, Schnitzler… e altri ancora. Tengo alcuni dei loro libri disposti in pile nelle mie due scrivanie di lavoro, quella dello studio di città, Palermo, e quella dello studio della villetta dei miei genitori, arroccata in una delle colline di Montelepre che abbraccia il golfo sul Tirreno in lontananza. Qui, a mille passi dal pizzo della collina di Montedoro dove si erge timida la piccola e cubica cappella dedicata alla Santa Croce fatta di mattoni di tufo colorato di un rosso svampito, passo quasi tutti i miei fine settimana. Mi capita spesso di sentire il bisogno primario di leggere qualcosa che sappia nutrirmi, e questi autori ci riescono sempre, con una facilità disarmante. Basta che rilegga una decina di pagine di uno a caso di questi libri, e il mio cervello sembra rigenerarsi, vive, ritorna capace di nuove associazioni, di nuove idee, di nuove parole da pensare e da scrivere… e tutto mi ritorna da una prospettiva che è frutto di quella lettura, letta e riletta decine di volte, che mi apre nuovi orizzonti letterari e mi fa capire, ancora di più, cosa è “letteratura” e cosa invece “non lo è”! I miei autori (certamene ce ne sono tantissimi altri che non ho citato, ed altri centinaia e centinaia che non ho mai letto! Ma qui discorro di quelli che ho letto, leggo e conosco...) mi segnano la via che indica cosa è “letteratura” e cosa “non lo è”. È questo quello che amo quando li (ri)leggo, e questo che mi dà vitalità letteraria quando parola dopo parola sminuzzo le loro frasi, i loro periodi, le loro composizioni fatte di parole, di spazi, di una punteggiatura che sta dove deve stare… e cerco di capire la magia che quella combinazione di parole sa innescare nella mia mente rendendola libera e prigioniera al contempo di quell’arte letteraria.
Non è mai la storia quello che mi affascina in un romanzo, in un
racconto, in una novella o in una narrazione qualsiasi. Di storie, nella vita
reale, ne ho viste, sentite e vissute tantissime, migliaia, tutte uniche,
originali, interessanti, drammatiche, gioiose, dolorose, passionali, tragiche,
comiche… potrei scriverci mille romanzi se sapessi farlo e se avessi mille anni
di vita! Ma non è quello, infatti, il punto: la storia! Il cuore di un racconto
è “come” viene raccontato, non “cosa” viene raccontato! La dico
utilizzando le parole di Bukowski, per essere più chiaro: «Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di
cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono
preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una
scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.»
(Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles
Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.).
“O
funzionano o non funzionano”! Questo è e deve essere (dalla mia plebea prospettiva
di lettore che vuole assaporare lentamente quello che legge!) il cuore vero e
pulsante di una storia scritta perché possa essere definita letteratura! Se non
funziona, se non è in grado di creare magicamente emozioni, non è letteratura, “è
altro”.
“ll mio Io lettore”, del quale sto scrivendo in queste poche
righe, utilizza, da sempre, le “raccomandazioni” che Vladimir Nabokov non si
stancava mai di fare ai suoi studenti del corso di Letteratura Russa al
Wellesley College prima, e alla Cornell University successivamente, dove
insegnò per oltre vent’anni. «Lasciate che vi dia un suggerimento pratico:
la letteratura, la vera letteratura, non dev’essere ingurgitata come una sorta
di pozione che può far bene al cuore o al cervello – il cervello, lo stomaco
dell’anima. La letteratura dev’essere presa e fatta a pezzetti, sminuzzata,
schiacciata – allora il suo squisito aroma lo si potrà fiutare nell’incavo del
palmo della mano, la potrete sgranocchiare e rollare sulla lingua con gusto;
allora, e solo allora, il suo sapore raro sarà apprezzato per il suo autentico
calore e le parti spezzate e schiacciate si ricomporranno nella vostra mente e
schiuderanno la bellezza di un’unità alla quale voi avrete dato qualcosa del
vostro stesso sangue» (Vladimir Nabokov, “Lezioni di letteratura russa”,
Adelphi ed., Milano, 2021). Per questo mi capita spesso di rileggere i romanzi
degli autori che amo. Sminuzzo le frasi, sottolineo le parole, digeriscono le
composizioni letterarie una, due, dieci volte, poi dopo qualche mese ne rileggo
qualche pagina, e continuo così, alternando i “nuovi” autori, perché in fondo
sono uno sperimentatore e un pioniere di scrittori che non conosco, per
tornare, il più delle volte, sconfitto, rassegnato ai miei “maestri”.
Insomma, non sono e non riesco mai ad essere un lettore che ingurgita romanzi
come un “tubo digerente” che ingoia, rendendola fertile, terra argillosa
o calcarea, invece che le fertili terre delle colline della Conca d’Oro
siciliana dove ad ogni seme gettato è certo che quella natura regalerà un
germoglio vitale.
Ma perché tutta questa manfrina se devo scrivere del libro di Gian
Paolo Serino?
A dire il vero non lo so neanche io, adesso che ci penso. Quello
che so di certo è che leggendo il suo libro, “Quando cadono le stelle”,
ho pensato a tutte queste cose che ho scritto e ad altre ancora che non posso
scrivere perché sarebbero davvero noiose per il lettore che dovesse leggere
queste poche righe, e rischierei di sentirlo chiudere questo link per non
riaprirlo mai più!
Gian Paolo Serino fino a poche settimane fa non sapevo nemmeno
chi fosse. Per caso mi sono imbattuto in un suo articolo pubblicato il primo
maggio di quest’anno sul Blog di Nicola Porro, nel quale scriveva di una certa signora
sarda vincitrice di premi letterari nazionali importanti, che si atteggia a
scrittrice colta, tuttologa affermata di talk show televisivi “allineati e
coperti” alle politiche mediocratiche e omogeneizzanti delle lobby che
detengono, senza opposizione alcuna, il potere culturale del nostro Paese. Una
signora che eccelle (dal mio plebeo punto di vista!) esclusivamente in una
formidabile mediocrità tanto che – e scusatemi l’associazione letteraria! –
possiede i tratti culturali e intellettuali che magistralmente delinea il
filosofo franco-canadese Alain Deneault in un suo superbo e assai attuale
saggio: «Si spiega così
come mai nessuna figura alla Nietzsche spunti oggi a denunciare il popolino
“mediocre” che cerca di consolidare la sua posizione alla media e giusta
distanza da ogni cosa. Questa accezione della mediocrazia non è più in uso. Se
si accendesse, alcuni sociologi legittimisti si affretterebbero a relegare l’altezzoso
personaggio entro i confini di “uomo del risentimento”, intellettuale in
soprannumero delle istituzioni scolastiche, potenziale teorico del complotto,
lui stesso un “mediocre” che ritorce l’odio verso sé stesso contro l’intera
società. Perché la mancanza di vitalità e spirito battagliero attribuita a
questo popolo zoppicante oggi è non tanto l’oggetto di una critica quanto di
un’ingiunzione: i poteri costituiti non deplorano i comportamenti mediocri, li
rendono inevitabili. Si afferma sempre di più un nuovo genere di mediocrazia.
La parola non indica più un insieme di intellettuali autonomi e di bottegai
complessati che si cimentano alacremente con le abilità e le arti un tempo
riservate all’élite, così come i membri di quest’ultima se li rappresentavano
nel XIX Secolo. Oggi il termine “mediocrazia” designa piuttosto standard
professionali, protocolli di ricerca, processi di verifica e calibrature
metodologiche attraverso i quali le organizzazioni dominanti si accertano di
rendere intercambiabili i propri subalterni. La mediocrazia è l’ordine in
funzione del quale i mestieri cedono il posto ad una serie di funzioni, le
pratiche a precise tecniche, la competenza all’esecuzione pura e semplice.» (Alain Deneault,
“La mediocrazia”, Neri Pozza ed., 2017, pp.27-28). Ecco, la signora
sarda è proprio l’individuo che descrive, con maestria e con una magica
composizione di parole, Alain Deneault.
Fu a quel punto che Gian Piero Serino mi incuriosì.
Quello che ebbe a scrivere sulla signora sarda, era molto molto vicino a quello
che pensavo io sulla stessa signora, e, per certi versi, a quello che avevo già
scritto, sopraffatto da un irresistibile, quando inopportuno, impulso di dire
la mia sull’affermata tuttologa sarda quando la stessa ebbe a denigrare cinicamente,
per vana gloria mediatica e per qualche migliaio di like in più sul suo canale
YouTube, uno dei più grandi geni siciliani del Novecento. Ma questa ovviamente
è un’altra storia che qui non ci interessa!
Vedete perché non scrivo più recensioni da anni?
Perché poi me ne vado per i cazzi miei e perdo tutti i lettori che, magari, con
ingenua curiosità hanno iniziato a leggere quello che scrivo! Va bè! Speriamo
solo che adesso non accada!
Dicevo di Gian Paolo Serino.
La lettura del suo articolo mi piacque, la condivisi e voli saperne di più su di lui.
Ebbene, dopo pochi minuti su Google scoprii che era
giornalista, saggista, scrittore e, dulcis in fundo, il critico
letterario più temuto del nostro paese! Uno dei pochissimi veri intellettuali,
“sopravvissuto” alla mediocrazia e alla omogeneizzazione di massa, scampato ai
salotti letterari buoni dell’élite culturale del
nostro paese, la stessa élite culturale che quale mission prioritaria ha
esclusivamente la omologazione di matrice “Johnathan Evans Prichard”, ricordate
il film “L’attimo fuggente”? Sì... Sì... proprio quella matrice… Sono
loro, gli inconsapevoli seguaci contemporanei del Professor emerito Johnathan
Evans Prichard che per comprendere la letteratura e la poesia imponeva una
rigida e insindacabile griglia di misurazione: «Per comprendere appieno la
poesia, dobbiamo, innanzitutto, conoscere la metrica, la rima e le figure
retoriche e, poi porci due domande: uno con quanta efficacia sia stato il fine
poetico e due, quanto sia importante tale fine. La prima domanda valuta la
forma di una poesia, la seconda ne valuta l’importanza. Una volta risposto a
queste domande, determinare la grandezza di una poesia, diventa una questione
relativamente semplice. Se segniamo la perfezione di una poesia sull’asse
orizzontale di un grafico e la sua importanza su quello verticale, sarà
sufficiente calcolare l’area totale della poesia per misurarne la grandezza. Un
sonetto di Byron può avere valori alti in verticale, ma soltanto medi in
orizzontale, un sonetto di Shakespeare avrà, d’altro canto, valori molto alti
in orizzontale e in verticale con un’imponente area totale, che, di
conseguenza, ne rivela l’autentica grandezza. Procedendo nella lettura di
questo libro, esercitatevi in tale metodo di valutazione, crescendo così la
vostra capacità di valutare la poesia, aumenterà il vostro godimento e la
comprensione della poesia”.»
Ecco, vedete? Mi perdo sempre… vado da un’altra
parte! “Sei uscito fuori tema” mi avrebbe certamente rimproverato con
voce stridula la mia professoressa di lettere del liceo che ogni volta non
perdeva occasione per gioire con soddisfazione degli insuccessi dei suoi
studenti! Ma anche questa è un’altra storia… Scusate…
Dicevo… scopro allora con grande piacere che Gian
Piero Serino è un vero intellettuale che scrive quello che pensa e che se deve
mandare a fanculo un VIP o un miliardario… che ne so?, faccio solo un esempio a
caso… il grande Vasco nazionale… lo fa senza pensaci un attimo!
E anche questo mi piacque assai! Anche perché io,
nel mio piccolo piccolo, sono proprio così! Di gente che ho mandato a fanculo
negli ultimi trent’anni si può riempire San Siro! Ma anche questa è un’altra
storia!
Decisi allora di acquistare il suo primo romanzo, “Quando
cadono le stelle”, e irredimibilmente curioso iniziai a leggerlo venerdì
scorso (16 luglio 2021). L’ho iniziato ieri e oggi (sabato 17 luglio) l’ho
terminato! Letto quasi d’un fiato! Non mi accadeva da decenni con un autore
contemporaneo a me sconosciuto! E me ne sono reso conto adesso, solo dopo aver
terminato, averlo chiuso, e averlo poggiato al vertice della pila di libri che
ho sulla mia scrivania dello studio di Montedoro… sì, la pila di libri, quella
che dicevo prima, quella dei miei maestri di lettura che rileggo periodicamente
per nutrire di letteratura il lettore che è in me.
Questo dovrebbe bastare per costringervi – se siete
arrivati a questo punto della lettura! - a comprare e leggere “Quando cadono
le stelle”.
Ma voglio scrive solo altre due righe, anche perché
non potrei scriverne di più. Non sono uno scrittore, non sono un esperto di
letteratura contemporanea, non sono un critico letterario, e quindi la mia
opinione è quella di “uno vale uno”, ovvero nulla! Ma tant’è!
La scrittura del Romanzo di Serino è snella,
veloce, ritmata, armonica, musicale. Lo scarso uso di aggettivi qualificativi
la rende altruista, rispettosa del lettore che si vede costretto ad
immedesimarsi nei tanti protagonisti che affollano il romanzo con eleganza,
grazia, stile, personalità, pathos, estraneamenti, solitudini, fragilità, innocenza,
dolori nascosti abilmente dietro le stesse maschere di pirandelliana memoria.
Le descrizioni delle azioni quotidiane che compiono i protagonisti sono
puntuali, attente ai dettagli, si succedono repentine nella narrazione intrecciandone
i contorni e le emozioni del lettore, dell’un protagonista sull’altra, del
primo sul successivo, dei tanti attori di un Romanzo che, con scarse
possibilità di essere smentito, definisco con una sola parola: brillante. Gli
intrecci e il susseguirsi delle varie storie è intrigante, genera inarrestabile
curiosità di quanto ha da accadere nel paragrafo successivo, nella pagina
successiva, nel capitolo successivo... E sei spinto impetuoso a leggere
velocemente e al contempo ti costringi a leggere lentamente per gustare e
assaporare la composizione delle frasi e delle immagini che sanno innescare.
Insomma, non serve scrivere altro! Sarebbe sterile retorica o piacioneria… e
questo libro non ne ha certo bisogno!
Se c’è una cosa che posso dire e che posso scrivere
con certezza su “Quando cadono le stelle”, è che in questo Romanzo troverete
vera letteratura contemporanea!
Lo so che il mio “giudizio” è di uno di
quelli che “uno vale uno”, ovvero nulla, l’ho detto io! Ma dovreste
sperimentarlo per credere e poi, dopo aver letto il romanzo, scrivermi la
vostra. Se doveste rimanere delusi, bè! sarebbe un vero problema per me perché
non saprei come rimborsarvi del tempo e del danaro speso. Ma dovrete motivare
la vostra delusione letteraria! E questo, vi posso assicurare, sarebbe una
bella e difficile impresa nella quale sareste costretti alla resa, ovvero, alla
fuga! Per cui mi sento molto tranquillo.
Se invece amate leggere gli omogeneizzati degli
autori (o presunti tali!) che scrivono di commissari, commissarie, ispettori,
ispettrici, procuratori, procuratrici, investigatori, investigatrici, poliziotti,
poliziotte, avvocati, avvocatesse, ad libitum… nei quali romanzi ed
autori è possibile intercambiare i primi con i secondi senza che nessuno
sarebbe mai in grado di riconoscere l’origine dell’uno e dell’altro, allora
lasciate perdere, questo non è un Romanzo per voi!
Detto questo, vi ringrazio se siete arrivati a
leggere fin qui, vi ringrazio per la vostra attenzione e vi auguro buone
letture!
SINOSSI:
«Un attore famoso, alcolizzato e depresso in
privato ma simbolo del «sogno americano» in pubblico, riceve una notizia
personale che gli cambierà la vita per sempre.
Il più grande artista del mondo, durante l’occupazione
nazista, rende immortale la figlia della donna di servizio di un hotel su una
spiaggia di Juan-les-Pins, in Francia.
Un giovane scrittore newyorchese s’innamora
della figlia di un Premio Nobel per la letteratura. Questa relazione lo
sconvolgerà a tal punto da pubblicare uno dei libri più venduti al mondo.
Un anonimo funzionario di una compagnia di
assicurazioni si occupa di sicurezza sul lavoro. Conosce una cameriera in un
bordello nel ventre nero di Praga e, grazie a lei, troverà il suo modo per
salvare l’umanità.
Arrivato alla fine della sua vita, uno dei più
grandi scrittori del Novecento si suicida con la canna di un fucile in bocca,
mentre una ragazza vitale, chiassosa e ribelle alle regole rigide della sua
famiglia, negli anni Quaranta viene sottoposta per volere del padre a un
intervento di lobotomia frontale.
Un romanzo corale che ci racconta i luoghi
oscuri di quella società dello spettacolo diventata un incredibile e
pirotecnico “Grande Show”.»
Gian Paolo Serino:
https://www.facebook.com/profile.php?id=652563783
https://www.instagram.com/gian_paolo_serino/
Il libro:
Gian Paolo Serino, “Quando cadono
le stelle”, Baldini & Castoldi ed., Milano, 2016
https://www.baldinicastoldi.it/libri/quando-cadono-le-stelle/
La rivista di
critica letteraria “Satisfiction”:
https://www.facebook.com/satisfictioneu
I libri di Gian
Paolo Serino pubblicati da Baldini+Castoldi ed.:
https://www.baldinicastoldi.it/autori/serino-gian-paolo/
Intervista a Gian
Paolo Serino da Giusy Randazzo per “REAL TEAM TV libri” (14 ottobre 2019):
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/
https://andreagiostrafilm.blogspot.it
https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg