In Scrigni di sale (Maurizio Vietri Editore, Enna 2020, € 16,00), il romanzo d'esordio di Aurora Cacciatore (intervista di Fattitaliani), c'è un unico corpo a corpo mozzafiato, modulato su diversi registri: la speranza contro se stessa, il tempo contro la memoria, il desiderio a fronte della morte, la tenerezza dell'amicizia verso la solitudine disperata, «il ventre arido» sul sorgere della vita…
A vivere le relazioni e i
sentimenti, dove non si dà spazio per le zone grigie del compromesso e delle
mezze misure, le vere anime del romanzo: Irene, Sophie, Leonardo, Yuri, Emma,
Livio, Sandro, Wanda, Paolo… con le quali, al netto di naturali propensioni
verso l'insensibilità, si stabilisce fin da subito un rapporto empatico, ed è
ciò che inchioda, costringendo a leggere l'opera senza alcuna soluzione di
continuità. È davvero risulta fine l'introspezione nel loro animo. Nondimeno celata,
quasi in filigrana, permane la lotta dell'anima: in un «perché» di
interrogazione e in un «perché» urlo e atto di citazione di Dio. Ricordate
Giobbe? Al dolore, al limite della comunicabilità di Irene, fa da controcanto
l'esuberanza estrosa e travolgente di Sophie. La saggezza, atavicamente
contadina di Paolo, si compone con la visionarietà profetica di Dora. La bontà
disarmante di Leonardo vince sulla condanna di sé di Livio. Non meno tragiche e
drammatiche le vite di Ludovico, Camillo, Cristiano, Vito…
L'Autrice tocca un vertice di commovente
bellezza nel comunicare il miracolo dell'amore, che nonostante tutto continua a
umanizzare. Sandro, col suo fascio di rose non riesce a proferir parola, nella
sua composta eleganza è immobile: si dà a vedere, e solo Wanda ne penetra lo
sguardo, e lo sguardo si fa gesto, visione, centro e orizzonte: «in uno slancio
-Sandro- prese la mano delicata della ragazza e baciandola, se la strinse al
cuore, mentre quella voce che prima supplicava, si rivestì di struggente
tenerezza…». Cosi come rinveniamo un altro focus in un'esclamazione: «C'è
ancora tempo», che se ben colta costituisce una non secondaria chiave d'accesso
agli scrigni che il romanzo racchiude. L'autrice non sottrae i protagonisti, e
in definitiva se stessa, al confronto serrato con il tempo e ne rivela dalla
sua concezione il rapporto che questi intrattiene con la morte e con la storia.
Come il fachiro sembra ci si
muova continuamente su cocci e punte acuminate o, se si preferisce su cumuli
fumanti di macerie. Su questa visione, che in qualche modo richiama la nona
tesi sulla storia di Walter Benjamin, si ergono il piccolo Ninni e il
"cucciolo" di Wanda, Donato. Sono loro il vento che viene dal
Paradiso, che nonostante le ali dell'angelo della morte, fin troppo
corteggiata, spazzano le macerie dei sogni reificati, delle speranze deluse,
delle occasioni mancate, delle visioni squarciate e della bellezza infranta: «…
qualcosa di nuovo accadeva sotto i loro occhi. Irene sorrise all'amica e il suo
sorriso non aveva pieghe».
Fòcaccia