È vero, i contesti mutano nel tempo, anche per Montecassino: i monaci, per esempio, scendono di numero anno dopo anno e tale realtà è motivo di labilità nella esistenza dell’abbazia: al di sotto di un certo numero, dodici mi pare, si innestano frangenti delicati che possono portare anche alla chiusura del Monastero, come è accaduto recentemente alla Certosa di Trisulti e ad altri cenobi in Italia. Per altri monasteri il contesto è meno delicato in quanto ora avviene che le vocazioni aumentino in Africa e Bangladesh e nei paesi dell’Est, per uomini e donne, e quindi vi è un sensibile ricambio e intervento, come si vede in giro. Ma per i benedettini tali presenze non sono previste perché, secondo la Regola di San Benedetto, tutto deve sgorgare e originare dalla comunità.
Montecassino
è un unicum nella storia della chiesa ma è, ancora di più, un unicum nell’Occidente
e suo primo e primario patrimonio. In
questi ultimi decenni, pur sotto il
peso di certe realtà, i santi e capaci abati hanno trovato intelligentemente il
modo di sopravvivere e di consolidare la immagine. In questi ultimi anni, al contrario, papa Ratzinger e
papa Francesco, invece di favorire e sopperire, hanno apportato mutamenti e
trasformazioni così radicali e clamorosi nella vita di Montecassino tanto che la sua fisionomia secolare ne è stata
sconvolta e scompaginata: l’abate Bernardo, segretario
e abate per quarantanni, trasferito d’imperio a vescovo di Gaeta, a essere uno di
mille, come mai successo nella vita del monastero; successivamente o a
seguito delle vicende personali dell’ultimo abate è stata ottenuta, anche ora
d’imperio, la soppressione immediata della Diocesi e in ultimo, anche
d’imperio, chiamato a fungere da abate un benedettino da altro monastero. In
merito a tali provvedimenti letteralmente rivoluzionari emessi dall’alta
gerarchia vaticana, vanno ribaditi due principi incontestabili e significativi:
per primo, Montecassino è al di sopra di
tutto e di tutti, al di sopra
quindi anche delle gerarchie vaticane: le gerarchie passano, Montecassino non
passa: succisa virescit (anche se mi tagli, mi rigenero) è il motto e, per
secondo, non sono i doveri di obbedienza
e/o altri ai quali i monaci sono vincolati che possono alterare la sua unicità al di sopra di tutto e perciò giustificare
e rendere accettabili i provvedimenti di cui sopra, piombati dall’alto, senza
appello! Ben altro merita Montecassino, ben altro gli è dovuto.
Invero
ricordato quanto Montecassino ha rappresentato nella storia dell’Occidente e rappresenta e non solo per i tanti monasteri ancora
in vita, è arduo ad ammettere che possa esserci qualcuno o qualcosa a esso
superiore, anche gerarchicamente, alla
luce di siffatti eventi! San Benedetto dichiarato Patrono d’Europa è conferma evidente del significato eccelso e
superiore. La Diocesi era creatura di Montecassino da secoli e secoli: dieci?
Quindici? Tanto che essa è nota, da sempre, come Terra Sancti Benedicti. A
parte motivazioni e spiegazioni, ci si sarebbe aspettato ragionevolmente che le gerarchie avessero favorito e promosso,
anche imposto, altri tipi di intervento, ma da
parte di Montecassino stesso e non da fuori, alla soluzione/miglioramento della situazione,
sempre ammesso che ne avessero avuto il diritto, non quello canonico bensì
quello di fronte alla storia! Perciò privare l’Abbazia della diocesi
secolare è stato un solenne arbitrio -io dico: sopruso- che fa pensare a chissà
quali motivazioni alla base. In effetti nel frangente delicato della rimozione
di Don Bernardo, delle vicende personali dell’ultimo abate, della scarsezza
di monaci, tutti ci saremmo aspettati
interventi collaborativi e di sostegno di ben altra natura da parte delle
gerarchie, quali appunto il ruolo basilare e universale dell’Abbazia impone ed esige
e non quelli distruttivi messi in atto. E la presenza di un nuovo abate, maturo
e saggio, dom Donato Ogliari, da altra sede, è la riprova che, anche se non
trova corrispondenza nella Regola Benedettina, comunque da salutare quale
intervento appunto costruttivo di sostegno e di collaborazione.
E’ un fatto
che questi capovolgimenti abbiano poco sensibilizzato
e toccato i fedeli della diocesi almeno in apparenza, tuttavia siamo certi che
resipiscenza e consapevolezza dell’accaduto si stanno facendo strada. Quanto invece resta la stella polare universale,
oggi e sempre, è l’insegnamento e l’opera di San Benedetto quali
fondamento
della civiltà e della cultura occidentali, all’insegna del celebre motto: ora, labora et lege. Perciò
un faro di civiltà, che vive di vita
propria, che conserva in sé la propria vita e il proprio destino, a
illuminare il mondo e irradiare la sua luce, in questi tempi soprattutto: gli addetti hanno solo l’obbligo di dargli un pò di olio!
Michele
Santulli