Rosy Shoshanna Bonfiglio: IL PROCESSO CREATIVO È FIGLIO DI UNA COSTANTE RISPOSTA AL CAMBIAMENTO


L'artista e coach Rosy Shoshanna Bonfiglio ci ha raccontato come il suo primo libro di poesie, NEI GIARDINI DELL'EREBO, recentemente pubblicato, sia diventato un progetto di creazione, educazione e riflessione collettive.

Da NEI GIARDINI DELL'EREBO ai FIORI NELL'EREBO. Di cosa si tratta esattamente? 
L'osservazione della nostra esperienza è sempre il punto di partenza e l'apprendimento più fertile per sviluppare nuove proposte. Come Coach è un allenamento costante, che fai su te stesso per poter aiutare gli altri a fare altrettanto. Ho quindi osservato il mio "comportamento artistico" nel processo creativo che mi ha portato dalla pubblicazione del libro alla sua trasformazione in POESIE SONORE, e ho capito che ci sia un filo conduttore che lega questa mia modalità a tutti i lavori che ho scritto: dal momento in cui un'opera nasce, per me inizia un nuovo movimento creativo, volto a tenere viva, in evoluzione, la materia di cui quell'atto artistico sia composto, che siano parole o movimenti, uno spettacolo, una performance o per l'appunto anche un libro! Non appena l'opera metta piede nel mondo assumendo una dimensione "pubblica", è come se entrasse a far parte del ciclo naturale della vita, come un neonato, e quindi, al pari degli esseri viventi, continua il suo sviluppo, rinnovandosi in forme ulteriori. Questa riflessione mi ha stimolato un'altra associazione, che pure fa parte di una mia costante ricerca e di un rinnovato desiderio che accompagna le mie attività: favorire un movimento di incontri e contaminazioni, connessioni, legami, tra persone, ambienti, contesti, ambiti tra loro sconosciuti, talvolta distanti o poco frequentati. Mi piace vedere nascere e fiorire qualcosa che prima non c'era, attraverso la sinergia che si può attivare tra menti e sensibilità. Penso sia la più bella pratica per stimolare l'inclusione, lo scambio, la valorizzazione della diversità.
Così ho pensato di passare il testimone del mio libro ad altre persone, in questa fase nello specifico ad altri artisti, che potessero essere i primi anelli di una lunga catena creativa che da un atto individuale, come la scrittura e pubblicazione di un libro, generi una grande rete collettiva di confronto, ispirazione, crescita.
Ecco che in questo modo alcuni componimenti della raccolta hanno assunto le sembianze di una coreografia, o di una musica, di un quadro o di uno scatto, etc., attraversando la materia umana, il filtro personale di ogni artista coinvolto. Pubblico settimanalmente questi contributi sui miei canali social, e ogni mercoledì intervisto gli autori delle creazioni, sviluppando insieme una riflessione sul processo creativo che li abbia condotti a trasformare la poesia nella loro arte di competenza, e su come la creatività possa diventare pratica di vita a più livelli per tutti gli esseri umani e non solo per chi lavori con l'Arte. 
La scorsa estate avevi realizzato un primo esperimento di rubrica estiva dal nome "Casa Shoshanna - la rubrica", in cui pure parlavi di arte, chiedendo agli ascoltatori e agli intervistati una definizione di artista. Cos'ha in comune con questo nuovo progetto? 
Direi che in tempi non sospetti la questione del valore e dello spazio che l'Arte occupi nella nostra coscienza collettiva, come popolo e società oltre che come individui, mi avesse attivato spesso e con esiti ed esperimenti differenti. Lo scorso anno non c'era il Covid a sottolineare le deficienze del settore artistico nel nostro Paese, ma le manifestazioni sintomatiche di questa malattia culturale direi che siano da sempre evidenti. Casa Shoshanna - La Rubrica era nata proprio da un moto anche polemico direi, che provocatoriamente metteva in circolo la domanda "che cos'è un artista", ironizzando sui tanti fraintendimenti, sulla cattiva informazione, sulla dis-educazione all'arte. Mi rammarica molto osservare che un Paese come il nostro, culla di Arte senza eguali, cada nella trappola frequente di dare per scontata la ricchezza di cui disponga. È un rischio molto umano, lo facciamo spesso, anche nelle relazioni. Mi sono chiesta se non sia questo il primo problema: la mancanza genera il bisogno e in Italia di Arte ne abbiamo così tanta da non vederla nemmeno. Avrei voluto portare avanti quella rubrica ma poi mi sono resa conto che avessi bisogno di riflettere meglio e ulteriormente sul tema. A marzo ci siamo ritrovati chiusi in casa e pian piano nuovi tasselli si sono aggiunti al mio ragionamento. Mi piace immaginare un mondo in cui non siano gli artisti a esigere uno spazio maggiore per la loro attività, ma siano le persone a scendere in strada perché non le si privi dell'arte, come del pane. È il loro bisogno che guida, non il nostro, di artisti, di esprimerci. Lo slancio polemico della scorsa estate si è mutato in una riflessione più matura e lucida, e in una scelta di occuparmi attivamente della rieducazione delle persone all'Arte, che si fondi sull'osservazione, la riflessione e l'esperienza. Osservazione quindi dei contributi di questi artisti nel progetto I FIORI NELL'EREBO, riflessione condivisa attraverso le interviste, e infine esperienza come terza fase futura a cui sto già lavorando. Si tratta quindi di mettere in circolo degli spunti che rendano l'Arte non fine a se stessa ma metafora di altro, anche perché personalmente è così che la concepisco, come un veicolo, una potente e inesauribile metafora della vita, e come tale fondamentale per noi tutti, per il nostro sviluppo interiore, per la coltivazione del nostro giardino intellettuale, spirituale, emotivo e, non di meno, comportamentale. 
Da qualche tempo sei andata ben oltre i confini della recitazione in senso stretto, aggiungendo alle attività come attrice anche la regia, la scrittura, la musica, il coaching. Dunque per te un artista che cos'è 
Un angelo. In senso etimologico intendo, quindi un messaggero. Messaggero che si interpone tra qualcos'altro e le persone, la vita, le cose. Ognuno può declinare questo qualcos'altro in mille modi diversi, personalmente la vivo come una connessione al divino, alla spiritualità, intesa come terza dimensione dell'essere, insieme al corpo e alla mente. L'Artista veicola questo allineamento tra le tre dimensioni di cui siamo composti, incarnando questa sintesi nel suo tradurre un'ispirazione, uno pneuma per dirla sempre con gli amatissimi greci, in una materia concreta, visibile, condivisibile di esperienza, qualsiasi forma essa assuma. Per questo ripeto sovente che anche il coaching abbia per me un significato molto simile a ciò che faccio come artista. Si tratta anche in quel caso di educare, di trarre fuori, di stimolare la vita negli altri attraverso il dialogo, laddove nell'Arte si adoperi il linguaggio del segno e della rappresentazione. Tra l'altro uso tantissimo l'arte anche nel coaching, proprio perché la stimolazione che avviene attraverso questo canale è più potente di quella puramente logica e razionale. La forza del pensiero associativo ci dà accesso a guizzi di coscienza e consapevolezza molto più ampi di quelli che non ci consenta il pensiero analitico. L'ideale sarebbe imparare a valorizzare al massimo l'efficacia di entrambi, facendoli lavorare dentro di noi in sinergia. 
Perché la società di oggi dovrebbe aver bisogno di arte? 
Non sono certa che l'Arte soddisfi un bisogno: penso che fornisca un'esperienza capace di colmare delle mancanze umane inevitabili. Poco altro a mio avviso è capace di fare questo, di riconnettere l'uomo con la sua integrità, con il corpo, la mente, lo spirito e con l'universo, la vita tutta. Lo riporta a se stesso e al contempo agli altri, all'incontro, nella misura in cui attraverso una certa opera, sia essa "incarnata" nelle arti performative, o oggettivata in quelle figurative, mostra uno sguardo, un altro punto di vista, un altro essere umano con il proprio mondo e i propri occhi. Non è molto diverso da ciò che accade quando entriamo in relazione gli uni con gli altri, ma ha il vantaggio di ricorrere a un linguaggio altro, meno compromesso della vita reale, in cui comunichiamo attraverso filtri che distorcono costantemente l'autenticità degli incontri. È una zona franca, libera proprio perché altra, in cui ci si parli attraverso qualcosa che sembra non riguardarci direttamente, e questo ci fa sentire più protetti e di conseguenza più disponibili, ma al contempo ci somiglia in modo spaventoso e affascinante, risuona con noi, con qualcosa che il più delle volte non sappiamo bene neanche cosa e dove sia, eppure c'è. È un promemoria forse. Una possibilità di ricordarci cosa siamo e di quale impalpabile complessa materia siamo composti, laddove la quotidianità ci spinga ad appiattire la nostra tridimensionalità, piantando in noi l'invisibile eppur pericolosissima convinzione di essere molto meno di ciò che siamo. Se ci riappropriassimo della bellezza che ci abita, saremmo molto più capaci di metterla in atto ed esprimerla in comportamenti e azioni di valore, volte al bene, alla condivisione, alla crescita. In questo senso vedo nell'Arte una possibilità di rifondazione valoriale della società. E a questo voglio dedicare personalmente le mie energie.
Fattitaliani

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