Debutta per la prima volta a Lecce, il 24 luglio, al chiostro ex Convento dei Teatini, SETE, spettacolo scritto da Walter Prete e diretto da Lorenzo Parrotto, in cui l'unico interprete Giorgio Sales dà vita a un meccanismo “scellerato” che coinvolge un intero caleidoscopio di personaggi. Sete ha ricevuto il “Premio Speciale” nell’ultima edizione del “Premio Giovani Realtà del Teatro Nico Pepe”, conferito dal Direttore dell'Accademia De Maglio, e la “Residenza alle Periferie Artistiche” della Regione Lazio. L'intervista di Fattitaliani a Walter Prete per la rubrica Proscenio.
In che cosa "Sete" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Ti prego intanto di darmi del tu, parliamo di teatro, di qualcosa di molto personale,
perciò credo che sia meglio abbattere il muro del lei.
Di sicuro, la differenza principale tra “SETE” e gli altri testi che ho scritto è che in
questo caso parliamo di un monologo. Non ne ho mai scritti (e a dire il vero li vedo un
po’ a fatica). L’idea di scrivere un monologo mi ha un po’ spaventato, all’inizio, ma
fortunatamente scrivevo per un attore molto dotato, e un amico che conosco molto
bene, perciò alla fine, tradendo un po’ il genere del monologo classico, credo di essere
approdato ad un buon risultato, che ha permesso tanto a me quanto a chi ci ha
lavorato in prova di divertirci.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)?
Probabilmente c’è una continuità di fondo: è quello che mi hanno detto anche alcuni
che sono venuti a vederlo in prima a Roma. Un certo gioco legato alle ambiguità del
linguaggio e dei linguaggi, la volontà di andare oltre la codificazione sociale dei tipi
umani, investigando ogni volta i tratti essenziali della persona che sta sotto il
personaggio. In questo senso credo che il teatro possa essere una sorta di grande
microscopio della realtà: perché su di un palco possiamo portare in scena sia quello
che la gente mostra di sé sia quei momenti a cui, nella vita vera, non avremmo
accesso. Mi piace questo: andare in profondità, immaginare i piccoli dettagli e i casini
in cui chiunque, in ogni momento, rischia di affondare e mettere in crisi i giudizi
frettolosi che, nella vita, saremmo portati a formulare sulle persone e le dinamiche in
cui vivono.
Come tanti, ho cominciato ai tempi del liceo. Allo stesso periodo risale anche la mia
prima conoscenza con Giorgio Sales, che oggi interpreta SETE. Dopo il liceo, nel
2010, ho cominciato a studiare filosofia all’Università di Lecce e ho avuto le prime
esperienze di compagnia e un diploma da attore. Nel 2013, insieme ad alcuni colleghi
e amici, abbiamo dato vita ad ALIBI - artisti liberi indipendenti, un collettivo che da allora
non ha mai cessato di essere l’incubatore di tante capacità che abbiamo sviluppato nel
tempo. Qui per me si è aperta la strada della scrittura. I primi anni di lavoro sui classici
e su testi di repertorio mi hanno aiutato a intravedere una sorta di continuità tra gli
autori che hanno composto nei secoli il repertorio teatrale, italiano e meridionale ma
non solo. Ho trovato la collocazione nella lunga storia del teatro, grande e piccolo, che
ci ha condotti ad oggi. E, da qui, ho provato con umiltà a guardare a una prospettiva
che si allungasse nel futuro.
Quando scrivi un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi
prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Fino ad ora ho scritto quasi esclusivamente per attrici e attori che conosco. In molti
casi sono miei colleghi in compagnia, in altri casi, come è successo con Giorgio, amici
che ho ritrovato dopo percorsi disgiunti. Ma quello che non cambia è il respiro sul
palcoscenico, il modo in cui ciascun attore si muove, esplode in una risata, passa da
un registro a un altro. L’esperienza e lo studio possono ovviamente migliorare
l’armamentario tecnico di ciascuno, ma queste qualità restano pressoché immutabili,
ed è da queste che parto ad immaginare testi e personaggi che mi piace cucire come
un capo di sartoria sugli attori, per evidenziarne tutte le capacità.
È successo anche che un incontro casuale ha messo in moto l'ispirazione e la
scrittura?
Sì, certamente. A volte è un dialogo in treno, una persona seduta alle mie spalle in
pizzeria di cui magari non vedo nemmeno il volto, il manager di banca che, in pausa al
parco, telefona alla mamma per sapere come è andata la visita dal dottore. Sta di fatto
che capita che in una parola, in un gesto, qualcuno dischiuda tutto il proprio mondo e
comincio ad immaginare i ritorni a casa di ciascuno, le relazioni in cui vivono, i loro
desideri. E lì è già l’inizio di una storia.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da
un'altra persona?
Che il regista voglia sorprendere, farcendo lo spettacolo di musiche, effetti, movimenti
di scena. Da questo punto di vista credo che il drammaturgo, il regista e l’attore
debbano semplicemente rendere possibile quello che deve accadere sulla scena. Poi il
teatro è una pentola magica, in cui il piatto finale è sempre di più che la somma dei
singoli ingredienti.
Quando si porta in scena un proprio testo, ci si accorge di alcune sfumature
"sfuggite" durante la scrittura?
Non so se sto rispondendo correttamente alla tua domanda, ma spesso sulla scena mi
è capitato che il lavoro di attori e registi mi restituisse qualcosa di molto più profondo o
intelligente di quello che mi era sembrato di scrivere. Non posso confessarlo senza
sorridere un po’, ma è così e credo che debba essere così. Quando scrivo un testo non
ho mai la pretesa di dire qualcosa di ultimo e universale, perciò la scrittura è solo un
segmento del discorso. Il lavoro degli altri, di tutti e di ciascuno, lo porta avanti, lo
specifica, lo migliora. Succede non solo con le fasi di lavoro, ma anche di replica in
replica.
Quanto sei d'accordo con la seguente citazione e perché? "Quando la sala del
teatro è piena, i polmoni dell’attore hanno meno ossigeno. Ma il cuore…" di
Nicolae Petrescu Redi?
Assolutamente, pienamente, d’accordo. Quello che accade in scena è una relazione
che si consuma tra gli attori e ciascun singolo spettatore. Avere due o cinque,
cinquanta o trecento spettatori cambia lo spettacolo, moltiplica la fatica, ma anche
l’impegno e la forza degli attori.
Come spiegheresti il Teatro per convincere chi non ha mai visto uno
spettacolo?
Una bella domanda! Impegnativa … beh, probabilmente gli direi. “Vieni, andiamo a
vedere una simulazione della vita fatta da qualcuno che nel frattempo su quel palco è
vivo per davvero. Mentre lo guardi fare quello che fa, pensa che magari oggi avrà mal
di denti, avrà litigato con la fidanzata, scordato di comprare il pane, si sarà precipitato a
teatro in ritardo. Pensa a questo, e prova a capire quanto vale ogni singolo momento
che passa su quel palco”.
Possibile descrivere le emozioni di una prima?
Non ho ancora avuto la fortuna di diventare padre, ma credo sia qualcosa di meno che
avere un figlio e qualcosa di più di superare che un colloquio di lavoro che ti svolta la vita.
C’è la speranza che tutto vada bene, l’impazienza e la paura. Si cerca di prepararsi
anche al peggio, ma sotto sotto speriamo di essere all’altezza delle aspettative nostre,
degli altri, di quelli che sono lì a guardarci. Dopo il debutto sei a cena o torni a casa e in
uno zaino hai costumi, qualche oggetto, di scena di quelli che userai sempre per quel
personaggio, ed è già una cosa che ha una vita sua, e che devi scegliere come far
crescere.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
Il primo marzo, poco prima del lockdown, a Salerno: “muttura”, il rimo testo che ho
scritto.
Degli attori del passato chi vorresti come protagonisti ideali di un suo
spettacolo?
Posso volare alto? Attore Turi Ferro. Attrice Pupella Maggio.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
A questo genere di domande non si risponde mai per davvero. Tra cinque minuti potrei
voler dire un’altra cosa. Comunque, La stupidità di Rafel Spregelburd è un testo che,
una volta letto, ha cambiato il mio modo di pensare e guardare il teatro. La migliore critica che vorresti ricevere?
“Walter Prete con “titolo di un mio improbabile spettacolo” mette in scena un oggetto
magico in cui, a guardarci dentro, si vedono tutte le possibili combinazioni di possibilità
del mondo. E del tempo. E di tutti noi”. (Visto che stavamo volando alto … )
La peggiore critica che non vorresti mai ricevere?
“Uno spettacolo certamente non per tutti, intellettuale, criptico”. Di fronte a una cosa del
genere, cercherei qualcosa di meglio da fare.
Dopo la visione dello spettacolo, che ti piacerebbe che il pubblico portasse
con sé a casa?
SETE parla di cambiamenti, della nostra voglia di migliorarci e della contropartita che,
prima o poi, ci tocca pagare. Forse vorrei che qualcuno si interrogasse su quali sono,
in fin dei conti, i modelli a cui aspirare.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la
storia di "Sete"?
C’è una domanda che, nella prima scena, l’attore rivolge ad un personaggio che
immaginiamo seduto davanti a lui, quindi al posto dello spettatore. Lo fissa negli occhi
e gli chiede “E lei? Un sogno ce l’ha? Uno yacht, un’amante, un’idropulitrice …? Prima
di cominciare, mi parli del suo sogno”. Ecco, credo che SETE funzioni bene come un
esperimento di laboratorio in cui osservare i desideri di cui siamo fonte o vittime, per
farci vedere quante sono le strade o i burroni in cui i nostri sogni riescono a trascinarci. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
Unico interprete in scena, Giorgio Sales dà vita a un meccanismo “scellerato” che coinvolge un intero caleidoscopio di personaggi: dal ristoratore all’imprenditore, dall’influencer al trader finanziario, il critico d’arte, in una sorta di gioco al rilancio in cui vince chi riesce ad aumentare di più il valore di un bene primo come l’acqua, trasformandolo in un’icona del lusso. Una scrittura a cerchi concentrici in cui gli stessi personaggi, tornano ciclicamente sempre più inebriati dal crescere del desiderio e galvanizzati dall’incapacità di avvertire il bisogno, che però è un indicatore essenziale dell’equilibrio biologico.
Partendo da episodi di stretta attualità, passando per la riflessione di Feuerbach e Guy Debord, si giunge alla spettacolarizzazione dell’immagine che per Debord diventa momento della mediazione nel rapporto fra individui, descrivendo la parabola dello slittamento dell’essere in avere e dell’avere in apparire.
Assetati di immagini, i personaggi di SETE finiscono per non riconoscere più la vera sete, quella legata alla conservazione della vita, che resiste ad ogni tentativo di farsi ridurre in cosa.
“Con Sete vogliamo raccontare una storia. La storia di un luogo che, come tutte le cose, porta con sé una memoria. L’avvento improvviso e fortuito di uno dei tanti eroi del nostro tempo (o antieroi, a seconda di come la si legge) cambierà il destino di questo luogo e, a effetto domino, i destini di tutte le persone a esso collegate”- annota Lorenzo Parrotto.
“Insieme a Walter e a Giorgio ci siamo decisi a raccontare un piccolo grande spaccato del nostro tempo. È sempre difficile sapere davvero cosa si vuole. Per questo, spesso e volentieri, ci si affida, oggi più che mai. Ci si affida a quelle persone che sanno cosa vogliono, o almeno sembrano saperlo. E ci affascinano, ci attraggono, proprio perché ci comunicano sicurezza e decisione. Ed è tra queste maglie che i nostri cinque personaggi prendono forma.
Ed ecco l’acqua: bene indispensabile, primario. Bene che deve, dovrebbe, essere alla portata di tutti. E così come Dio, che nella Genesi separa la luce dalle tenebre, così il nostro eroe separa un bene come questo dal resto del mondo, “stabilendo un valore”: in questo caso il valore è dato dalla bottiglia, da ciò che contiene e racchiude l’acqua.
Ma il valore cambia anche a seconda di chi stabilisce il valore stesso, il nostro eroe.
Noi, da parte nostra, non vogliamo trovare il colpevole. Vogliamo raccontare ciò che può cambiare radicalmente una vita.
Alla fine, chissà, ci ritroveremo anche noi chiedendoci a vicenda un sorso d’acqua, cercando nello zaino o nella borsa la nostra bottiglietta. Che c’è di male.
In fondo si sa: a teatro viene sete.”
LO SPETTACOLO
Unico interprete in scena, Giorgio Sales dà vita a un meccanismo “scellerato” che coinvolge un intero caleidoscopio di personaggi: dal ristoratore all’imprenditore, dall’influencer al trader finanziario, il critico d’arte, in una sorta di gioco al rilancio in cui vince chi riesce ad aumentare di più il valore di un bene primo come l’acqua, trasformandolo in un’icona del lusso. Una scrittura a cerchi concentrici in cui gli stessi personaggi, tornano ciclicamente sempre più inebriati dal crescere del desiderio e galvanizzati dall’incapacità di avvertire il bisogno, che però è un indicatore essenziale dell’equilibrio biologico.
Partendo da episodi di stretta attualità, passando per la riflessione di Feuerbach e Guy Debord, si giunge alla spettacolarizzazione dell’immagine che per Debord diventa momento della mediazione nel rapporto fra individui, descrivendo la parabola dello slittamento dell’essere in avere e dell’avere in apparire.
Assetati di immagini, i personaggi di SETE finiscono per non riconoscere più la vera sete, quella legata alla conservazione della vita, che resiste ad ogni tentativo di farsi ridurre in cosa.
“Con Sete vogliamo raccontare una storia. La storia di un luogo che, come tutte le cose, porta con sé una memoria. L’avvento improvviso e fortuito di uno dei tanti eroi del nostro tempo (o antieroi, a seconda di come la si legge) cambierà il destino di questo luogo e, a effetto domino, i destini di tutte le persone a esso collegate”- annota Lorenzo Parrotto.
“Insieme a Walter e a Giorgio ci siamo decisi a raccontare un piccolo grande spaccato del nostro tempo. È sempre difficile sapere davvero cosa si vuole. Per questo, spesso e volentieri, ci si affida, oggi più che mai. Ci si affida a quelle persone che sanno cosa vogliono, o almeno sembrano saperlo. E ci affascinano, ci attraggono, proprio perché ci comunicano sicurezza e decisione. Ed è tra queste maglie che i nostri cinque personaggi prendono forma.
Ed ecco l’acqua: bene indispensabile, primario. Bene che deve, dovrebbe, essere alla portata di tutti. E così come Dio, che nella Genesi separa la luce dalle tenebre, così il nostro eroe separa un bene come questo dal resto del mondo, “stabilendo un valore”: in questo caso il valore è dato dalla bottiglia, da ciò che contiene e racchiude l’acqua.
Ma il valore cambia anche a seconda di chi stabilisce il valore stesso, il nostro eroe.
Noi, da parte nostra, non vogliamo trovare il colpevole. Vogliamo raccontare ciò che può cambiare radicalmente una vita.
Alla fine, chissà, ci ritroveremo anche noi chiedendoci a vicenda un sorso d’acqua, cercando nello zaino o nella borsa la nostra bottiglietta. Che c’è di male.
In fondo si sa: a teatro viene sete.”
SETE
Di Walter Prete
Con Giorgio Sales
Regia di Lorenzo Parrotto
Assistente alla regia Alfredo Calicchio
Sonoro Laurence Mazzoni
Video Federico Sanfrancesco
Venerdì 24 luglio ore 21
Chiostro Ex Convento dei Teatini- Lecce
INGRESSO 15 EURO
Biglietti disponibili presso Koreja, Via Guido Dorso 70, Lecce
Oppure su Vivaticket.it
INFO E PRENOTAZIONI_ +39 0832 242000- teatrokoreja.it
Eventuali ultimi posti disponibili saranno venduti in loco la sera dello spettacolo a partire dalle ore 20.
Lo spettacolo andrà in scena, sia per il pubblico che per gli artisti, nel rispetto delle norme per la sicurezza in vigore.