Sarah Falanga torna in scena con "...mi chiamano Mimì" per "dare voce ad una serie di disagi umani". L'intervista


Con la sua Accademia Magna Graecia di Paestum, Sarah Falanga è una delle prime attrici e produttrici italiane a ritornare in scena in Italia dopo l’emergenza Coronavirus.
Il 27 giugno sarà infatti protagonista dello spettacolo “… Mi chiamano Mimì”, che potrà contare sul supporto della suggestiva Villa Abbamer a Grottaferrata per accogliere un piccolo pubblico, seguendo ovviamente tutti i protocolli di sicurezza necessari. Una rappresentazione, quella dedicata alla grande Mia Martini, a cui Sarah tiene molto, che ha l’intento di drammatizzare una personalità moderna che è andata via troppo presto, pur avendo ancora tanto da raccontare.
Salve signora Falanga, io mi concentrerei sul suo prossimo spettacolo che andrà in scena: “… mi chiamano Mimì”. Quando avrà luogo la rappresentazione?
Andiamo in scena il 27 giugno 2020, a Grottaferrata (Roma). Nello specifico, a Villa Abbamer. E’ uno spettacolo che abbiamo già presentato con l’Accademia Magna Graecia di Paestum, ma chiaramente ogni volta viene rivisitato. Nel teatro si è presa questa consuetudine di frequentare drammaturgicamente delle personalità moderne, degli artisti che ci hanno lasciato da poco ma che non ci hanno lasciato mai. Quelli che non sono più presenti per ‘prenderci a schiaffi’ su sperimentazioni che vengono fatte badando più al consumismo che alla qualità”.
Come mai la scelta di rappresentare la grande Mia Martini?
Partiamo da un concetto, che ci tengo a chiarire: non posso imitare Mia Martini, perché è una e sola. Posso però parlare di lei a chi non l’ha conosciuta, né tanto meno vissuta. Si deve parlare di lei perché non ha potuto farlo abbastanza in prima persona. Attraverso Mimì si può dare voce ad una serie di disagi umani, che ognuno di noi si potrebbe trovare a vivere, anche dal punto di vista professionale. Nel mio caso, si è trovato un escamotage per non portare in scena Mimì. Mi sono dunque inventata una storia che partisse dalla mattina del decesso della Martini”.
Ok. Parliamo appunto della storia del suo spettacolo. Cosa ci può dire?
La mattina della notizia del decesso di Mia Martini, sulla spiaggia di Bagnara Calabra, i rotocalchi annunciano la scomparsa dell’artista. A quel punto vediamo un uomo in controluce che incarna tutti gli uomini della vita di Mimì, a partire dal padre, Fossati, Califano, gli amici. Tutti quelli che non l’hanno saputa vivere e che non l’hanno fatta vivere. Si può dire che siano quelli che sentono la sua nostalgia. Lo spettacolo si trova su due poli ed è interattivo col pubblico, che sta al centro. C’è un corridoio centrale che sta a significare il tempo che passa. Il passaggio degli attori attraverso questo corridoio delimita la condizione spazio-temporale. In pratica, da un lato ci troviamo su un lido di Bagnara Calabra, dove appare l’uomo, dall’altro lato c’è un’orchestrina di squattrinati e una donna che cerca di portare i soldi a casa cantando canzoni. Non è una cantante brava, ma è una che riesce a intrattenere il pubblico. L’uomo si recherà tutte le sere in questo luogo per chiedere puntualmente una canzone, due o tre per scriverne altre. O meglio, ricordare i momenti in cui le ha scritte. Proporrà puntualmente a questa donna di cantarle. Quindi lo spettacolo drammaturgicamente è tragico. Dal punto di vista di lui perché vive il suo alcolismo perenne, che denota lo stordimento della mente, perché ha perso Mimi ed è malato della sua nostalgia ed ha in qualche modo anche i suoi stessi vizi. Gli stessi che noi non declamiamo in maniera chiara, nel senso che l’alcool è anche di oziaco; gli permette di distanziarsi dalla realtà in cui vive per creare. Lui è inebriato da Dioniso, sia nel bene e sia nel male. Anche se non lo diremo mai, lui si scoprirà essere Fossati, vorrà cantare una canzone, scriverla insieme ai musicisti. Ripercorre i suoi momenti, come se andasse nel passato e nel presente. E per farlo sovrapporrà questa donna che incontra all’immagine di Mimì”.
Ecco. Mi incuriosisce questo rapporto che l’uomo instaurerà con la cantante.
Sì, come le dicevo, lui confonde l’immagine di questa donna con la Martini. La chiama addirittura Mimì, anche quando lei gli ricorda che non è Mimì. La donna chiaramente non ha un nome. Ad un certo punto però l’uomo riesce a convincerla: le porta il cappello di Mimì, la giacca, i suoi occhiali. Tenta di renderla il più somigliante possibili alla Martini, anche fisicamente. I due si baceranno soltanto perché lei si convincerà di essere Mimì. Prima è infastidita da questa cosa, un escamotage che rende lo spettacolo ironico in certi momenti, poi invece si innamora di lui, che invece la scaccia perché le dice: ‘Tu non sei Mimì’. In seguito, lei si procurerà la morte. Non lo diciamo chiaramente; la donna si tuffa nel mare, scappa via, perché ormai si è inebriata di quest’uomo che ama Mimì, non lei. Questa presenza maschile ha reso impossibile un’altra vita. Mimì in qualche modo, purtroppo, è stata tormentata dal maschile, a tutti i livelli. Si è innamorata sempre di ogni uomo, si è assoggettata, ha rinunciato a una gravidanza, procurandosi un aborto, perché Fossati non voleva quel figlio. Eppure, lei era innamorata, così come Fossati. Una donna soggiogata completamente dalla presenza maschile, che l’ha anche arricchita perché interpretativamente ha potuto dare sfogo al dolore, alla gioia, alla poesia che l’amore ha dato al suo animo. Perché chiaramente è stata vittima. Ci tengo a precisare che non stiamo facendo nessuna dichiarazione di guerra ai maschi. Stiamo portando in scena il suo dolore che, forse, accomuna molte donne. L’incomprensione che accomuna anche gli uomini quando le donne diventano pazze, delle Medea, delle streghe. Anche gli uomini diventano vittime. Noi vogliamo portare alla luce tutto quel meccanismo che tra uomo e donna ancora non funziona. Lo spettacolo ha come obiettivo quello di far riflettere”.
Immagino che nello spettacolo ci saranno le canzoni di Mimì.
Certo. Le canzoni che questa donna canta sono quelle che hanno portato alla storia Mimì e vengono reinterpretate da arrangiamenti che lasciano intendere lo stato d’animo del personaggio. La musica parla per l’animo di questa donna che è lì, frastornata da questa esperienza. Molte volte troveremo anche i pezzi più noti con un andamento che ci aiuta a capire quello che magari la donna non riesce a trasmettere soltanto a parole”.
In che modalità avverrà lo spettacolo?
Andrà in scena prima di una cena molto ricercata che sarà ad opera del ristorante Rosa Raimondi, che è stato dedicato alla madre di Giò, il fondatore di questa Villa Abbamer. Una donna fantastica, siciliana, che adesso vive nel loro ristorante, che hanno voluto vendicare a questa donna. Si mangeranno specialità siciliane rivisitate e cucina romana, tutto quello che i due fondatori sono. Stefano Mercanti è romano, mentre Giò Abbadessa è un intellettuale siciliano, pianista, produttore per il passato di teatro. In questo ristorante c’è la fusione tra i due stili”.
E’ prevista una sola data per ora?
Sì, stiamo andando a scardinare un po’ l’abitudine di non andare in scena. Stiamo riaprendo un palcoscenico, siamo tra i primi. Sicuramente per questa Mimì ci sono tantissime richieste. Non possiamo però contenere più di 60 persone a spettacolo per motivi Covid. Tendiamo chiaramente o a replicare, fare una doppia, o comunque dedicare più serate allo stesso spettacolo. Questo è a divenire, dobbiamo capire cosa succede a livello di prenotazioni e quant’altro. Si può lavorare solo su prenotazione perché non possiamo prevedere l’imprevisto. Questo periodo è un continuo work in progress. Bisogna avere molta pazienza”.


Fattitaliani

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