A L’Aquila fiori sulla tomba di Maria Federici nella cappella di famiglia
di Goffredo Palmerini - L’AQUILA - Il 2
giugno 1946 l’Italia votò il referendum istituzionale: Monarchia o
Repubblica. Scelse la Repubblica, con quasi 2 milioni di voti in più. Nello
stesso giorno si votò per eleggere l’Assemblea
costituente. Quel giorno in cui s’esercitò il suffragio universale votarono
anche le donne, la prima volta nella storia d’Italia, e finalmente poterono
essere elette in Parlamento. Su 556 deputati dell’Assemblea furono elette 21
donne: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito
socialista e 1 dell’Uomo qualunque. Ricordiamole con i loro nomi, che sono incisi
nella storia della nostra Repubblica: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura
Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter, Filomena Delli Castelli,
Maria Federici, Nadia Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Leonilde
Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria
Nicotra, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena
Rossi, Vittoria Titomanlio.
“Alcune di loro
– annota una pubblicazione del Senato sulle 21 Madri costituenti - divennero grandi personaggi, altre rimasero
a lungo nelle aule parlamentari, altre ancora, in seguito, tornarono alle loro
occupazioni. Tutte, però, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono
l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative.
Donne fiere di poter partecipare alle scelte politiche del Paese nel momento
della fondazione di una nuova società democratica. Per la maggior parte di loro
fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Con gradi diversi di impegno
e tenendo presenti le posizioni dei rispettivi partiti, spesso fecero causa
comune sui temi dell’emancipazione femminile, ai quali fu dedicata, in
prevalenza, la loro attenzione. La loro intensa passione politica le porterà a superare
i tanti ostacoli che all’epoca resero difficile la partecipazione delle donne
alla vita politica.
Il 2 giugno l’ANPI
(Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) in tutto il Paese ricorderà le 21
Madri costituenti con un gesto di grande significato politico: un omaggio
floreale per sottolineare il loro contributo nella stesura della nostra
Costituzione e poi nelle istituzioni della democrazia repubblicana. Due le Madri costituenti
abruzzesi elette il 2 giugno di 74 anni fa: Maria Agamben Federici (L’Aquila, 1899 – Roma, 1984) e Filomena Delli Castelli (Città
Sant’Angelo, 1916 – Pescara, 2010). Dunque assai significativo il modo scelto
quest’anno dall’ANPI nazionale per
celebrare la Festa della Repubblica:
ricordare le 21 donne dell’Assemblea Costituente e rendere loro onore con un
gesto sobrio ma fortemente simbolico, portando fiori là dove riposano o dove esistono
testimonianze che ne richiamino l’opera.
L’ANPI provinciale dell’Aquila, con il
suo presidente Fulvio Angelini e una
ristretta delegazione dell’associazione, il 2 giugno alle ore 11, nel Cimitero monumentale della città
capoluogo deporrà un omaggio floreale a Maria
Agamben Federici, nella cappella di famiglia dove è sepolta. Altrettanto farà l’ANPI di Pescara verso l’altra Madre costituente abruzzese, Filomena Delli Castelli, poi parlamentare
nelle prime due Legislature e sindaco di Montesilvano dal 1951 al 1955, tra le
prime donne ad essere eletta sindaco d’una città. Un’opera
sapiente e illuminata, talvolta di frontiera, quella di Filomena Delli Castelli
alla guida di Montesilvano, per la
quale subì anche un’emarginazione nel partito in cui militava, la Democrazia
Cristiana. Un’opera illuminata che, forte dei suoi principi, continuò nella
vita di docente e di giornalista Rai.
Ora qualche annotazione sulla deputata aquilana
nell’Assemblea costituente Maria Agamben
Federici. Nata a L’Aquila il 19
settembre 1899 da famiglia benestante, laureata in lettere, docente e
giornalista, Maria Agamben sposa nel
1926 Mario Federici, anch’egli
aquilano, drammaturgo ed affermato critico letterario, tra le personalità più
insigni della cultura abruzzese del Novecento. Negli anni della dittatura
fascista lascia l’Italia insieme al marito e va all’estero ad insegnare negli
Istituti italiani di cultura, dapprima a Sofia,
poi al Cairo e infine a Parigi. Cattolica impegnata, profonda
fede nei valori di libertà e democrazia, la Federici matura la sua formazione
influenzata dal pensiero cristiano sociale – soprattutto di Emmanuel Mounier e Jacques
Maritain – che avrebbe connotato profondamente la filosofia e la politica dello
scorso secolo. Esperienza significativa quella vissuta all’estero dalla
Federici, nella consapevolezza del valore della libertà, della giustizia
sociale e del ruolo essenziale della donna, non solo nella famiglia, ma anche
in politica e nella società.
Al rientro in Italia, nel 1939, avvia un intenso
impegno sociale. A Roma è attiva nella Resistenza,
organizzando un centro d’assistenza per profughi e reduci. Presto si rivela
come un forte esempio d’emancipazione femminile ante litteram, con trent’anni d’anticipo sui movimenti poi nati in
Europa. Nel 1944 è tra i fondatori delle Acli,
poi del Centro Italiano Femminile (Cif)
del quale diventa la prima Presidente, dal 1945 al ‘50. Ma soprattutto è una
delle figure più importanti della nuova Repubblica democratica nata il 2 giugno
1946. Nell’Assemblea Costituente, eletta
con la Democrazia cristiana, è una delle figure più incisive.
Assieme alla collega di partito Angela Gotelli (Dc), a Nilde
Iotti e Teresa Noce (Pci), a Lina Merlin (Psi), Maria Federici è nel gruppo delle cinque donne – delle 21 elette
nell’Assemblea – entrate nella Commissione
Speciale dei 75 che sotto la presidenza di Meuccio Ruini elabora il progetto di Carta costituzionale, poi
discussa in aula dall’Assemblea ed approvata il 22 dicembre ‘47. Promulgata il
27 dicembre dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, la Costituzione
entra in vigore il 1° gennaio 1948. Rilevante il contributo della Federici nella Commissione dei 75, in
tema di famiglia, sull’accesso delle donne in Magistratura, sulle garanzie
economico-sociali per l’assistenza alla famiglia, del diritto all’affermazione
della personalità del cittadino, sul diritto di associazione e ordinamento
sindacale, sul diritto di proprietà nell’economia. Pure rilevante il suo ruolo
in Assemblea plenaria con incisivi interventi in aula sui rapporti
etico-sociali, sui rapporti economici e politici, sulla Magistratura, su
diritti e sui doveri dei cittadini.
Il 18 aprile 1948 Maria Federici viene eletta alla Camera dei Deputati nella prima
Legislatura repubblicana (1948-1953), nel collegio elettorale di Perugia. La
sua spiccata sensibilità sociale, le immagini delle navi e dei treni pieni
d’emigranti, le famiglie che restano nei paesi affidate alle sole donne, la
drammatica congerie di problemi legati al fenomeno migratorio determinano in
lei un impegno esemplare nell’affrontare le questioni sociali legate
all’emigrazione. La tenacia e la sua visione della complessità del fenomeno
migratorio la muovono in una forte attenzione politica, unitamente ad una
risposta strategica e strutturale ai bisogni d’assistenza che man mano emergono
come conseguenza dell’emigrazione. Pensiero ed azione la sua cifra.
Ed è così che l’8 marzo 1947 Maria Federici fonda l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (Anfe). Presidente dell’Anfe sin dalla
fondazione, lo rimarrà fino al 1981. Sotto la sua guida sicura, con
infaticabile impulso, l’associazione si espande con sedi in ogni provincia e
nei comuni a più alta emigrazione, sempre presente laddove esistono i problemi,
in Italia o nel nuovo mondo. Anche in quei lontani continenti, come pure nella
vecchia Europa, nascono sedi dell’Anfe.
Una rete capillare di strutture che diventano punti decisivi d’assistenza per i
nostri emigrati, per la soluzione d’ogni problema sociale, burocratico ma anche
psicologico nell’integrazione nelle nuove realtà. Le battaglie di Maria Federici restano esempio
d’impegno civile e politico, come la lotta per il riconoscimento dei diritti
della famiglia degli emigrati; l’affermazione del principio che l’emigrazione
non è problema individuale, ma familiare; il riconoscimento reciproco tra Stati
europei dei titoli di formazione professionale; il riconoscimento delle
malattie professionali; il riconoscimento dei diritti civili e politici dei
connazionali nei paesi d’emigrazione; la scolarità dei figli degli emigrati;
l’inserimento della lingua italiana nelle scuole all’estero; le facilitazioni
per il ricongiungimento delle famiglie di emigrati; il riconoscimento del
diritto di voto per gli italiani all’estero.
Sono solo alcune delle battaglie combattute dalla
Federici e dall’Anfe a tutela della
dignità dei lavoratori italiani all’estero, dei loro diritti e di quelli delle
famiglie. Dunque, un’opera notevole nel sostegno alle famiglie e a tutela
della loro integrità, nella difesa dei diritti dei bambini, nella formazione
professionale, nella crescita culturale, sociale e civile dei nostri emigrati.
Insomma, tali meritorie attività hanno fatto dell’Anfe, Ente morale dal 1968, un partner insostituibile nei più alti organismi
internazionali per l’emigrazione e l’immigrazione, grazie al suo enorme
bagaglio di esperienze. Maria Federici
muore il 28 luglio 1984 a Roma, ma è L’Aquila,
la sua città natale, a custodirne le spoglie. E tuttavia l’insegnamento e l’opera
di Maria Federici sono ancora determinanti per comprendere a fondo i problemi
delle migrazioni. Un cospicuo patrimonio d’esperienze, di pubblicazioni e di
scritti, il suo, utile per l’intero Paese, grazie alla lungimiranza d’una delle
donne più rilevanti del Novecento di cui L’Aquila può andare orgogliosa.
L’ANPI,
nel giorno della nascita della Repubblica, meritoriamente la ricorda, insieme
alle altre 20 Madri costituenti. Oggi
il loro esempio stride con certa volatilità del pensiero e con la labilità, se
non l’assenza, di riferimenti ai grandi valori. Nella difficile transizione che
l’Italia vive, dove sovente domina l’apparenza piuttosto che l’essenza, esempi
di vita come quelli testimoniati dalle Madri
e dai Padri costituenti che hanno scritto la Carta fondamentale della
nostra democrazia, devono per tutti essere punti di riferimento per restituire
credibilità alla politica, per affrontare le difficili sfide che ci attendono, per
riportare le Istituzioni - e chi è chiamato a ricoprirne i ruoli - alla
necessaria austerità dei comportamenti in linea con i sacrifici che il popolo
italiano sta vivendo. Una dedizione autentica al Bene comune, dunque, per
tornare finalmente a costruire il futuro della nostra Italia.