Con il suo nuovo romanzo, “Chi ha rapito Cesare Pavese?” (Editore Meligrana), Francesco Bova dà vita a una storia di muse e scritture, il cui coprotagonista è Cesare Pavese, fulcro centrale di una serie di viaggi e dialoghi che molto hanno a che fare con il realismo magico. Il romanzo intreccia mistero, riflessione letteraria e gioco metanarrativo: il protagonista (“Lui”) e una voce narrante femminile (“Io, la sua Voce dalle belle gambe”) si ritrovano in una stazioncina ferroviaria abbandonata dei primi anni ’80, con l’obiettivo di “ritrovare a qualunque costo Cesare Pavese”. L'intervista di Fattitaliani.
Com’è nata l’idea di scrivere Chi ha rapito Cesare Pavese? C’è stato un
momento preciso che ha fatto scattare la scintilla?
Mi sono occupato di Pavese
scrivendo alcuni articoli di approfondimento per sololibri.net sui suoi “amori
difficili “, sul tema del suicidio in letteratura e discutendo con Franco
Ferrarotti che lo conobbe. Per anni ho tenuto in pancia questa storia e la
scintilla è stata una vecchia e piccola stazione delle FF.SS. abbandonata che
raggiungevo percorrendo una stradina di campagna pestando i piedi sulla
bicicletta. Su una panchina - come quella che ho descritto nel romanzo - osservavo i treni sferragliare sulla ferrata
– termine pavesiano - ed è scoccata la scintilla che ha dato fuoco ad una
fornace già colma di suggestioni. Ho immaginato che quella fosse la stazione di
Santo Stefano Belbo e che potessi salire su un treno degli anni Trenta e
Quaranta condotto da un locomotore a vapore per raggiungere Cesare.
Il titolo è provocatorio e ambiguo: chi ha davvero
rapito chi? Può raccontarci il gioco di specchi che ha voluto creare?
Il titolo è nato subito. Il
verbo rapire possiede questo potere: portare via con la forza una persona, un
ratto dunque, ma pure essere rapiti da un sogno e paradossalmente anche dalla
stessa persona che si vuole rapire. Nel gioco degli specchi il doppio protagonista
del mio romanzo (un giovane scrittore e la sua Voce interiore) sono rapiti dal
desiderio dell'opera dello scrittore e della vita dell'uomo Cesare Pavese,
inoltre vorrebbero rapirlo per scongiurare il suo suicidio. Nei miei romanzi
gioco molto con il tema del doppio, sugli opposti, sui conflitti. Certamente ho
tratto questo dai miei studi di filosofia e di psicologia. Da lì nasce pure un
processo di identificazione: l'autore specchiandosi vede un altro sé, che potrebbe essere lo
stesso Pavese.
Il romanzo si muove tra
mistero, metanarrazione e riflessione letteraria. Come ha bilanciato questi
elementi nella scrittura?
Un amico semiologo, che ha
letto in anteprima il mio romanzo, sostiene che la storia coinvolgerà
il lettore in un gioco letterario inatteso, dove il tempo, lo spazio e le
regole della natura possono essere contraddetti. Ci sono diverse chiavi di
lettura per decriptare il testo: il conflitto di uno scrittore con la sua voce
interiore e le sue muse; la fatica e la passione esistenziale della scrittura;
l'importanza del mito, il tema del mistero che aleggia intorno alle vite di
molti scrittori e artisti. Per esempio, nel Prologo del romanzo, il mio
protagonista incontra nella famosa stanza 346 dell'Albergo Roma, intorno al
letto di Pavese, Emilio Salgari, Antonia Pozzi, Primo Levi – che ho conosciuto
– Lucio Mastronardi, Sylvia Plath, Guido Morselli e Virginia Woolf. Come sai
bene, sono tutti accomunati dall'essersi tolti la vita. Nello stesso tempo ho
cercato di bilanciare tutti questi elementi per rendere accessibile la lettura
al grande pubblico e non solo ad una nicchia di lettori colti. Espressioni come
il “gorgo muto”, un “fico storto”, la
“ferrata” , “ i gatti lo sapranno” appartengono a Pavese e il lettore colto è
ben lieto di riconoscerle, ma non disturbano il lettore che non conosce Pavese.
Che tipo di rapporto personale o letterario ha con
Cesare Pavese?
Pavese è stato lo scrittore della
mia adolescenza. Il mio primo atto d'amore, il primo bacio che non si può
dimenticare. Con Lui ho conosciuto gli scrittori americani e l'amore per il
mito. Poi mi ha sedotto la sua vita, il suo carattere, le sue storie di donne,
il suo rapporto con la Resistenza e quello conflittuale con il Partito
Comunista. Ne è nato anche una sorta di processo di identificazione – non di
emulazione – come potrebbe sostenere uno
psichiatra. La mia medicina è stata la scrittura e dunque sono riuscito a
infondere per la prima volta i caratteri dell'uomo Pavese in Luca il
protagonista del mio primo romanzo “La leggenda dei pesci bambini” . Nel 2004
la critica disse che Luca era l'alter ego di Pavese e pure la mia dannazione.
La grandezza dell 'opera di Pavese è
di grande attualità per la ragione che molti si rispecchiano in lui: gli amori,
il mestiere di vivere, il dramma del suicidio, l'impegno politico sono temi
universali.
Nel libro si parla di lettori,
amanti, editori come “rapitori” di Pavese. Lei si sente uno di questi?
Eh, sì. Senz'altro. Con diverse
differenze e sfaccettature. Nel mio romanzo io ho condiviso con Lui l'amore per
il cinema, le scorribande nelle piole, abbiamo visitato le colline delle sue
Langhe e quelle della mia Liguria. Ci siamo addormentati sulle rive di un
torrente. Ma l'operazione più importante – anche da un punto di vista
squisitamente letterario – è quando Io e Pavese ci siamo scambiati i sogni e i
personaggi dei nostri romanzi. Siamo entrati in intimità. Questo è molto perché
siamo ambedue capricciosi e selvatici... Ti sei accorto che ho utilizzato un
verbo al tempo presente?
Pavese è spesso percepito come un
autore “difficile” o distante. Il suo romanzo può essere anche un modo per
avvicinarlo a nuovi lettori?
Per conoscere bene Pavese – e allora
può essere percepito come autore difficile – è necessario leggere non solo i
romanzi e le poesie ma anche le pagine del “Mestiere di vivere”, le “Lettere” e
pure quel “Taccuino segreto“ così sconveniente. I miei giovani lettori, ne sono
certo, si ciberanno di Pavese e gli consiglierò di leggere “La luna e i falò”,
il libro che più mi ha rapito.
Il realismo magico è un
ingrediente importante del romanzo. Cosa le permette di esplorare che il
realismo puro non consente?
Senza il realismo magico non
ci sarebbero state le distorsioni temporali che mi hanno permesso di salire
sulle carrozze di un treno a vapore per
raggiungere Pavese. C'è poi la magia del
personaggio della gatta Alice – i gatti sono magici per definizione - che insieme al protagonista e alla sua Voce
osservano il passaggio dei treni. Come
la volpe e i leprotti, simboli della selvaticità. Mi ha insegnato molto
Zavattini autore del romanzo “Totò il buono” da cui De Sica trasse il
fantastico film “Miracolo a Milano”. Con
il realismo magico posso far parlare i morti come ha fatto Isabel Allende ne “La casa degli spiriti” .
La voce narrante femminile,
“Io, la sua Voce dalle belle gambe”, è un personaggio affascinante. Come è nata
e che ruolo ha nella storia?
Da tempo sostengo che la
scrittura è “femminile”. Ma le voci interiori e pure le muse devono però avere
il doppio registro maschio-femmina. Nel mio romanzo il vero protagonista è la
Voce, una femmina. È lei che ha il potere di soffiare trame e parole nella
testa e nell'anima. L'ho descritta carnalmente, con delle lunghe e belle gambe,
per sedurre il giovane scrittore con il quale si concede o “gli fa” l'amore.
La stazione ferroviaria
abbandonata degli anni ’80 è un luogo sospeso nel tempo. Che significato
simbolico ha per lei?
È il luogo del silenzio, della
meditazione, del raccoglimento. Poi, io scrivo i miei romanzi e i miei articoli
sul tavolo della cucina in compagnia di due gatti … e credimi, non è una
battuta …. che sono nativi di Bubbio, nelle Langhe pavesiane.
Nel romanzo si riflette sul
potere della scrittura di “rapire” la mente. Lei ha mai vissuto questa
esperienza come autore o lettore?
Più che rapire la mente, direi
l'anima. Sostengo che un buon romanzo deve emozionarti. Deve farti piangere e
farti ridere, poi ha valore anche l'elemento cognitivo, mentale, ma se la
lettura non sprigiona emozioni il libro rischia il fallimento. La scrittura è
“benedetta” quando ti getta dentro il dramma e sente anche l'odore del sangue. Tra i miei autori preferiti c'è pure
Antonin Artaud che ho fatto rivivere in un mio romanzo e lui del dramma e della
follia ne sapeva molto che mi ha contagiato.
Cosa pensa del mito dell’autore scomparso e del
modo in cui i lettori cercano di “trattenerlo” attraverso le sue opere?
Pavese ha scritto, e questa è
una mia idea, le pagine de “Il Mestiere di vivere” per costruire
il proprio mito. Gli scrittori - e gli
artisti tutti - esorcizzano la paura della morte scrivendo di sé. Quando non ci
sarò più con i miei libri rimarrà nel tempo e nello spazio qualcosa di me.
Saranno i lettori, ogni qual volta apriranno le pagine di un mio romanzo, a
trattenermi in vita. Pavese ci è riuscito, io ci sto provando.
Crede che la letteratura possa ancora oggi
esercitare un potere così forte da diventare ossessione?
La scrittura è ossessione
esistenziale ma non può e non deve essere condizionata dal mercato editoriale.
Ahimè, troppi libri e troppi scrittori confezionati dal mercato della parola.
L'ossessione non può essere confusa con la “moda” della scrittura per diventare
qualcuno. Poi, uno è bravo anche se non è nel giro che conta. Penso a Guido
Morselli che si suicidò perché gli editori lo ritenevano uno scrittore
mediocre, per poi ricredersi quando si sparò.
Lui era ossessionato. Io sono
ossessionato dai miei personaggi, ai quali preparo la cena e con i quali vado a
letto.
A chi si rivolge questo
romanzo? Che tipo di lettore aveva in mente mentre scriveva?
Non avevo in mente nessun
lettore. Ero così indaffarato a discutere con la Voce dalle belle gambe, che mi
chiedeva di scrivere un buon romanzo... per chi avesse buone orecchie e un buon naso. Un romanzo “benedetto”.
Sta già lavorando a un nuovo progetto? Possiamo
aspettarci altri “rapimenti letterari”?
Sì, sto lavorando alla storia di un uomo che
diventa il custode delle panchine di un paese.
Se potesse fare una sola domanda a Cesare Pavese,
oggi, quale sarebbe?
Come faccio dire al protagonista del mio romanzo, gli domanderei: “Possiamo essere amici?”. Giovanni Zambito.
Francesco Bova (Pietra Ligure, 1953), scrittore
e giornalista pubblicista, è stato per
vent’anni uno degli animatori della rivista di filosofia e letteratura
“Malvagia”. Attualmente collabora con sololibri.net. Ha pubblicato i romanzi: La
leggenda dei pesci bambini (Perrone, 2005); Quando Chiara ha perduto la
luce (Tabula Fati, 2013); Il regno di Nessuno e la bella Alessandra
(Robin, 2016); L’albero delle zucche (Priamo-Meligrana, 2017); I
Sognatori (PS, 2020); Lo sceneggiatore (Priamo-Meligrana, 2021); Conversazioni
con il portiere dei freaks (Solfanelli, 2023).