FRANCESCO ALOE: UNA STORIA NECESSARIA PER CHI NON PENSA CHE UN VIDEO SUI SOCIAL POSSA CAMBIARE IL MONDO

 


di Mariano Sabatini

Impossibile leggere L’eco delle mie parole di Francesco Aloe (Milieu Edizioni) senza farsi molto prendere dalle vicende umane e scientifiche dei giovani speleologi protagonisti. Se non bastasse la stima che si è guadagnato con i precedenti romanzi, come L’ultima bambina d’Europa e Aspetta l’inverno, bisognerebbe correre a comprare e leggere il suo nuovo solo per la serietà con cui l’autore calabrese, ma trasferitosi stabilmente nel bolognese, si è preparato nell’accingersi a scriverlo. Prima di lavorare al romanzo infatti ha collaborato alla sceneggiatura di un docufilm, Fino in fondo, Un ragazzo di San Lazzaro, su Luigi Donini e gli altri giovani che si sono opposti al malaffare nelle cave sui colli di Bologna; ciò ha richiesto ricerche d’archivio, articoli scientifici, interviste ai testimoni, sopralluoghi con speleologi e tecnici… in questo lo ha sostenuto la sua solida formazione universitaria in Letterature Comparate. E purtroppo a margine dell’avventura produttiva c’è stata anche una indegna censura sul nome di Aloe escluso dalle locandine e dai crediti artistici. Di questa ingiustizia consoliamoci allora con la lettura dell’Eco delle mie parole, un po’ bildungsroman e un po’ storia di avventure, di nobili ed eroiche imprese, con tanto di vite sacrificate (muore giovane chi agli dei è caro) e palpitazioni per “come andrà a finire”. Insomma tutti gli ingredienti, sostenuti dalla consueta narrazione elegante e di grande gradevolezza, che riconducono Aloe nella schiera degli scrittori che vogliono molto bene ai loro lettori. E poi lui, per chi lo segue sui social, è quello che una volta si sarebbe definito un intellettuale impegnato, che non esita a metterci la faccia. <<Mi sono imbattuto nella figura straordinaria di Luigi Donini quando ero assessore nella mia città, rendendomi conto che, benché ci siano una via, una scuola e un museo a lui intitolati, in pochissimi conoscevano la sua incredibile e breve vita. Fu un vero e proprio richiamo, che mi ha permesso di conoscere la sua storia, i suoi amici e i colleghi di allora e, infine, i miei personaggi, a loro ispirati>> ci spiega.

Questo romanzo mi è sembrato un corso di educazione sentimentale, in primo luogo, verso se stessi… Non sbagli. Di fatto quello che volevo raccontare era la nascita di una sensibilità nuova, sia nei confronti dell’ambiente in cui i protagonisti si muovono, sia nei confronti della realtà che li circonda: quindi crescita personale ma anche approdo alla maturità relazionale. Di fatto, la loro lotta contro gli scavi selvaggi per l’estrazione del gesso, che stavano distruggendo il Parco dei Gessi, oggi Patrimonio UNESCO grazie a loro, è stata efficace e vincente perché basata sulla maturità sentimentale raggiunta anche come gruppo.

<<Con un errore si muore o si sopravvive nell'errore. La differenza sta tutta là>>, ma come si sopravvive? Si sopravvive all’errore accettandolo, guardandolo in faccia senza scappare, e imparando da esso, anche se fa male fare i conti con i propri errori, soprattutto al nostro ego. Certo, mi è capitato di doverlo fare: ho fatto scelte sbagliate, nella vita. Ma restare dentro l’errore, senza negarlo, mi ha permesso di crescere. La stessa speleologia me lo ha confermato: sopravvivere all’errore e sopravvivere nell’errore vuol dire non lasciare che diventi tutta la tua storia, ma solo una parte da cui ripartire.

La precisione e il rischio di errore mortale convivono nel dispiegarsi degli accadimenti. Come si comprende quando è giunto il momento di abbandonare i propri sogni?

Non credo sia cosa saggia abbandonare i propri sogni. La possibilità di un errore mortale è un monito, è la paura che bisogna mantenere accesa dentro di sé perché ci permette di tornare a casa vivi. Un sogno si può raggiungere anche quando mille strade sono sbarrate. C’è sempre la possibilità, per chi vuole continuare a sognare, di cercare un percorso diverso, magari più lungo e difficile, ma che ti permette di raggiungere la meta.


La passione può salvare la vita e può anche distruggerla, annientarla, togliercela.

Sì, la passione per sua stessa natura è capace di sollevarci dalla banalità della vita, quindi in qualche modo salvarci da essa, ed è per questo che abbiniamo alla passione le immagini più intense: il fuoco, il volo sopra le nuvole, il diavolo. Va gestita con saggezza, altrimenti ti brucia o ti fa cadere. Ne parlava anche Platone nel Fedro, tramite la metafora del carro trainato da due cavalli: quello razionale che segue la strada in modo ragionevole e quello passionale, istintivo, che va dove gli pare. Il nostro Io è come quel carro, scriveva Platone. Duale. Poi Freud ci ha ricordato che le redini del carro ce l’abbiamo comunque noi e dobbiamo riportare il cavallo pulsionale sulla giusta via se non vogliamo andare a sbattere.

<<La principale ragione di esistere di questo parco non è questa bellezza che vediamo sopra, ma quello che c'è sotto...>>.  L'essenziale è sempre invisibile agli occhi?

Non sono un amante dei “sempre” e dei “mai”, per cui non credo sia sempre così. Spesso l’essenziale siamo noi stessi, quello che riusciamo a fare nella nostra quotidianità, quello che creiamo. Tutte cose visibili. Poi c’è l’invisibile, che cela mondi sconosciuti ai più, ma che per alcuni possono diventare spazi di crescita e di rinascita. Serve solo la sensibilità giusta per riuscire a scovarli.

<<Una grotta esiste proprio perché esiste il vuoto della sua roccia>>. Bisogna amare il vuoto dentro di noi?

Bisogna osservarlo, scrutarci dentro, senza esagerare (per evitare il pericolo da cui ci metteva in guardia Nietzsche: “quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro”). Il vuoto è pieno di paradossi, ci attrae e ci spaventa allo stesso tempo, perché è legato all’abbandono, al lutto, alla caduta e alla perdita. Scrivendo L’eco delle mie parole mi sono chiesto: E se anziché provare a colmarlo, quel vuoto, ci scrutassimo dentro alla ricerca di qualcosa, anche minuscola, che ancora brilla nell'oscurità? Una domanda che mi ha aiutato molto, anche nella vita di tutti i giorni.

La tua storia è una discesa negli abissi, nei recessi della geologia. In qualche modo può essere inteso come un invito a rifuggire l’affollamento, l’accumulo di immagini, notizie che non sono tali, l’effimero?

Lo è. Per ricreare fedelmente le sensazioni della grotta ho fatto anche io varie escursioni sottoterra. Ho sperimentato la sospensione del tempo e, spegnendo la lampadina sul casco, ho visto il buio più totale, che poi è come vedere l’universo per quello che è: assenza di suoni e assenza di luce, perché quello che noi vediamo, compresa la luce, è solo un’interpretazione del nostro cervello degli impulsi ricevuti dal nervo ottico. Ma la realtà è buia e silenziosa, fa bene ricordarselo ogni tanto, in questo costante caos di stimoli in cui siamo immersi.

Sembri una persona essenziale, che bada alle cose fondamentali e questo riverbera nella tua narrativa. Cosa dobbiamo imparare in ordine alla solitudine esistenziale che i più si illudono non li riguardi?

La solitudine esistenziale è forse il vero tema di questo romanzo. I personaggi crescono cercando un senso e un significato in quello che fanno, a volte sembra sfuggire anche a loro il vero motivo delle loro escursioni sottoterra. Sono stati proprio i miei personaggi a insegnarmi a scendere in profondità nelle cose della vita, a sentire con intensità, a convivere con il vuoto, a non stancarmi nella ricerca di un significato anche quando sono in balia del caos e del caso. Perché va bene distaccarsi dal mondo, ma non va bene distaccarsi da sé stessi.

I giovani protagonisti si scagliano contro gli abusi ecologici che scoprono. Con quali animo leggi le notizie di questo genere? 

Alterno momenti di rassegnazione a piccole scintille di speranza. I protagonisti della mia storia hanno saputo portare avanti una lotta multidisciplinare, unendo alle azioni di protesta la diffusione dei loro studi, coinvolgendo le persone con idee visionarie e ben ponderate. Davanti agli scempi di oggi, noto con una certa tristezza che questo modo di lottare è andato perso: ora si occupano i ristoranti di Cracco, ci si perde in passive raccolte firme, si blocca l’autostrada per dieci minuti facendo perdere il messaggio sotto le imprecazioni degli automobilisti. Manca un serio approccio multidisciplinare. Il mondo non lo si cambia con il marketing e i video per i social.

Possiamo dire, parafrasandoti, che l’intera esistenza non sia “conoscenza ma aspirazione ad essa”?

Rispondo in modo secco: sì. Obiettivo nobile che rende l’esistenza più sensata, quello di provare a raggiungere la conoscenza senza mai considerarla definitiva e stabile.

Se dovessi spiegarlo a tuo figlio o a un altro bambino, perché hai deciso di fare il narratore?

Gli direi quello che ho detto a mio figlio, e anche a tanti giovanissimi alunni che ho avuto la fortuna di incontrare nelle scuole: ho deciso di fare il narratore perché mi piace raccontare storie e far viaggiare le persone con la fantasia, certo, ma anche perché ci sono storie che è giusto raccontare per non perderle, per non dimenticarle. Le parole di un libro vivono di emozioni, possono far sorridere, pensare, piangere o sognare, e io ho scelto di usare la mia voce per portare quelle emozioni agli altri. Che poi è un modo magico per creare un legame con chi le legge, anche senza incontrarsi mai.

 


Fattitaliani

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