di Andrea Giostra
Ciao Anna, benvenuta e grazie per avere accettato
il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Ciao a te Andrea e ai tuoi lettori. È un onore
essere invitata. Se dovessi trovare una definizione di me stessa, direi che
sono semplicemente una persona appassionata di tutto e particolarmente
interessata alle persone e le loro vite, le loro storie. Che, come diceva Susan
Sontag, è la definizione dello scrittore.
Come nasce la tua passione per la scrittura? Ci
racconti come hai iniziato e quando hai capito che amavi scrivere?
Penso che sia inutile dire che ho sempre amato
leggere e che questa è, secondo me, l'unica formazione professionale necessaria
per qualsiasi aspirante scrittore. Tuttavia, non è stata solo la mia passione
per la lettura a indurmi a scrivere. In realtà non lo avrei fatto se avessi
avuto un'infanzia felice e spensierata e senza conflitti, se i miei genitori non
avessero trasformato il loro matrimonio in un vero e proprio campo di
battaglia. Come ogni bambino sensibile che affronta quella che sembra una
realtà insopportabile, sentivo il bisogno di "scappare" da essa e di
"inventare" la mia, quella che mi potesse andare bene. È così che è
iniziato il mio percorso. Non avendo un posto fisico dove nascondermi, spesso
scappavo nello spazio immaginario creato nella mia testa. Continuavo a dare
l’impressione di essere una bambina introversa e obbediente, paralizzata dalla
sofferenza che mi circondava, mentre dentro di me nascevano mondi nuovi e
sconfinati in cui sentivo di poter respirare a pieni polmoni ed essere
completamente libera. Dopo tutto, i nostri pensieri appartengono solo a noi e
siamo noi le uniche persone a poterli controllare.

Non è del tutto insolito per un giornalista sentire
la necessità di creare qualcosa che non sia destinato ad essere gettato il
giorno dopo, qualcosa che possa avere valore oltre ogni arco temporale. In
effetti, è successo a molti altri autori, come, per esempio, George Bernard
Shaw, che ha seguito anche le sue passioni giornalistiche prima di
diventare famoso per le sue opere teatrali. Quindi, immagino che il mio
desiderio di fare giornalismo abbia a che fare con questa "tradizione”. Ma
il mio percorso non è stato così lineare. Dopo diversi anni trascorsi a
scrivere articoli, è diventato chiaro che il mio impulso di affinare ogni
parola e dare ritmo a ogni linea mi implorava di avere una forma espressiva
maggiormente estetica: la narrativa. Il mio background accademico, invece, mi
ha insegnato ad essere molto organizzata e metodica. Ora, prima di mettere le
mie mani su un romanzo, una sceneggiatura o persino un racconto, faccio una
ricerca approfondita che mi permette di rappresentare esattamente ciò che vedo.
Nel mese di dicembre 2019 hai pubblicato il tuo
ultimo libro, “Marito seriale” editato da Graus edizioni.
Ci racconti come nasce questo libro, dove è ambientato e di cosa narra?
Ambientato a Napoli, dove io ho vissuto per diversi
anni, “Il Marito Seriale” è la storia di un Don Giovanni - un fotografo
di mezz’età, di nome Vittorio Vatturello - che nonostante abbia sposato e, di
conseguenza, divorziato ben cinque volte, non è disposto ad abbandonare la
speranza di trovare il suo vero amore. Dopo il suo ultimo sfortunato divorzio,
Vittorio torna a vivere con sua madre, l’esuberante e a volte impossibile Donna
Francesca (un personaggio che sono sicura tutti noi abbiamo incontrato almeno
una volta nella vita). Ed è forse il mio personaggio preferito di tutta la
commedia. Una volta tornato da lei Vittorio si pone nuovamente il problema di
dover scappare da lei più in fretta che può (e l’unico modo per farlo è,
naturalmente, risposarsi!) Cosi si innamora ancora una volta di una bella e
giovane ingannatrice, per colpa della quale finisce prima in prigione insieme
al suo amico apprendista, Peppino, per poi affrontare tutti i suoi ex amori che
si riuniscono a casa di Donna Francesca. Naturalmente, i miei lettori potrebbero
dire che non è la sua ingenuità a spingerlo a risposarsi continuamente, ma una specie
di infantilismo emotivo proprio di un uomo che in tanti considereranno un
fallito. Infatti, in un dialogo con Peppino, Vittorio confessa di aver
raggiunto i cinquanta senza aver veramente realizzato né i suoi sogni, né la
sua vita. Questa sua onestà insieme alla sua innata bontà ci fanno intenerire,
portandoci a pensare che questo suo continuo innamoramento (che magari potremmo
persino definire come il suo unico vero lavoro full-time) non è altro che una
via di scampo non solo dalla madre (come confessa allo stesso Peppino), ma
anche dalla sua freddezza emotiva, che non può dargli conforto.
Ci sono pochissime donne ad avere i protagonisti
uomini, soprattutto quando si tratta di un vero e proprio Don Giovanni. Cosa ti
spinge a curiosare dentro il mondo maschile?
So scrivere da uomo e mi affascina l’idea di poter
penetrare la mente maschile e di comprendere quel modo di pensare. Poiché’ sono
cresciuta con due fratelli più grandi di me, non ho mai avuto quella resistenza
ad assumere un punto di vista radicalmente opposto rispetto al mio: il che
solitamente diventa un problema di comunicazione fra uomo e donna. Del resto,
anche il personaggio principale del mio precedente romanzo, intitolato "The
Lost Life" - in seguito trasformato in una sceneggiatura
cinematografica - è un uomo.
Cosa devono aspettarsi i lettori e quale il
messaggio che vuoi lanciare loro con questa tua commedia?
Stavo attraversando un periodo estremamente
difficile quando lavoravo su questa commedia e credo che in un certo senso
stavo cercando una via di fuga da tutta la pesantezza che mi circondava. Avvertivo
il bisogno fisico di sentirmi più leggera e di sorridere a tutti i drammi della
mia vita. Ed è stato il lavoro sul Marito Seriale che mi ha salvato da
quel luogo oscuro e mi ha ridato la speranza. Alcuni mesi fa quando ero di
passaggio nella mia città natale (Yaroslavl), ho deciso di far leggere la
sceneggiatura a una delle persone più care alla mia famiglia, un'importante
attrice russa e la prima del primo teatro drammatico russo (il Teatro Volkov),
che all'epoca combatteva con una malattia grave ed era a malapena in grado di
camminare. Non potendo nemmeno promettere di leggere il testo a causa del suo
evidente stato di profondo malessere, prese la sceneggiatura in mano e mi disse
“bene” con un tono assai debole. Dopo circa due ore ho ricevuto una sua
chiamata. Inutile dire che è stata del tutto inaspettata. Non riuscivo a
credere a quello che avevo sentito. Il suo tono di voce era miracolosamente
trasformato: era passato da fragile e senza speranza a energico e pieno di gioia.
"Non riesco a smettere di ridere", ha detto, "mi hai
letteralmente riportato in vita". I miei occhi si sono inumiditi. Ancora
oggi, nonostante gli apprezzamenti che ho ricevuto, non potrei chiedere un
elogio più grande o un riconoscimento più profondo. In quel momento mi sono resa
conto che se potevo aiutare le persone distogliendo la loro attenzione dai loro
problemi, allora stavo facendo la cosa giusta. Ora sono assolutamente convinta che
il sorriso sia la migliore cura possibile contro ogni male.
Una domanda difficile Anna, perché i nostri lettori
dovrebbero acquistare “Marito seriale”?
Proprio per questo motivo. Perché li farà
sorridere, li farà ridere e, come ogni libro ben scritto, li indurrà a
riflettere su alcuni argomenti molto importanti, come l'amore e se quell’amore
che tutti noi siamo cercando dipende dal denaro, dalla posizione sociale o
dalla nostra storia personale. Uso la parola “riflettere” perché’ il libro non
svelta alcuna verità preconfezionata, ma induce chi lo legge a pensare, a
dialogare con il testo stesso. Il lettore, inoltre, verrà immediatamente
attratto dal mondo dei personaggi, caratteristici e vividamente ritratti.
Il 21 dicembre 2019 a Roma hai Presentato il Tuo
libro, “Marito seriale”, con la partecipazione di due grandissimi Attori
di teatro, Vincenzo Bocciarelli e Natalia Simonova, che hai coinvolto per rappresentare
al pubblico alcune scene della commedia. Ci racconti come è andato e qual è lo
stato del riscontro emozionale che hai avuto nel sentire interpretare e
recitare alcuni stralci del tuo libro da due grandi interpreti?
Eccitazione assoluta! Conosco Natalia da alcuni
mesi ormai, ma posso dire che è una persona di enorme energia creativa e
potenziale e, infine, un'attrice davvero dotata, capace di interpretare
qualsiasi personaggio. È grazie a lei che ho conosciuto Vincenzo Bocciarelli,
un attore di grande talento e standing internazionale: quando lo vedi recitare Vittorio,
ti dà l'impressione che Il Marito Seriale sia stata semplicemente scritto per
lui. Insieme a Natalia formano una bellissima coppia di protagonisti, oltre ad
essere molto professionali hanno anche una grande sintonia. Questo magico incontro
con Vincenzo è solo un esempio dello straordinario lavoro svolto con Natalia
nella formazione di una squadra di attori, perfettamente tagliata per
interpretare i personaggi del Marito Seriale. Nel giro di poche settimane abbiamo
già riunito un gruppo di persone il cui entusiasmo ha contribuito notevolmente
a dare vita all’opera sulla scena. Alla nostra squadra si è aggiunta anche la
bravissima e talentuosa scenografa, Tiziana Gagliardi, che ha subito
capito come impostare le scene e farle funzionare nel modo migliore. Adesso
direi che l’unica cosa che ci manca è la produzione!
Ci parli delle tue precedenti opere e
pubblicazioni? Quali sono, qual è stata l'ispirazione che li ha generati, quale
il messaggio che vuoi lanciare a chi li leggerà?
Anche se "Il Marito Seriale" è la mia
prima esperienza come drammaturgo, non è la mia prima esperienza di scrittura. Avendo
pubblicato due libri di carattere scientifico sul settore petrolifero e del gas
come parte della mia esperienza academica, solo dopo ho iniziato a lavorare sul
mio primo romanzo, intitolato "The Lost Life", al quale sopra
facevo cenno. Una volta scritto il romanzo, ne stavo parlando con un amico
avvocato e mi sono resa conto (non senza il suo aiuto, naturalmente) che la
storia era così “visuale”, che semplicemente mi chiedeva di diventare un film. Fu
così che - due anni e mezzo fa - ho iniziato a lavorare sull'adattamento per il
grande schermo, cosa che non avevo mai fatto prima nella vita, ma che mi
entusiasmava molto. Mi piacciono le sfide e mi pongo sempre nuovi obiettivi. Ho
dovuto studiare molto per imparare a scrivere le sceneggiature. Ricordo di aver
dedicato tutto il mio tempo libero a quel lavoro e alla fine ne sono rimasta
molto contenta perché’, contro ogni aspettativa, il risultato ha superato
persino la mia immagine iniziale di quella storia. Quando infine la
sceneggiatura è stata completata, ero così emotivamente svuotata e depressa che
sapevo che l'unica cosa che poteva sollevare il mio umore sarebbe stata
scrivere una commedia. Una nuova sfida!
L'arte è vita. Non saprei come separare le due. L'arte
non è e non dovrebbe essere limitata a ciò che vediamo nei musei o ascoltiamo
nei teatri. La vita, se vuoi, è ciò che genera arte in tutte le sue espressioni
artistiche. Quello a cui stiamo assistendo oggi non è colpa della rivoluzione
tecnologica (cui viene spesso addebitato di averci allontanati dalle
espressioni artistiche). L’uomo è distinto da un animale perché’ ha la capacita
di esprimere le proprie emozioni attraverso le varie forme d’arte come la
musica, la poesia, la pittura, che non sono molto diverse tra loro: in fondo raccontano
sempre le emozioni che vive ognuno di noi. Finché l’uomo esiste, ci sarà anche
il suo bisogno di raccontare le proprie emozioni e quindi ci sarà anche un modo
per fargliele esprimere come la narrativa. Le storie che noi raccontiamo o
leggiamo ci danno la possibilità di vivere completamente e di capire noi
stessi.
Se guardi attentamente, la bellezza la puoi trovare
praticamente ovunque. A tal fine non è nemmeno necessario andare nei teatri o
nei musei. La bellezza è semplice ed è sempre presente. La puoi vedere nel modo
in cui qualcuno parla, tiene un bicchiere o sorseggia da esso. C'è bellezza nel
modo in cui le persone lavorano, quando amano veramente quello che fanno. C'è
bellezza nel riconoscere l'importanza degli altri, nel dire "grazie"
e nel sorridere. La verità è che la bellezza sta sempre negli occhi di chi
guarda e non l'oggetto stesso. Quindi, credo che noi dobbiamo educare noi
stessi e i nostri figli a vederla ovunque.
Charles
Bukowski, grandissimo poeta e scrittore del Novecento, artista tanto geniale
quanto dissacratore, a proposito dell'arte dello scrivere diceva: «Non mi
preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e
basta… i casi sono dovuti: o funziona o non funziona. Non sono preoccupato con:
“Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un
guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free
Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”,
31-6 ottobre 1975, pp. 14-16.). Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia
successo è più importante della storia o quello è scritto (il linguaggio usato
più o meno originale e accattivante per chi legge), volendo rimanere nel
concetto di Bukowski?
Sono assolutamente d'accordo con il suo punto di vista.
Il fatto è che ogni scrittore dirà la stessa cosa: non sai mai veramente cosa
stai scrivendo, fino a quando non ti siedi e ne scrivi. Per quanto riguarda la
forma, immagino che arrivi istintivamente. Direi persino la forma la definisce
la storia stessa. Il lavoro di uno scrittore si riduce a sedersi pazientemente
e ad elaborare le parole che gli arrivano da lassù.
«Quando la lettura è per
noi l'iniziatrice le cui chiavi magiche ci aprono al fondo di noi stessi quelle
porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella
nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci
alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa,
così che la verità non ci appare più come un ideale che deve realizzare solo
con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro
cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto nelle pagine dei libri come un
miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attirare
e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.
» (Marcel Proust, in " Sur la lecture",
pubblicato su "La Renaissance Latine", 15 giugno 1905). Qual è
la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo
della lettura e sull'arte dello scrivere?
Non penso che le considerazioni di Proust abbiano un
fondamento reale oggi. Dubito fortemente che nella società moderna la lettura
possa sostituire la vita. Al contrario, esiste il rischio che la lettura lasci
il posto alla tecnologia. È triste dirlo ma conosco pochissime persone che si
dedicano veramente alla lettura. Soprattutto, le giovani generazioni. Nella
maggior parte dei casi, la tecnologia possiede i nostri pensieri e talvolta
addirittura sostituisce la realtà. Leggere, d'altra parte, invece che rubare la
nostra vita togliendoci il tempo (la cosa più preziosa che abbiamo), ci fa il
regalo più grande di tutti - ci dà tempo, ci fa vivere non una ma centinaia,
migliaia di vite.
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti,
gli scrittori che hai amato leggi e che leggi ancora oggi?
È una domanda molto difficile, perché la vita è in
continua evoluzione e ogni autore ha sempre qualcosa da insegnarmi e non
sarebbe onesto se dicessi che ne preferisco uno ad altri. Detto ciò, devo
confessare che ho sempre avuto la netta sensazione che Fyodor Dostoevskij,
in modo inspiegabile, sia sempre riuscito a dirmi esattamente chi sono e cosa
penso. Ci sono ovviamente altri nomi a cui ritorno di tanto in tanto (e quella
lista è molto lunga - a partire da maestri italiani, come Umberto Eco ed
Eduardo de Filippo ai russi come Anton Chechov, Nikolai Gogol, Boris
Pasternak e gli irlandesi come George Bernard Shaw, Oscar Wilde e Samuel
Beckett, ai miei tedeschi preferiti, Remarque e Rilke, agli
inglesi, Shakespeare e Ray Cooney, ai francesi, Didier Van Cauwelaert,
all'austriaco, Stefan Zweig e al mio americano preferito, F.S.
Fitzgerald). Tutti questi autori (e molti altri) hanno plasmato me e le mie
opinioni. Ma una cosa rimane invariata: Fyodor Dostoevskij è l’unico che
conosce la mia anima.
Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti
assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre
autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della scelta.
Sono molto intuitiva e credo che la scelta di un
libro da leggere debba essere sempre intuitiva e personale. Alcune persone
credono che Tolstoj sia il più grande scrittore di tutti i tempi, ma in
qualche modo ogni volta che io leggo Tolstoj finisco per "litigare"
con lui e le sue idee perché non "funziona" per me. Non è il
"mio" autore. Beh, almeno non in questo momento della mia vita. Ecco
perché, scegliendo un libro da leggere, è una questione personale, quasi sacra.
Sono sempre stata fermamente convinta che sia errato pensare che scegliamo i
libri. È sempre il libro che ci sceglie. Quando dobbiamo leggerlo. Quindi,
suppongo che, invece di dare un "elenco da leggere", consiglierò ai
nostri lettori di andare in una biblioteca o in una libreria e lasciare che sia
il loro intuito a scegliere quello che gli “parla".
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi
appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?
Sto scrivendo una nuova commedia e mi sto
impegnando a mettere in scena Il Marito Seriale, per il quale sto
pensando anche ad una realizzazione cinematografica. Per quanto riguarda i miei
prossimi appuntamenti, seguitemi su Twitter e Facebook!
Anna Novikova
Marito seriale
Andrea Giostra