«Mi piace pensare che le mie poesie siano di tutti: tutti siamo poeti» - di Andrea Giostra
Ciao Giuseppe, benvenuto e grazie
per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Chi è Giuseppe artista-scrittore e Giuseppe uomo?
Sono semplicemente un uomo
innamorato della vita e di tutto quello che la circonda. Artista? Forse.
Scrittore? Può darsi. Quello che è certo è che ho avuto la fortuna di riuscire
a tradurre su carta, nelle foto o sul palco, quello che mi detta l’anima. Se
non lo facessi imploderei. Mi piace pensare che le mie poesie siano di tutti:
tutti siamo poeti. Non tutti, però, riescono a scrivere e allora si ritrovano
nelle mie emozioni, emozionandosi.
Recentemente, fine 2019, hai
pubblicato il libro di poesie “Selfie? No! Autoscatto!”, con “Lulu.com”,
un portale statunitense molto noto in tutto il mondo del self-publishing. Ci
parli di questa raccolta di poesie? Come nascono e quale il messaggio che vuoi
arrivi al lettore?
Non voglio dettare regole, ma mi
piace sentirmi il paladino della lingua più bella e complicata che esiste:
l’italiano. Ormai siamo assuefatti da inglesismi o francesismi. Prendo i mezzi
tutti i giorni e a volte dal labiale o dai gesti riesco a comprendere più uno “srilankese”
al telefono, piuttosto che un gruppo di adolescenti che parlano tra di loro. Il
libro non è solo questo, è una raccolta di poesie che mette a nudo la mia anima
evidenziando quelli che sono i miei aspetti rabbiosi, ironici e romantici.
Parto dalle origini di ragazzo di borgata nato e cresciuto in un quartiere
difficilissimo da famiglia proletaria, fino ad oggi che, all’età di 56 anni,
non smette di emozionarsi ed essere attento a quello che accade ogni giorno
intorno a me come anche a livello internazionale. Questo viene raccontato anche
in romano, per rafforzare a volte l’enfasi del contenuto. Romano, no, dialetto
romanesco, altrimenti non verrei compreso da tutti. Anche a Bergamo mi leggono
e mi comprendono, ecco il perché della scelta del parlare “come magno”!
Perché hai scelto di pubblicare il
tuo libro con “Lulu.com”? Un portale famosissimo, ideato e fondato da
Bob Young, una sorta di mito dell’informatica internazionale.
Purtroppo l’editoria è un po’ in
crisi per non parlare del settore della poesia. Giustamente le piccole case
editrici che mi avvicinano, hanno paura di investire sui poeti. Con l’emozione
non si mangia purtroppo e quindi i contratti che mi vengono proposti sono
condizionati all’acquisto di numerose copie. La diffusione poi avviene tramite
web e allora che ho scoperto Lulu. In modo facile si riesce a
creare un libro da zero e non sei costretto a stamparlo. In modo gratuito puoi
pubblicare e pubblicizzare il tuo libro su internet. Chiaramente Lulu
non è un associazione benefica, ad ogni libro acquistato su internet si prende
una percentuale. È davvero tutto molto facile, lo consiglio a tutti, anche a
chi non ha dimestichezza con il computer.
Ci parli
delle tue precedenti opere e pubblicazioni? Quali sono, qual è stata
l’ispirazione che li ha generati, quali i messaggio che vuoi lanciare a chi li
leggerà?
Ho
pubblicato altri due libri ma mi piace soffermarmi su un’opera in particolare
dal titolo “Non si
muova”. Una storia autobiografica, una poesia che
parla della storia di mia sorella scomparsa troppo prematuramente per un
osteosarcoma. Questa poesia è stata premiata molte volte ed è diventata una
canzone rap ed anche un videoclip che ha vinto il terzo premio internazionale “Città di Latina”. È un modo di sentire mia sorella vicino, di ricordarla, di far
arrivare il suo grido di sofferenza.
Come e quando nasce al tua passione
per la scrittura?
Nasce circa vent’anni fa. Persi il
lavoro e mi ritrovai con il “sedere” per terra. Lo stipendio di mia moglie era
sufficiente per provvedere ai bisogni primari, ma non ci pagavo le bollette e
soprattutto il mutuo. Invece di buttarmi giù, mi uscì una forza innaturale ed
insieme a quella la vena poetica. Iniziai a scrivere notte e giorno, solo in
romano, e tutte poesie molto dure. Raccontai dei problemi adolescenziali e di
tutto il marcio che mi aveva circondato dai 12 anni fino ai 20. Mi accomodai
all’ultimo banco per dare voce agli ultimi. Temi come droga, sessismo,
disoccupazione, inquinamento ed emarginazione, pulivano la mia anima dalla
rabbia aiutandomi a non cadere ma a reagire.
Qual è il percorso formativo ed
esperienziale che hai maturato e che ti ha portare a realizzare le tue opere?
Non mi vergogno a dirlo, sono un
autodidatta. Molto probabilmente, anzi sicuramente, i miei versi, i miei
scritti, i mie copioni, non sono perfetti ma a detta di molti arrivano dritti
addosso come un treno, perché veri, di pancia. Certo se avessi studiato forse
la mia carriera, soprattutto quella di attore, avrebbe avuto più successo. Però
meglio tardi che mai, considerato il fatto che il mio maestro è stato Remo
Remotti che si è esibito fino a 90 anni.
«Non mi preoccupo di cosa
sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono
due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una
poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto
giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben
Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los
Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.). Cosa
ne pensi delle parole di Bukowski? Secondo te è più importante quello che viene
narrato (la storia) o come è scritta (il linguaggio utilizzato)?

«Il ruolo del poeta è
pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo
uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare
uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n.
4, March 1963, pp. 1-7). Tu sei scrittore e poeta, cosa ne pensi delle parole
di Buk sui poeti suoi contemporanei, e forse anche sui poeti di questo secolo?
Qual è secondo te oggi il ruolo del poeta nella nostra società contemporanea
dell’Homo technologicus?
In questa frase, paradossalmente,
intravedo debolezza e contraddizione. Probabilmente il poeta è un mollaccione,
ma i capi non sarebbero veri capi, se non consapevoli delle debolezze e della
sensibilità degli uomini. Io, forse perché mi ritengo un poeta “metropolitano”
sono tutt’altro che mollaccione, ma ribelle e “incazzato”. Riflessivo e
romantico, ma “sveglio” e pungente. Il ruolo del poeta nella società
contemporanea? Lavorare sull’uomo tecnologico, cercare di stimolargli
continuamente quella parte di cervello non reale, razionale, per permettergli
ancora di sognare … per non morire.
Chi sono i
tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori e i poeti che hai amato
leggere e che leggi ancora oggi?
Il mio
maestro, l’ho detto, è stato e rimarrà Remo Remotti, un vero
poeta metropolitano, un artista completo. Poeta, attore, pittore. Uno che
nonostante originario di una famiglia alto borghese e di aver in gioventù
frequentato gli intellettuali di una certa levatura e ambienti altolocati,
scelse di fare il barbone, vivere per strada e conoscere “l’odore” dell’asfalto
per percepirne gioie e dolori. Io “fortunatamente” le origini le ho proletarie
e la strada l’ho vissuta senza doverla scegliere come “palcoscenico” della
vita. Mi ha insegnato tanto e la sua storia mi è servita per migliorarmi. Ai
miei figli la racconto sempre …
Se dovessi
consigliare ai nostri lettori tre libri e tre autori da leggere, chi
consiglieresti e perché proprio questi?
“Un Uomo” (1979) di Oriana Fallaci; “Underground:
a pugno chiuso!” (1973) di Andrea Valcarenghi;
“Prima che vi uccidano” (1976) di Giuseppe Fava. Perché
proprio questi? Serve una spiegazione?
Tre film che rispecchiano la mia
personalità, romantica, ribelle e ironica. Capolavori della fotografia, o della
colonna sonora o della sceneggiatura: “I ponti di Madison County” (1995),
“Il Padrino” (1972), “Perfetti sconosciuti” (2016).
Una domanda difficile Giuseppe: perché i
nostri lettori dovrebbero comprare i tuoi libri? Prova a incuriosirli perché
vadano in libreria o nei portali online per comprarne alcuni.
Scusa se ti rispondo in modo un po’
asettico, non voglio convincere nessuno, non amo convincere la gente. Io scrivo
per passione e per me, ripeto, altrimenti implodo. Io mi emoziono continuamente
e vorrei che lo facesse il pubblico leggendomi. Vorrei che fosse per caso o per
sentito parlare e che l’incontro fosse casuale. Il mio primo libro lo
abbandonai ad una fermata della metropolitana a Roma. Venne raccolto letto e
riabbandonato. Questo libro è tornato da me dopo essere arrivato fino in
Francia … piansi.
Quali sono i tuoi prossimi progetti
e i tuoi prossimi appuntamenti di cui ci vuoi parlare?
Con l’avvento di internet, sono stati introdotti
nuovi format di intrattenimento, uno di questi format è stata la comedy
web-series. Amante da sempre di cinema con il sogno nel cassetto mai avverato
di fare l’attore per professione, ho inventato e pubblicato una serie dal
titolo “I sotterranei”, dove curo la regia, la sceneggiatura, la
fotografia, il montaggio, la musica e dove recito. Con Cristian Giallini,
l’altro attore che contribuisce con me nella riuscita di questa serie, ci siamo
rinchiusi dentro un sotterraneo almeno da un anno, portandoci cibo e bevande
per altri anni, perché stufi di un mondo marcio, corrotto e con tutte le brutture
che devi subire e che ormai la società offre con poche alternative. Nascono
divertenti gag comiche dove si affrontano e si raccontano episodi che ci hanno
convinto a richiuderci.
Come vuoi chiudere questa
chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?
Se state leggendo questa intervista,
significa che navigate sui portali di cultura, che evidentemente leggete, che
andate al cinema oltre a fare cose banali. La cultura è civiltà … la cultura
può salvare questo mondo che va verso “la rovina”, “l’abbrutimento” e “l’abbrutire
delle persone” … ma parola di POETA METROPOLITANO: questo mondo si salverà!
Giuseppe
Mincuzzi
Come acquistare il
libro:
Andrea Giostra