Jeanne d'Arc au bûcher a La Monnaie. Romeo Castellucci cerca l'anima nell'eroina francese. La recensione di Fattitaliani

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(trailer) A La Monnaie, teatro d'opera della capitale belga, Romeo Castellucci realizza una Jeanne d'Arc au bûcher di Arthur Honegger (cast), nella versione con prologo del 1946, con la direzione musicale di Kasushi Ono e una magnifica Audrey Bonnet, grande nella sua scarna nudità: nuda perché Castellucci ha voluto scavare ben oltre l'orpello dell'apparenza e oltre lo stesso  ruolo sociale - perché anche il ruolo è una funzione/finzione che  nasconde l'essenza - per arrivare a quel nocciolo  misterioso di ognuno che ne contiene l'impronta unica e metafisica.
Il regista lo dichiara già nell'incipit, quando Jeanne, smontata l'aula scolastica con cui si apre la rappresentazione (una vecchia aula come può essere stata quella di una scuola italiana di tanti anni fa, forse del tempo dell'infanzia di Castellucci) da ogni orpello e da ogni funzione (banchi e sedie), non si ferma e prosegue nello smantellamento, togliendo anche il pavimento, per arrivare al punto finale, alla terra, cioe' al nucleo essenziale.
In questo percorso verso la verità di Jeanne d'Arc svolge un ruolo essenziale il coro, non contorno ma elemento del racconto; il coro è la realtà che «la» circonda ma è anche la realtà che «ci» circonda: posizionato in alto a contornare la platea, il coro parla di/a  Jeanne ma anche di/a ciascuno di noi spettatori, e da contenuto scenico  diventa, nostro malgrado, contenuto che "ci" riguarda; anche stavolta Castellucci ha rotto lo schermo fra realtà e rappresentazione scenica; come l'attrice Audrey Bonnet è il movimento il corpo la pelle la voce di Jeanne, il coro è la realtà circostante ma anche il pensiero  e anche il 'non detto' di Jeanne:  è la narrazione, lo svolgimento, la trama - interiore e esteriore - della persona Jeanne e della realtà che la circonda.
La musica di Honegger è splendida e facile, ricca, solenne e talvolta intima, come è giusto che sia per raccontare una vicenda che è intima ma che è anche sociale, un racconto che affonda nella storia di Francia e vi si libra come mito fondante ma che resta nella sua essenza - tolte le sovrastratificazioni - intimamente umano. Usata alla bisogna dalla chiesa come Santa Vergine e martire ortodossa, dalla retorica storica francese come Eroina liberatrice contro l'oppressore straniero, strattonata dalla Sinistra come icona femminista, o stiracchiata dalla Destra fino a farne una improbabile sovranista lepeniana, Jeanne è stata usata in tutte le possibili salse, diventando fin dai primordi una sorta di icona mediatica, una specie di Jackie Kennedy del tardo Medioevo, una immagine vuota riempita delle proiezioni dell'ideologia di turno, icona senza più alcuna intima sostanza: come Jackie, Giovanna sarebbe stata magnifica materia per «Der Tod und das Mädchen I - V, Prinzessinnendramen» di Elfriede Jelinek!
Castellucci ha lavorato sull'idea di Jeanne, restituendole il soffio vitale toltole dalle stratificazioni/mistificazioni che le si sono incrostate nei secoli, ridandole una nudità che ce l'ha resa percepibile, ben visibile seppur in quella dimensione artistica che peró svela, a chi sa guardare, più di quanto non possa l'umana concreta storicità.
Questa rappresentazione de La Monnaie ha cercato di disincrostare una realtà vitale da tutte le superfetazioni che nel tempo la hanno ricoperta, come una vegetazione marina che si è incrostata a un relitto fino a renderlo prima irriconoscibile e poi a disintegrarlo! Castellucci ha voluto riportare alla vita questa icona nella sua semplice, vitale, scarna nudità di umano Cristo crocifisso! Come Cristo crocifisso, povero cristo crocifisso, è ogni uomo di buona volontà che nel suo - o eroico  o sconosciuto destino -  cerca, contro tutto e contro tutti, di fare quello che ritiene essere il Bene. 
Il regista ha fatto un lavoro assolutamente "laico" ma intimamente e profondamente conforme al messaggio cristiano; tuttavia, la messa in scena è stata preceduta dalla inappellabile condanna di un gruppo di cristiani benpensanti ultra-ortodossi, che hanno addirittura cercato di impedire la rappresentazione, leggendola  come una messa in scena sacrilega: rattrista molto vedere che nel 2019, nella civilissima Europa ci possa essere ancora qualcuno che ancora non capisce il valore della libertà creativa.
A questi cristiani dell'intolleranza rispondono i cristiani di "Inteso, no" di Costantino Kavafis: "Sulle nostre credenze religiose, il fatuo Giuliano disse: “Ho letto, ho inteso, ho condannato”. Quasi ci avesse annichilito con quel suo “condannato”. Che buffone! Tali motti non hanno presa su noi cristiani. Subito rispondemmo: “Hai letto; inteso, no: se avessi inteso non avresti condannato”.” 

Giovanni Chiaramonte.
Fattitaliani

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