In copertina: Henri Matisse (Le
Cateau-Cambrésis 1869 – Nizza 1954), “Gatto e pesci rossi”, 1911, olio
su tela.
Il racconto “Oscar” è
tratto dal libro “I Miracoli dei Gatti”, Massaggi Mentali Ed., Ravenna,
2016.
«Questo è il racconto spirituale tratto dal mio
romanzo "I miracoli dei gatti" e mi è stato ispirato da una
storia vera di cui ho sentito parlare in tv alcuni anni orsono. Ho immaginato
per il protagonista chiamato a svolgere un compito così importante altre vite
accanto a personaggi straordinari che hanno fatto la storia. È l'unico quadretto
del libro scritto in prima persona per esaltare la consapevolezza di questo
gatto. Chi come me ama il cinema troverà succosi rimandi a famosi film che
invito a scoprire.»
Maria Cristina Bellini
OSCAR
Lo sapevo. L'ho sempre saputo. Fin dalla mia prima vita da gatto Mau
accanto alla regina Nefertari. Agli altri della mia stessa razza lasciavo
l’incombenza di liberare dai roditori gli enormi silos di grano che si
stagliavano nel sole in mezzo alla sabbia, di riprodursi e accudire la prole
per assicurare il futuro e la diffusione della specie. Niente esplorazioni dei
giardini, delle piramidi, niente rincorse a topi, uccellini e farfalle, niente
giochi con altri gatti. Io ero antenna fra l’Universo e gli esseri umani. Mio
era il compito di fare da tramite recapitando i messaggi del grande disegno. La
bellissima regina, dotata e sensibile, dalle mani così morbide, mi chiedeva di
saltarle in grembo sulle fruscianti vesti di seta dorata ogni volta in cui
aveva una decisione da prendere, un destino da indirizzare, perché lei era
l’Egitto. Accarezzandomi mentre facevo le fusa la sua mente entrava in quello
stato che la portava nel mezzo del nulla da cui tornava poi alla realtà con un
indizio, una soluzione per il bene di tutti. E quando avevo un messaggio da recapitarle,
anche nel cuore della notte stellata non esitavo a raggiungerla attraversando
sicuro i corridoi dalle alte volte dell'immenso palazzo reale, ombra fra le
ombre. Le nerborute guardie a torso nudo erano abituate a vedermi passare,
nessuno poteva sferrare la lunga lancia contro di me, nessuno poteva fermarmi e
a me non interessava fare amicizia. Anche se ero gentile con tutti il mio amore
e interesse erano solo per Nefertari. Saltavo sulle lenzuola profumate di
kyphi, la miscela dalla formula segreta creata solo per la regina, un trionfo
di incenso, mirra e cannella di cui si cospargeva i capelli per favorire il
sonno e i bei sogni. Acciambellandomi appoggiato a lei univo la mia mente alla
sua e, quando il sole filtrava dalle sontuose tende nella camera rimbalzando
sui mobili di squisita fattura, si svegliava credendo di aver visto in sogno la
strada da intraprendere. La mia vita era felice e privilegiata, accudito da
oracolo quale ero e anche se gli umani erano inconsapevoli del mio ruolo pure
avevano d'istinto grandi riguardi nei miei confronti.

Il mio aspetto è cambiato nelle reincarnazioni e sono stato il primo di molte
razze che si sarebbero poi diffuse in seguito. Da gatto Certosino ho suggerito
l'idea degli specchi ustori ad Archimede durante l'assedio di Siracusa e lui mi
stava accarezzando la testa dalla vasca quando esclamò: «Eureka!» perché aveva
trovato il suo Principio. Sono stato il gatto d'Angora rosso di Confucio, “il
messaggero che nulla ha inventato”, nell'era delle primavere e degli autunni,
tempo di anarchia e d'instabilità politica. Sapevo che le guerre tra i signori
dei vari stati feudali si sarebbe trascinata nell'epoca successiva, il periodo
dei regni combattenti, e che il sogno e la preveggenza del filosofo si sarebbe
avverata dopo un paio di secoli anche se non come lui l'avrebbe voluta. Il
Guerriero Senza Nome, con la complicità di Cielo, Neve Che Vola e Spada
Spezzata, si sarebbe avvicinato alla distanza di dieci passi dal tiranno e non
lo avrebbe ucciso perché aveva capito che, pur con grande spargimento di
sangue, questi avrebbe unito la Cina sotto un unico cielo ridando poi pace e
prosperità al popolo. Il momento che preferivo insieme a Confucio era quando si
dedicava alla lettura e consultazione dell'I Ching, Il Libro dei Mutamenti, il
millenario testo sapienziale. Sentivo la presenza dei Santi Saggi e la loro
gioia per il suo contributo all'interpretazione.
Conclusi anche quella vita, grato per averla vissuta, e rimasi a lungo nel
limbo. Seguirono tempi bui per la mia razza e anche se la mia vita è sempre
stata protetta il mio compito è facilitare la prosperità e progredire con
energia nel bene. Infatti, se facciamo al male il favore di combatterlo colpo
su colpo alla fine perdiamo perché in tal modo anche noi rimaniamo coinvolti
nell'odio. Perciò, restai spettatore del succedersi degli eventi umani e delle
epoche in attesa di tornare in questo piano di esistenza notando che cambiavano
le condizioni di vita dell'uomo, mai la sua natura.
Isabella di Spagna mi donò, nella mia forma di Main Coon, e insieme ai suoi
gioielli più preziosi per finanziare l'impresa, a Cristoforo Colombo. Con lui
divisi l'alloggio nell'ammiraglia, la Santa Maria, durante il viaggio verso il
Nuovo Mondo mentre gli altri gatti si occupavano di liberare dai topi la
cambusa. Io rassicuravo Colombo che il suo progetto di arrivare alle Indie era
giusto quando per giorni e giorni non si vedeva altro che l'oceano e
l'equipaggio insisteva nell'invertire la rotta minacciando di ammutinarsi. Gli
ero in braccio quando lui vide una luce in lontananza, come una piccola candela
che si levava e si agitava, la notte precedente l'avvistamento della costa.
Sbarcai al suo fianco e i nativi non riuscirono a vedermi perché non erano
ancora pronti a ricevere l'informazione della mia presenza.
Sono stato il gatto di Manx dell'astrologo di Bess, Elisabetta I, la regina
che guardava gli ospiti come attraverso una lastra di vetro. Erano tempi di
congiure, di alleanze prima firmate e suggellate dalla ceralacca con il sigillo
reale e poi disattese per motivi religiosi di assoluta convenienza o per creare
nuove alleanze più proficue, come durante il regno del padre Enrico VIII. Tempi
di matrimoni combinati per assicurarsi il favore dei potenti e garantirsi la
sicurezza mettendo in pratica il motto latino “se non puoi vincerli, alleati”.
Ma nonostante i giochi, gli scambi di terre e possedimenti, l'avidità umana non
conosce limiti di linea di sangue, alleanze o coerenza. Quando la Spagna
dichiarò guerra all'Inghilterra, ovviamente per motivi puramente legati alla
religione come fosse una nuova crociata contro gli infedeli, Bess era molto
preoccupata per il destino del suo popolo di cui sentiva la responsabilità e
l'amore. Chiese consiglio all'astrologo, che mentre mi accarezzava le disse di
incendiare le navi sul Tamigi per sbaragliare l'Invincibile Armada spagnola
perché quella notte il vento avrebbe mutato direzione portando la vittoria
all'esercito inglese. William Shakespeare, Francis Bacon e gli altri poeti alla
sua corte mi hanno coccolato e tenuto in grembo dando poi vita ai loro
capolavori e teorie filosofiche.
Ispirandosi a me, Egdar Allan Poe scrisse “Il gatto nero”, romanzo che lo
rese famoso, inventando così il racconto poliziesco e il giallo psicologico che
tanto successo e diffusione hanno tuttora nel mondo in forma di racconti e
film. Perché l'essere umano non vive di solo progresso e scoperte, la ricchezza
è anche divertimento intelligente e il divino si manifesta nascondendosi nelle
forme artistiche non escludendone alcuna.
Sono stato un Blu di Russia alla corte di Alessandro secondo che comprese
la necessità di concedere l'indipendenza ai contadini. Quante serate trascorse
insieme nel suo immenso studio alla luce delle candele e della fiamma
dell'enorme camino dove i grandi ciocchi ardevano costantemente schioccando e
sprigionando il loro profumo di resina. Lo aspettavo accoccolato su uno dei sontuosi
cuscini di damasco ricamato, una volta entrato lui si dirigeva sicuro alla
grande scrivania di pregiatissimo legno scuro e si adagiava sulla poltrona
degna di uno Zar come lui. Aveva un gran buon gusto, adorava il bello e
apprezzava i prodotti della geniale creatività umana di cui amava circondarsi.
Io, dopo essermi stiracchiato con grazia come solo noi gatti sappiamo fare,
saltavo sulla poltrona di morbido velluto rosso accanto alla sua e cominciavo a
fare le fusa. Alessandro era contento della mia presenza, quando mi faceva le
coccole sentivo il polsino inamidato della camicia e il pesante tessuto della
giacca militare. Si batté e ottenne una legge sull'emancipazione della servitù,
era il momento, i tempi stavano cambiando. Il popolo si preparava alla
rivoluzione che avrebbe dato nuova forma, non solo geografica, al mondo, pur se
ancora lontana.
Einstein amava accarezzare il mio lungo pelo di Persiano tartaruga, diceva
che non sapeva come, ma era sicuro che quell'attività gli rendesse il pensare
più fluido e semplice. Per non disturbarmi mentre dormivo appoggiato alla sua
mano sinistra si mise a scrivere con la destra, pur essendo mancino, la sua
teoria della relatività, cambiando per sempre l'idea dell'universo così come
era conosciuto. Trovo molto curioso il fatto che Erwin Schrödinger abbia
pensato ad un gatto, pochi anni dopo, per il suo paradosso ancora citato
tutt'oggi. Davvero bizzarro, come le menti che lavorano ad uno stesso argomento
o progetto si influenzino l'un l'altra.
E io non ho fatto nient'altro che recapitare messaggi alle menti illuminate
che potevano migliorare il mondo. Ma la scelta è sempre stata la loro, di
mettere in pratica o meno i suggerimenti che ricevevano senza neanche rendersi
conto di come succedesse. E ogni mia vita è stata privilegiata, ne sono
assolutamente consapevole. Ho avuto sempre cibo di ottima qualità in abbondanza,
giacigli morbidi e sontuosi e tanto, tanto affetto e coccole. Sono stato amato
e ho amato tutte le persone con cui ho condiviso le mie esistenze e ringrazio
loro e chi li ha uniti a me. Ho lasciato ogni vita serenamente, senza traumi né
rimpianti perché sapevo che di lì a poco avrei vissuto un'altra avventura
accanto ad una mente straordinaria. Ora, prima di ricongiungermi
definitivamente con il Creatore, mi era stato affidato il compito più
importante.
«Sapessi cosa ho trovato! - la voce di Valeria era eccitata e stupita al
telefono -Appena puoi passa di qua, vieni a vedere!». Vittoria rispose che nel
pomeriggio sarebbe andata da lei nella clinica per disabili mentali poco fuori
città dove svolgeva la sua attività di infermiera. Amava il suo lavoro, era
contenta di accudire quelle persone spesso abbandonate da famigliari e amici
perché non potevano dialogare. Molti pazienti non si accorgevano nemmeno delle
visite, e, piano piano, rimanevano soli nei letti che diventavano sempre più
grandi per loro. Lei parlava ai degenti quando se ne occupava, sperava di
portare conforto raccontando quello che le succedeva, com'erano il tempo e la
temperatura, e a volte canticchiava a mezza voce. Troppe anime vagavano ancora
in questa clinica, anime che non sapevano come lasciare quel posto, cosa
dovessero fare, non avevano una guida. Quei poveri esseri in pena ogni tanto
apparivano, fluttuanti e confusi, spaventando i malcapitati mortali testimoni
di quei fenomeni. Talvolta facevano cadere strumenti ed esplodere luci,
terrorizzando il personale che non riusciva a trovare una spiegazione logica e
rassicurante a quelle manifestazioni. Valeria mi trovò proprio fuori dalla
porta secondaria della clinica in una tiepida mattina di primavera e si
innamorò del mio lungo e morbido pelo bianco e grigio. Si vedeva che ero un
cucciolo, eppure lei notò la profondità dei miei occhi, le sembrò che
conoscessero tutto il mondo, e così era. «Guarda Vittoria, guarda! Non è un
amore di gattino?». Nella guardiola delle infermiere, dall'odore tipico dei
medicinali che il profumatore non riusciva a mascherare del tutto, l'infermiera
mi teneva amorevolmente in grembo: «Quando l'ho trovato mi sei venuta in mente
tu, anche se so che avrei dovuto chiamare Paola, non so perché, volevo proprio
che tu lo vedessi. È così dolce e affettuoso, non ha smesso di fare le fusa da
quando l'ho trovato. Gli ho dato un po' del mio pranzo e ha mangiato come un
lupetto! Cosa dici, che nome diamo a questo tesoro?»
L'amica era entrata andando dritta verso la sedia in angolo su cui posare
la borsa, poi si girò e vidi che fu presa da uno strano senso di torpore appena
mi guardò. «Oscar!» - esclamò di getto. Presi un respiro profondo, chiusi gli
occhi e chinai la testa. «Mia regina, sono felice di rivedervi. Riconoscerei i
vostri occhi fra mille e più di mille e pur se ora indossate abiti sportivi ben
diversi da quelli regali la vostra figura è la stessa. Questa volta il mio
compito non è di stare accanto a voi anche se lo farei ancora molto volentieri.
Devo proprio rimanere proprio nella clinica» - e riaprii gli occhi. Queste
parole risuonarono nella testa di Vittoria in un lampo, lei non ne fu del tutto
cosciente, vidi che la voce dell'infermiera la scosse riportandola alla realtà:
«Sì, Oscar è un bel nome. Tu che ne dici, piccolino?». Per dimostrare la mia
approvazione le leccai la mano, lei apprezzò molto il mio gesto e proseguì:
«Dovremo trovarti una bella casa, con persone che ti vogliono bene - sospirò -
mi piaci così tanto!». «Tienilo qui - disse l'amica in tono basso e profondo
come quando proclamava gli ordini per il bene del proprio popolo - può restare
con te e i tuoi colleghi, so che amano i gatti. Sono sicura che questo è il
posto migliore per lui, quello in cui deve stare. Il veterinario verrà presto a
visitarlo e vaccinarlo, fino a quel momento tienilo dentro la guardiola per
sicurezza anche se mi sembra sano».
«Grazie, mia regina - pensai - vorrei salutarvi ancora una volta». Vittoria
si chinò e io mi feci prendere in braccio. Le sue mani erano ancora così
morbide come mi ricordavo e percepivo il suo grande amore per me. Anche se ora
li portava corti, i suoi capelli corvini avevano lo stesso profumo d'incenso
del kyphi e per un attimo mi ritrovai insieme a lei nell'immenso palazzo reale.
Il suo viso si trasfigurò e i lineamenti divennero quelli della regina che
avevo tanto amato. Sapevo che lei non era consapevole di questa parte di se
stessa così come sapevo che non dovevo fargliela scoprire, l'Universo aveva
incrociato nuovamente i nostri destini per un momento perché io potessi
assolvere il mio ultimo compito. «Oh, cara, che faccia che hai! Sembra che tu
abbia visto un fantasma! Vieni, ti ci vuole un caffè. Ho già preparato un
cuccio per Oscar, mettiamolo a nanna» - disse Valeria prendendomi dalle braccia
dell'amica. In precedenza aveva sparso sul tavolo le siringhe tolte da una
scatola di cartone in cui aveva messo qualche coperta ormai non più adatta ai
degenti. Anche se non era la cesta regale cui ero abituato era comunque comoda
e adatta all'occasione e, adagiandomi con delicatezza, mi promise che presto
avrebbe provveduto a fornirmi una sistemazione dotata di ogni comfort.
Mi accovacciai, feci un bel respiro, sentii le due amiche uscire
chiacchierando dalla guardiola, salutai la mia regina e ringraziai per averla
potuta incontrare ancora. Poi chiusi gli occhi e mi gustai il meritato riposo
nell'attesa che la mia avventura cominciasse. Le infermiere, entusiaste della
mia presenza, mi spupazzavano e coccolavano durante i loro turni e tutti erano
affettuosi con me. Non avevo fretta di uscire a vedere come fosse la clinica,
ero già stato informato. Il veterinario fu molto gentile, avevo visto un bel
futuro di prosperità fra lui e Vittoria sempre che entrambi lo avessero
accettato. So bene cos'è il Karma, la mia regina lo aveva pagato ormai, poteva
ben vivere di nuovo felice. Pregai in cuor mio che così sarebbe stato, in fondo
ho bene un canale preferenziale con l'Universo! Sono cresciuto sano, bello e
robusto, come sempre, e mi sono dedicato al mio compito con la mia abituale
solerzia.
Il patto con la Grande Mietitrice è chiaro, una persona da accompagnare
alla volta, ognuno ha i propri tempi. Quando sento il richiamo esco dalla
guardiola in cui vivo e mi dirigo spedito e sicuro dalla persona che mi è stata
indicata. All'inizio qualche medico o infermiere aveva cercato di trattenermi
con giochi e carezze che ho sempre rifiutato, oppure voleva impedirmi di
entrare nella stanza in cui ero stato chiamato. Ora, dopo tanti episodi, mi
lasciano passare per i corridoi e le scale come facevano le guardie di
Nefertari anche aprendomi qualche porta se necessario. Entro nella camera,
salto sul letto della persona, mi accoccolo appoggiandomi ad un suo fianco,
chiudo gli occhi sospirando, ed entro nel mezzo del nulla. Le menti dei
ricoverati sono in una barca sospesa sull'acqua fra due sponde in mezzo alla
nebbia, non hanno coscienza di se stessi, non possono chiedere l'aiuto e il
conforto di un ministro religioso o dei loro cari nel momento del trapasso.
Ognuno si accorge del mio arrivo dall'increspatura sull'acqua e dalla luce
diventata più intensa.
«Che succede?».
«Sono qui per aiutarti a slegare la corda che ti tiene ancora alla riva e
lasciare questo piano di esistenza per andare dentro la Luce. Stai tranquillo,
è tutto a posto».
«Allora è il momento!».
«Sì, è il momento di ricongiungerti. Le tue faccende sono sistemate da
tempo, ormai. Con la tua permanenza in questo luogo e in queste condizioni hai
pagato il tuo Karma, ti sarà facile passare oltre».
«È un sollievo, finalmente la mia vita prende una direzione precisa».
«Ora puoi lasciare i quattro elementi della vita, cominciando dalla Terra,
poi il Fuoco, poi l'Acqua».
«I miei cari! Anche se sono venuti a trovarmi, non li ho riconosciuti, non
me ne sono accorto. Vorrei tanto vederli un'ultima volta».
«Puoi farlo ora, la corda è slegata. Rimarrai ancora sospeso fra le due
sponde e potrai andare dai tuoi cari ovunque siano. Ti vedranno solo i bambini
come un'apparizione fugace e tutti sentiranno la tua carezza come un soffio».
«E sapranno che sono io?».
«Sì, penseranno a te in quell'istante. Qualcuno ne sarà consapevole, per
altri sarà come un lampo».
Anch'io percepivo l'amore che la persona provava nel rivedere i propri
affetti in quell'attimo di eternità senza spazio né tempo.
«Sono pronto, vedo una Luce più forte di mille soli, è meravigliosa! Provo
una grande gioia!».
«È là che devi andare, proprio dentro la Luce, dove ti aspettano per
accoglierti i tuoi cari che ti hanno preceduto. Ecco, puoi lasciare anche
l'ultimo elemento, l'Aria. Sei in Pace, ora». Dopo che hanno serenamente
esalato l'ultimo respiro resto accoccolato sul letto ancora per mezz'ora, ad
occhi chiusi. Poi mi stiracchio, scendo e attraverso i corridoi per tornare
nella guardiola a rifocillarmi.
Una dottoressa della clinica aveva capito, dai miei occhi, non tutto ma
intuiva che avevo un compito speciale e avrebbe voluto fare amicizia. Rifiutai,
non posso avere amici, non so chi dovrò accompagnare.
Maria
Cristina Bellini
Andrea
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