Al
Teatro della Cometa fino al 6 maggio “Grotesk! Ridere rende liberi” di Bruno
Maccallini e Antonella Ottai. Con Bruno Maccallini.
Kabarett Ensemble: Stefano Costantini: Tromba. Flavio Cangialosi: Contrabbasso,
Pianoforte, Percussioni. Pino Cangialosi: Pianoforte, Fagotto, Percussioni,
Fisarmonica.
Regia: Bruno Maccallini. Musiche Originali: Pino Cangialosi. Voce narrante:
Franca d’Amato.
Raramente, è stato detto, una società si è
rappresentata in modo così diretto nel dramma come durante la Repubblica di
Weimar. Berlino in quegli anni era non solo capitale della cultura ma anche
della comicità e della satira. Una città che già dalla fine degli anni '20 era
in grande fermento, di gran lunga superiore a Parigi.
L’avanzata della destra e il progressivo deterioramento della democrazia, fece
sì che una società che voleva essere più giusta e moderna si consegnò alla più
spietata dittatura del secolo.
A dar voce all’orrore che seguì da lì a poco, è Grotesk, interpretato magistralmente da Bruno Maccallini. Grotesk è un
personaggio immaginario che rappresenta gli Artisti ebrei deportati nei campi
di concentramento e che facevano satira contro Hitler, pur avendo tra le prime
file i gerarchi delle SS oltre agli stessi internati. Grotesk è un tuttofare,
passa dal ruolo di cerimoniere a quello di ventriloquo e da grande affabulatore
narra i fatti dei Kabarettisti di Berlino che nel campo avevano continuato a
suonare lo stesso repertorio di quando erano liberi e stimati. Continuano a
suonare sperando di farla franca e invece i nazisti, li usano solo come
propaganda.
La scena è buia ed è frammezzata da veli, sulla sinistra ci sono i musicisti
che accompagnano con la musica il testo, Grotesk e l’orrore che si dipana.
Scorrono video con i filmati dell’epoca.
È una storia che andava raccontata sottolineando che il dolore era veramente
esistito in maniera esponenziale, passando dalla tragedia alla risata perché
ridere rende liberi.
“E proprio quando non c’è nulla da ridere che la risata squassa il mondo e si
capisce che erano quinte…”
Chi è Grotesk?
È un personaggio immaginario che viene da tanti grandi
cabarettisti degli anni 30 che
recitavano sui migliori palcoscenici d’Europa. Berlino in quegli anni era non
solo capitale della cultura ma anche della comicità, della satira. Una città
che già dalla fine degli anni 20 era in grande fermento. Purtroppo poi, alla
fine deli anni 30, ci avviciniamo al baratro finale. I cabarettisti vivevano un
momento di grande splendore. Per fare un accostamento anche se non del tutto
calzante, questi comici potevano essere paragonati al nostro Ettore Petrolini.
Erano artisti riconoscibili, molto famosi, possedevano un grande carisma ed una
loro comicità pungente, raffinata, mai scontata. Erano i padroni dei Teatri di
Cabaret e di Rivista ed erano quasi tutti Ebrei. Cosa succede nel 1938 con la
promulgazione delle leggi razziali? Molti di loro riescono a scappare, altri
invece decidono stoicamente, in maniera del tutto coraggiosa di resistere e
continuare ad esercitare la loro professione in teatri clandestini dove c’erano
oppure nei ghetti. Pochi sanno che nonostante la repressione, fino al 1941
quindi alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, a Berlino c’erano i ghetti
per gli artisti, chiamati “La Lega della cultura ebraica” dove potevano
recitare ebrei per ebrei, artisti ebrei ma rigorosamente in tedesco. Di questi
grandi cabarettisti, insieme alla Coautrice Antonella Ottai, ne ho presi in
considerazione sette, i più famosi che ad un tratto vengono messi su un vagone
merci per portarli prima nei campi di smistamento e poi purtroppo in quelli di
concentramento. La storia è nota ma c’è una grande differenza perché qui la
storia diventa veramente grottesca, paradossale ma tragicamente vera. Questi
signori finiscono nei campi e all’interno continuano a fare Cabaret, con gli
stessi repertori ma non avevano più il pubblico di prima, delle grandi sale e
dei grandi Teatri ma il pubblico era composto dagli internati e in prima fila
c’erano gli SS. Quando ho letto il libro da cui è tratto, scritto da Antonella
Ottai, mi sono chiesto come fosse possibile che un regime così repressivo
permettesse all’interno dei campi di fare un Cabaret che prendeva come
bersaglio di satira lo stesso regime ed in prima persona Hitler? Il motivo è
dato dal fatto che un paio di volte al mese la Croce Rossa Internazionale
organizzava delle visite guidate nei Campi per far vedere che gli stessi non
fossero repressivi. Il regime aveva tutto l’interesse a far vedere che ci
fossero delle attività ricreative, lo Sport, Concerti e che ci fossero
addirittura i comici della Berlino di una volta a fare il cabaret. Ogni volta
che lo racconto mi viene la pelle d’oca al solo pensare che facessero satira
davanti ai propri carnefici. La domanda di molti ebrei, ancora oggi è “hanno
fatto bene o hanno fatto male?” sapendo che altri che non avevano questo dono
erano già finiti nelle camere a gas.
Sono della tesi che ci si attacca a tutto pur di avere una speranza e se queste
persone hanno fatto questa scelta, trovo che sia stata coraggiosa. Se si fa
ridere, tra l’altro puntando il dito contro il tuo avversario, serve a farti
vivere un giorno in più e diventa una speranza in più, secondo me è un atto
estremamente eroico.
Non potevo impersonare tutti e sette i personaggi e quindi l’idea è stata
quella di assemblarli tutti, riunendoli in un solo personaggio che abbiamo
chiamato Grotesk proprio per rifarci a un mood, ad un’atmosfera, al genere
grottesco. Grotesk è un’anima con tante facce e alla fine dello spettacolo
elenca i nomi dei comici e, togliendosi la maschera è l’attore Maccallini che
racconta come sia andato a finire per l’uno o per l’altro.
La voce narrante dice “il racconto che
mio padre non si è mai stancato di affabulare”, com’è possibile ricordare l’orrore?
Antonella Ottai si riferisce
al racconto che il padre faceva della Berlino di quegli anni che superava di
gran lunga Parigi ma anche il dopo e, non si stancava di affabulare il bello ma
anche il tragico di questa storia. Lei,
studiosa di Teatro ha voluto approfondire la questione mai pensando però che
andando a fare questa ricerca di archivio potessero scaturire delle realtà così
scottanti.
Sapevo che nei campi di concentramento erano stati trovati spartiti musicali e
addirittura strumenti musicali, ma la storia del Teatro di Cabaret nei Lager
non la conoscevo ed è documentata su Youtube da Kurt Gerron (attore, regista,
cantante di origine ebrea) con un documentario di una serata di Cabaret nel
Campo di Auschwitz perché il regime lo
aveva autorizzato a riprendere alcune scene. Scene che sono proiettate nello
spettacolo. In alcune si vede un mago che fa dei trucchetti, delle ballerine
che sono delle internate ebree, magre all’inverosimile. C’era una costumista,
un truccatore, un Teatro. La gente era smilza perché ridotta alla fame. La
Ottai nel suo libro racconta che in quei giorni di prove e di recita, il rancio
veniva aumentato, quindi potevano mangiare una scodella in più in modo da avere
più energia.
Secondo me queste storie dovrebbero essere raccontate nelle scuole. Si deve
partire dal dolore dell’altro ieri. È un messaggio da veicolare soprattutto
nelle scuole.
“Chi sa comandare sa anche obbedire?”.
Era un po’ il tormentone del Regime. Una cosa affascinante era la presenza di
persone misteriche, all’interno del cerchio magico di Hitler. Uno di questi era
Erik Jan Hanussen un illusionista austriaco, coetaneo nonché intimo amico di
Hitler. Hanussen fu interpretato da Klaus Maria Brandauer, nel film del 1988,
“La notte dei maghi”.
Hanussen aveva predetto ad Hitler
l’ascesa al potere, l’incendio del Palazzo Reichstag a Berlino nel 1933, evento
considerato cruciale per l’avvento del nazismo in Germania.
Hanussen insieme a Leni Rifensthal che non è menzionato nello spettacolo ma ci
sono anche prove consistenti che sia stato lui ad insegnare ad Hitler tutta quella
gestualità e il modo di arringare la folla. In Grotesk ci sono delle frasi in
cui dice “Lui è diventato cancelliere ma il copione, la musica gliel’ho scritta
io. Ho insegnato io alla sua immagine a diventare straordinaria ed a modulare
la voce per ipnotizzare le masse”. Ciò è ancora più mefistofelico ed
inquietante di quello che sapevamo. Comandare e obbedire rispondono ad un unico
principio. È una sorta di ipnosi ed è stata fatta propria da alcuni uomini di
Hitler. Nasce proprio da questa figura un po’ ipnotica del dittatore “una volta
che ti ho preso faccio di te quello che voglio”. Comandare e obbedire diventano
la stessa persona.
Perché si uccide sempre il sogno che non
si è capaci di sognare?
Tutti noi vorremmo svegliarci con il sogno bello
che abbiamo appena fatto e invece ci svegliamo sempre con il ricordo di aver
fatto un bel sogno ma non lo ricordiamo. È come se noi uccidiamo il sogno
quasi volontariamente perché non siamo stati capaci di sognare e speriamo in
qualche modo si realizzi nella vita pratica. È una frase apparentemente molto
critica e contorta ma nasconde una grande verità. Noi vorremmo tutti svegliarci
con il ricordo di un sogno che potrebbe
diventare realtà.
Per rispondere alla famosa domanda sul perché inscenavano questi teatrini,
forse perché speravano che vivendo un incubo perché l’incubo è un sogno, una
volta passato avrebbero rivisto nuovamente la luce. È una storia triste che ha
almeno una valenza importante, quella di essere raccontata per capire che il
dolore è veramente esistito in maniera esponenziale, tragica, facendo ridere e
da qui il sottotitolo Ridere rende liberi. È una storia che andava raccontata.
Elisabetta Ruffolo