“Eloquio di un perdente” l’ultimo monologo di Giorgio
Montanini è in giro da un po’ di tempo e riscuote dappertutto un grande successo.
Molti sold out senza differenze geografiche.
Teatri strapieni, un pubblico di
tutte le età ma la stragrande maggioranza è formato da giovani che seguono
Giorgio anche sul web e che lo aspettano fuori dai camerini per stringergli la
mano, conoscerlo ma soprattutto per scambiarsi opinioni e fare tantissime
domande. Lui li abbraccia in modo corale e se qualcuno passa per caso, potrebbe
pensare che è un insegnante con i suoi alunni.
Tra una data e l’altra dello spettacolo, Giorgio Montanini è stato anche
a Firenze su invito degli studenti di scuola superiore, per parlare di comicità
in un convegno. Dopo la pausa pasquale, la tournée riparte il 5 aprile al
Teatro Puccini di Firenze e finirà a maggio presso lo Spazio Diamante di Roma. Produzione AltraScena. La regia è di Giorgio Montanini
Sulla sua pagina ufficiale si legge “Un comico altro non è che un
poveraccio che racconta il suo abisso, chi lo apprezza è uno che in
quell’abisso si riconosce”.
Irriverente, sarcastico, ironico,
qualche parolaccia al momento giusto ma mai volgare! Chi si alza e se ne va,
non solo non si riconosce in Montanini ma è il primo perdente di cui si narra
nell’Eloquio.
Chi è un
perdente oggi?
Rispetto al titolo dello spettacolo,
sono io perché il perdente è sempre il comico. Siamo in un periodo di
confusione ed i ruoli non sono particolarmente chiari. Sono comici che non si
sentono più perdenti e si elevano a leader, comici che si elevano quasi ad
asceti e nello spettacolo ricordo che per quanto l’eloquio possa essere un
dono, una capacità, una tecnica con la quale il comico riesce ad affascinare il
pubblico, lo stesso non deve mai dimenticare che viene dall’Inferno, dalla
tragedia, dalla miseria, è un perdente nato. Se non ricordi questo o puoi
partecipare alle elezioni, altrimenti finisci per recitare la Divina Commedia
negli stadi.
Quanto è vero che la crisi ha fatto
emergere la natura umana?
Da un certo punto di vista è drammaticamente
vero. Ha fatto emergere solo la punta dell’iceberg. È una crisi da Status Symbol
non è una crisi dove si fa la fame. Stiamo perdendo il nostro Stato sociale,
con duemila euro stavamo ad un certo livello, adesso con la stessa cifra stiamo
più in basso. Questo ci fa paura. Nonostante questo c’è gente che ha tirato
fuori una parte del peggio di sé e potrebbe portare fuori anche tutto il peggio
di sé.
Perché siamo un popolo che non fa la
rivoluzione?
Il presupposto della
rivoluzione è la cultura e la consapevolezza di poterla fare. La rivoluzione
non s’improvvisa, quelle sono rivolte che vengono sempre soffocate nel sangue.
La Rivoluzione è consapevole parte da un presupposto che si chiama coscienza di
classe che una volta avevamo. È successo che negli anni 80, la Milano da bere,
l’operaio ambisce ad essere come il suo sfruttatore ma non lo sarà mai.
La satira abbatte i luoghi comuni e
polverizza gli stereotipi, è sempre così?
La satira vera sì, quella
“d’accatto” no. Al 90% ciò che in Italia viene scambiata per satira, non è
altro che una “gomitatina” reazionaria al potere. È come se il pubblico
venisse confortato da questo tipo di comicità. Prendi in giro il potente ma non lo schernisci veramente. Il pubblico si
sente escluso da questa querelle, si sente deresponsabilizzato. Chi ha votato
quel politico si fa una risatina e l’insulto del comico è ridicolo.
Ci si può ancora fidare dei politici?
Bisogna fidarsi della Politica che è l’Arte più nobile e non dei politici che
sono delle persone. Un comico per quanto nobile sia, di fronte alla politica è
un miserabile. Se ci sono dei politici che non hanno dignità, non significa che
la politica sia una cosa sbagliata. L’antipolitica è l’antidemocrazia.
Lo spettacolo va avanti da un po’ di
tempo, sta andando bene dappertutto: dove riscuoti maggiore successo?
È
trasversale. Diciamo che nelle città dal Centro al nord, sicuramente. Lo stesso
succede anche nelle città più grandi nel Sud. Terra di confine e provincia sono
leggermente un po’ più ostiche. Città come Torino, Milano, Roma, Napoli,
Firenze, sono straordinarie. Trento e Trieste che sono terre di confine, hanno
risposto bene da un punto di vista di pubblico ma sono state le uniche due
città dove non abbiamo fatto sold out. Abbiamo avuto pubblico più di quanto ce
ne aspettassimo e ha reagito bene. Direi che sta andando bene dappertutto ma ci
sono dei posti in cui c’è un fermento da sempre e che risponde con più
entusiasmo.
Elisabetta Ruffolo
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