Al
Teatro Parioli di Roma fino al 21 gennaio “La Vedova Allegra” musicata
magistralmente da F. Lehar su libretto di Victor Leon e Leo Stein. Regia Flavio
Trevisan.
Con Emanuela Di Gregorio, Victor Carlo Vitale, Claudio Pinto Kovacevic, Irene
Geninatti Chiolero, Massimiliano Costantino, Vincenzo Tremante, Giulia
Mattaruco, Riccardo Ciabò, Nicola Vivaldi, Mattia Rosellini.
Primi attori e giovani attori si incontrano in scena e insieme ai ballerini
danno vita ad una Vedova allegra molto leziosa e divertente. Un gioco di
equivoci che non finisce in caciara ma riesce a risolvere il Caos che si era
creato. Tra tutti brilla il personaggio di Njegus, segretario un po’ pasticcione,
interpretato da Victor Carlo Vitale, intervistato da Fattitaliani.
La
Compagnia Italiana del Teatro dell’Operetta, si presenta in una veste nuova.
Quale?
Sicuramente più giovane, ha una veste diversa
rispetto a quella che è il cliché stereotipato dell’Operetta che ha all’interno
persone che hanno una certa età. La Compagnia è molto più giovane, ho
cinquant’anni e sono il più anziano. Si vuole dare un messaggio un po’ più
fresco, cercando di attirare un pubblico leggermente più giovane.
La sera della prima non ho visto ragazzi
in sala…
Roma è un po’ particolare, soprattutto il Teatro Parioli, non ha
un target di età molto basso. In giro per l’Italia il target più basso c’è.
Quali sono state le innovazioni della
Compagnia da quando si è formata?
Tantissime!
Nel corso degli anni cambiano sia i registi che gli interpreti ma soprattutto i
primi attori. L’impronta è sempre quella perché è un genere che ha una
determinata struttura che va mantenuta. L’anno scorso, con “Il cavallino
bianco” c’è stata la volontà di cambiamento per andare più verso il musical.
Con il suo personaggio Njegus, segretario
un po’ pasticcione, è il deus ex machina che innesca un equivoco dietro l’altro.
In che modo?
Mi diverte moltissimo. È un personaggio al quale sono molto
affezionato. Sta tra un Arlecchino e un Pulcinella. Pur essendo molto simpatico
è il carnefice della vittima che è appunto il Barone Zeta. Pur essendo
pasticcione riesce a risolvere gli equivoci che si vanno creando. Per non far
andare in caciara tutto quanto, riesce a maneggiare la situazione. Fa
riferimento chiaramente a quella che è la Commedia dell’arte e all’inversione
nei confronti del Padrone da parte del servo, dei classici greci o romani.
Che cosa ha portato di suo in questo personaggio?
Tutto! La mia
appartenenza partenope, il mio estro ma soprattutto la voglia di divertirmi
prendendo in giro, schernendo le persone, naturalmente con tutto il rispetto
possibile, così come nella vita anche sulla scena.
Come ha iniziato con l’Operetta?
Sono
entrato tanti anni fa, a Trieste con “Parata di primavera”, lì in qualche modo
mi sono innamorato. Un attore è venuto a vedermi, in una cantina di Milano, era
il 1995 e mi offrì di entrare in Operetta, cominciai con ruoli piccolissimi.
Dopo due anni sono stato richiamato dalla Compagnia e dopo otto anni con loro
ho fatto il primo attore e poi sono tornato nuovamente tre anni fa.
Elisabetta Ruffolo
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