Kaos 2017, ad Angelo Sicilia il "Premio Rita Atria": i pupi antimafia, confronto reale con la nostra storia recente. L'intervista di Fattitaliani

Kaos 2017, il festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana, si svolgerà ad Agrigento sabato 9 e domenica 10 dicembre sotto la direzione di Peppe Zambito presso l’Accademia di Belle Arti «Michelangelo» di Agrigento. Fra i riconoscimenti assegnati quest'anno a personalità siciliane, segnaliamo il Premio «Rita Atria» che andrà ad Angelo Sicilia autore e ideatore dei Pupi antimafia, per l’utilizzo della creatività in azioni di recupero e rivisitazione della tradizione come strumento di riscatto sociale. Fattitaliani lo ha intervistato.

Qual è l'origine e la motivazione dei suoi Pupi Antimafia?
I pupi antimafia nascono dall’esigenza di dare un contenuto di impegno civile e sociale ad una grande tradizione come quella del teatro delle marionette in Sicilia. Io ho conosciuto i pupi sin da bambino, la nostra era una famiglia operaia che durante la II guerra mondiale si trasferì da Favara a Palermo. Mio padre, che aveva sentito da bambino i racconti dei pupari favaresi, mi trasmise questo mondo fantastico, popolato di cavalieri e dame. Quando cominciai a studiare, anni dopo,  il mondo del teatro dei pupi, mi accorsi che il ciclo carolingio non era che una parte della serie sterminata di episodi narrati dai pupari dell’800 e del ‘900: vi erano, infatti, il ciclo religioso, quello shakespeariano, quello storico, ma anche e soprattutto un ciclo legato alle gesta dei banditi, dei fuorilegge che, per come mi raccontavano i vecchissimi appassionati del genere, riscuoteva un successo enorme. Si trattava delle gesta di “malacarne” quali il bandito Giuliano, Paquale Bruno, Musolino e tanti altri. A quel punto io, che avevo già iniziato a rappresentare gli spettacoli tradizionali con la mia giovanissima compagnia e che avevo anche compiuto un percorso di intensa militanza antimafia a Palermo, decisi di rompere  la tradizione e di sostituire alla celebrazione delle imprese dell’antistato la storia di chi aveva combattuto la criminalità. Tolsi le armature ai miei pupi e li rivestii con giacche, pantaloni, divise da carabinieri e poliziotti, ma anche con i jeans e le magliette dei ragazzi che utilizzai per lo spettacolo sulla storia di Peppino Impastato o con l’abito talare di Don Pino Puglisi. Lo stesso feci con gli scenari, misi da parte la reggia di Carlo Magno e l’accampamento saraceno e cominciai a dipingere Radio Aut, l’Aula Bunker di Palermo, il Palazzo di Giustizia: nacquero così i pupi antimafia. All’epoca, circa venti anni fa, non mi accorsi che, mantenendo la rigorosità della messa in scena e della manovra, nonché della costruzione dei pupi e delle scene nello stile della scuola palermitana, stava nascendo un nuovo e inedito ciclo epico che raccontava l’orgoglio dei siciliani e non più la celebrazione e l’apologia degli atteggiamenti mafiosi.  Devo dire che l’altra motivazione al cambiamento del repertorio era dovuta al fatto che ogni giorno mettevamo in scena l’infinita battaglia dei cristiani contro i musulmani ed io, onestamente, mi ero scocciato di far saltare le teste ai mori, perché avevano un colore di pelle o una religione diversa da quella occidentale. La storia recente su questo punto ha nettamente oltrepassato queste mie titubanze.
La reazione del pubblico all'inizio qual è stata?
La reazione del pubblico, sin dall’inizio è stata di grande sorpresa e di ammirazione per il coraggio di affrontare con uno strumento tradizionale la complessa tematica della storia della mafia e dell’antimafia in Sicilia.  Da noi, poi, si è verificato che chi assisteva (e assiste) ai miei spettacoli doveva necessariamente confrontarsi con un pezzo di storia personale e sociale che spesso comporta un grande dolore e che spesso interessa la sfera  privata. Gli anni ’80 e ‘90, infatti,  hanno lasciato a Palermo ed in Sicilia tanti morti nella guerra di mafia, ma anche una tormentata angoscia e delle ferite ancora aperte nell’ampia fetta di popolazione che non si è mai riconosciuta nella cultura mafiosa.  Ecco, l’opera dei pupi antimafia rappresenta un confronto reale, perché reali sono i pupi e le vicende che raccontiamo, con la nostra storia recente. Ho avuto anche  la fortuna di sperimentare molte volte, nel primo periodo di attività, gli spettacoli antimafia nel nord Italia e visto il grande entusiasmo con cui siamo stati accolti ho maturato anche un ragionamento sulla  memoria condivisa. Come accadde alla fine della seconda guerra mondiale, con la condivisione nazionale della memoria delle gesta dei partigiani e della lotta di Liberazione dal nazifascismo nel nord Italia, oggi la lotta dei siciliani e dei meridionali contro le mafie è diventata patrimonio nazionale. E questo, sembrerà strano, l’ho capito rappresentando le nostre storie a Vicenza, a Torino, a Milano.
Quanto è importante avvicinare i bambini attraverso questo "linguaggio" e parlare loro di mafia?
La cosa straordinaria che ci è successa in questi anni è che abbiamo sperimentato come il linguaggio semplice e senza orpelli del  teatro di figura e di animazione sia un formidabile strumento da utilizzare per diffondere la storia e la memoria della lotta antimafia nelle nuove generazioni. Ricordiamo che il teatro dei burattini e delle marionette ( di cui i pupi siciliani fanno parte) nasce per diffondere nel popolo “incolto” storie popolari e tradizionali in cui la classe subalterna riesce a rovesciare le sorti rispetto alle angherie della classe egemone. Ecco che nascono personaggi popolari come Pulcinella in Italia (e le sue derivazioni europee come Don Cristobal Polichinela in Spagna, Punch in Inghilterra, Petruska in Russia, ecc.), Caspar in Germania, Karaghiosz e Karaghiozis in Grecia e Turchia e tanti altri che diventano i protagonisti della scena popolare  teatrale. Noi, mantenendo questo schema strutturale, non abbiamo fatto altro che sostituire le vecchie maschere con i nuovi personaggi antimafia e sostituendo le storie popolari con le storie reali e di impegno sociale. Il tutto mantenendo la contrapposizione bene/male propria di questa forma di teatro. Questa strutturazione funziona, tanto che noi oggi prediligiamo il rapporto con il mondo della scuola e le nostre attività sono rivolte quasi esclusivamente ai giovani e giovanissimi.
Le rappresentazioni coi pupi ritraggono personaggi ed eventi in particolare?
Le nostre rappresentazioni ritraggono pressoché tutti i martiri della lotta alla mafia, sia quelli più noti, come i giudici Falcone e Borsellino, sia quelli meno noti, come i sindacalisti uccisi dalla mafia in Sicilia negli anni ’40 e ’50. Cominciammo con lo spettacolo sulla storia di Peppino Impastato che mettemmo in scena nel 2002 a Cinisi in Piazza a Cinisi, davanti alla madre di Peppino. Negli anni, poi, il ciclo dei pupi antimafia si è arricchito fino ad arrivare ai numerosi episodi attuali: si parte dalla storia dei fasci siciliani e della strage di Caltavuturo del 1893, fino alla storia di Placido Rizzotto, dalla Storia di Padre Pino Puglisi a quella del giudice Rosario Livatino, a quella di Pio La Torre, spettacolo tratto da una riduzione di un testo di Vincenzo Consolo, ed a tanti altri.
Qualche giorno fa è stata intitolata la sala del Museo dell'Opera dei Pupi Siciliani di Caltavuturo a Natale Mondo. Vogliamo ricordare chi era?
Proprio nell’ambito che ci sta molto a cuore del ricordo permanente dei caduti nella lotta alla mafia e soprattutto nel cercare di togliere dall’oblio le figure meno note di questa lunga e sanguinosa guerra, abbiamo sempre cercato di dedicare ai martiri “quasi dimenticati” gli spazi teatrali e museali della nostra compagnia. È accaduto nel 2012 con l’intitolazione a Lillo Zucchetto, giovane e valoroso  poliziotto ucciso dai killer della mafia a Palermo nel 1982, del nostro teatro stabile di Caltavuturo. È accaduto nel 2016 con l’intitolazione della Sala dei pupi antimafia del Muso dei Pupi di Carini al Vice questore Ninni Cassarà e al giovane agente Roberto Antiochia, massacrati a Palermo nell’agosto del 1985. E abbiamo continuato oggi con l’intitolazione della Sala dei pupi antimafia del Museo di Caltavuturo a Natale Mondo anch’egli agente di Polizia.  La storia di Natale, giovane poliziotto palermitano del quartiere dell’Arenella, è una storia emblematica. Nato e cresciuto in un quartiere ad alta densità mafiosa, decide di entrare in Polizia e diventa il braccio destro di Ninni Cassarà. Riesce a sopravvivere all’agguato in cui trovano la morte il Vice Questore e l’amico Antiochia e per tale ragione, quella di essere rimasto vivo, viene accusato di essere una talpa di Cosa nostra. Conosce l’umiliazione dell’arresto e del carcere, ma viene subito dopo scagionato dalla vedova Cassarà. La mafia non dimentica però questo acerrimo nemico, tanto che viene ucciso sotto casa il 14 gennaio del 1988. In questa storia ci sono tutti gli ingredienti delle tipiche armi della mafia e dei poteri occulti che decidono il destino degli uomini onesti: l’isolamento, la calunnia e l’eliminazione. Per tale ragione metteremo in scena la storia di Natale Mondo in occasione del trentennale della sua uccisione a Palermo nell’Auditorium della Caserma Lungaro.
Chi lo coadiuva nell'animazione e nella scrittura dei testi? ci sono dei riferimenti alla stretta attualità?
La compagnia è composta da un nucleo storico, costituito da me e da Mari Albanese, ma ha anche una peculiarità: quella della presenza tra i manovratori e i recitanti di ragazzi e ragazze ventenni che, con la loro passione ed energia tengono viva la tradizione e l’innovazione che proponiamo. Questi giovani, grazie al loro lavoro nella compagnia, sono rimasti in Sicilia ed hanno avuto la possibilità di mantenersi agli studi percependo un reddito regolare. E questo per me è forse la cosa di cui posso più vantarmi . I testi degli spettacoli invece sono scritti da me e spesso da Mari, che è anche una scrittrice, e che inserisce nella complessità delle vicende un tocco di sensibilità femminile nell’affrontare le storie. Ciò è emerso in particolare nella stesura del testo del nostro ultimo spettacolo “La stanza di Lia” che abbiamo presentato in prima nazionale al Festival di Morgana di Palermo il mese scorso. La storia di Lia, figlia e vittima del padre mafioso, era uno dei capi mafia dell’Acquasanta di Palermo, non  poteva che essere delineata con l’emotività e con la delicatezza che solo un’altra donna può dare. Per ciò che riguarda i riferimenti all’oggi la nostra compagnia è in procinto di affrontare le tematiche complesse e attualissime dell’immigrazione e soprattutto della lotta al caporalato. Stiamo infatti realizzando la storia con i nostri pupi di Yvan Sagnet, giovane camerunense che nel 2011 guidò lo sciopero dei nuovi schiavi braccianti in Puglia, dando inizio ad un processo che ha portato in Italia alla legge contro il caporalato e lo sfruttamento ed alla costituzione nei mesi scorsi della Rete nazionale NO CAP di cui Yvan è il presidente ed io il vice-presidente. Giovanni Zambito.
Le pagine social dell’evento:
Instagram: Kaos Festival
Twitter: @kaos_festival
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