di Goffredo Palmerini - Quando finisce di sorvolare il Tirreno e
di lato scorrono i Monti Peloritani l’aereo inizia la sua discesa verso
Catania. Qualche minuto e già la sagoma dell’Etna si staglia possente.
Un piumino bianco sulla cima, una nuvola.
O forse fumo del vulcano. Gli si deve rispetto, al vulcano, è patrimonio
dell’umanità, anche se le eruzioni danno qualche grattacapo. Ma è davvero uno
spettacolo l’Etna visto dall’alto, nero di lava sulla vetta ma rigoglioso di
verde più giù, in questi giorni d’inizio estate. La terra lavica che lo
contorna dona vini sapidi, rossi e bianchi, dai sapori speziati. Splendida
città, Catania, l’Etna le fa da
gendarme. Meriterebbe una visita, la faremo in altra occasione. Siamo diretti
al sud est della Sicilia, questa volta. In aeroporto ci attendono i nostri
amici di Modica. Giusto il tempo
d’un pasto veloce, in un ristorantino di periferia, e già la Sicilia ci
accoglie con un tripudio di sapori: pasta alle sarde, con profumo di finocchio,
innaffiata da un ottimo bianco dell’Etna, trancio di pesce spada alla griglia,
infine spicchio di cassata siciliana e un buon caffè. Si prende l’autostrada,
per Siracusa. Il sole incandescente
indora campi d’agrumi e colture d’ortaggi di questa terra generosa e feconda.
Oleandri fioriti, vivaci i colori, fanno da quinta al nastro d’asfalto, fin
quando a sinistra il profilo degli impianti chimici ci rivela Augusta. La città è sulla punta nord
della baia, con il suo porto, mentre al centro del golfo splendono i resti
dell’antica e prospera Megara Iblea.
Fondata nell’VIII secolo a.C. da coloni greci dell’Attica, ne restano le
vestigia delle mura, dell’agorà, del tempio di Afrodite e delle terme. Un antiquarium espone reperti e corredi
funerari della necropoli. Sulla punta meridionale del golfo sono invece i resti
di Thapsos, risalente all’età del
bronzo.
Appena un quarto d’ora di strada e
all’orizzonte spicca alta una cuspide, quasi una piramide. E’ il santuario
della Madonna delle Lacrime, imponente tempio circolare d’ardita architettura,
all’ingresso di Siracusa. Una visita
breve, perché il nostro interesse è per la città vecchia, nell’isola di Ortigia. Ha una storia millenaria,
Siracusa. La sua fondazione risale al 734 a.C. ad opera dei greci di Corinto.
Tra le più grandi città della classicità, per potenza e ricchezza, fu in
competizione con Atene, che tentò invano d’assoggettarla, e principale rivale
di Cartagine, città dei Fenici. Solo Roma, nel 212 a.C., riuscì a conquistarla,
non senza difficoltà. Patria di artisti, filosofi e scienziati, Siracusa diede
i natali ad Archimede. La visitarono
personalità illustri. Platone vi soggiornò tre volte, ma anche Eschilo, Pindaro
e Senofonte. Poi Cicerone, che la lodò come la più bella città greca. Nei
secoli successivi fu luogo d’incrocio di popoli e dominazioni: bizantini,
arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi. Un crogiolo di culture che hanno
fatto della Sicilia una straordinaria sintesi di civiltà.
All’ingresso di Ortigia ci fermiamo ad ammirare l’antico tempio dorico dedicato ad
Apollo. Frotte di turisti animano il dedalo delle strette vie che penetrano
nell’isoletta, regalando quella suggestione che solo città con una lunga storia
sanno procurare. Seguiamo la fiumana di varia umanità, mentre procede
curiosando tra vetrine di souvenir. Finalmente, a destra, un’ampia strada
lastricata annuncia il cuore della città, aprendosi in una lunga piazza
rettangolare. Vi prospettano la magnificente Cattedrale, costruita sui resti
del tempio dorico ad Atena, il Palazzo municipale, l’Episcopio, la Chiesa di
Santa Lucia alla Badia, ed altri palazzi di elevata dignità architettonica. Il
duomo coniuga un insieme di stili: all’esterno dal barocco al rococò,
all’interno dai resti greci alle parti medioevali realizzate dai Normanni. Ma è
nella chiesa di Santa Lucia – la santa qui nata e patrona della città – dove
andiamo dritti ad ammirare il Seppellimento
di Santa Lucia, grande tela del Caravaggio,
uno dei capolavori del maestro della luce. Tante altre meraviglie la splendida
città offre ai visitatori, ma il nostro tempo è tiranno. Si riprende il viaggio
e presto incontriamo Avola. La si
vede sulla sinistra, verso il mare. Rinomata per le sue mandorle e
particolarmente per il “Nero d’Avola”, vino rosso corposo con sentori di
ciliegia e prugna, il cui territorio d’elezione sta nella fascia di territorio
costiero tra Avola e Pachino. Scorriamo ora veloci, verso Noto.
Non possiamo fare a meno d’una sosta nella
città definita capitale del barocco siciliano. Noto fu riedificata interamente dopo il distruttivo terremoto del
1693, ma su un nuovo sito. Entriamo dalla Porta Reale su corso Vittorio
Emanuele. La chiesa di Santa Chiara, i magnifici palazzi, monumentali
scalinate, il Palazzo Ducezio, la Cattedrale, le chiese di San Carlo e San
Domenico, mostrano la loro bellezza, mentre il sole calante risalta le preziose
architetture. La città, patrimonio dell’umanità, è un’autentica bomboniera. La
via centrale che percorriamo è conquistata da visitatori incantati. La bellezza,
sull’uno e l’altro lato del Corso, inebria. Stupenda la Cattedrale, con la facciata
indorata dal sole, completata di recente nei lavori di restauro dopo il crollo
della cupola nel 1996. In stile tardo barocco e in pietra calcarea
tenera, ha un’impronta neoclassicista. Coronata dalle statue degli Evangelisti, opera dello scultore Giuseppe
Orlando nel 1796, mostra nel primo ordine tre maestosi portali
delimitati da colonne corinzie. L’ingresso centrale ha la porta in bronzo dello
scultore Giuseppe Pirrone
raffigurante alcune scene della vita di San Corrado Confalonieri, Patrono della
città, le cui spoglie sono conservate all’interno in un’urna finemente lavorata
a cesello. Il tempio s’erge sulla sommità d’una maestosa scalinata a tre rampe,
d’origine settecentesca. L’interno è a croce latina su tre navate, con
affreschi risalenti a metà del secolo scorso, realizzati dagli artisti Nicola Arduino e Armando Baldinelli. Nelle cappelle laterali diverse opere, tra le
quali si segnalano un’Adorazione dei
pastori di Giovanni Bonomo
(1783), la tela Spasimo di Sicilia di
Raffaele Politi (1809) ed alcune
interessanti sculture. Ci resta solo il tempo per una granita rinfrescante e un
cannolo, prorompente e immancabile dolcezza da gustare.
Ora, riprendendo il viaggio, procura una
piacevole trepidazione l’andare verso Modica,
specie quando a Rosolini l’autostrada d’improvviso finisce, confluendo in
un’arteria di rango minore. Il che non disturba, anzi consente d’osservare
meglio il paesaggio di questa parte di Sicilia, mentre attraversiamo l’ampio
tavolato roccioso dei monti Iblei. I campi ostentano varietà di colture.
Vigneti, frutteti, ulivi e fronzuti alberi di carrubo punteggiano una terra che
alterna il verde degli erbaggi all’oro del frumento pronto per la mietitura. La
sequela di campi recinti mostra ordinate muraglie a secco, pietre per secoli
raccolte dalla terra e composte con cura da generazioni di contadini, come ci
racconta il colore del tempo che recano. E’ davvero un belvedere, questi
muretti di pietre a secco, fitta maglia di confini a piccole proprietà,
geometrica armonia di poderi coltivati, dove si vedono al pascolo mucche,
pecore e capre. L’aria è pulita, il cielo terso è d’un azzurro intenso.
Nei pressi di Ispica la roccia di calcare nel corso dei millenni è stata scavata
in profondità dai corsi d’acqua. La vegetazione ardita ne esalta l’aspetto
selvaggio. Le chiamano “cave” queste profonde scanalature nella roccia. Sulle
pareti a strapiombo spesso affacciano grotte. In queste caverne comparvero le
popolazioni preistoriche, come hanno rivelato le necropoli di Pantalica e Cava
d’Ispica, risalenti a 2200 anni prima di Cristo. Vi si sono rinvenuti
importanti reperti e affreschi rupestri, mentre nella periferia di Modica si
trovò l’Ercole di Cafeo, statuetta bronzea di raffinata fattura, del III secolo
a.C., ora esposta nel museo civico. Stiamo intanto arrivando a Modica. Dopo una
serpentina di curve già si scopre il profilo della città alta, dominata dalla
chiesa di San Giovanni e più sotto dalla maestosa facciata del duomo di San
Giorgio. E’ davvero una suggestione la vista della città, arroccata sulle
pareti di due canyon, scavati nei millenni da due torrenti che nella città
bassa s’univano in un unico corso d’acqua. E’ così Modica, con l’impianto
urbano particolare che l’ha fatta definire “la città più singolare dopo
Venezia”, per l’intricata rete di scalinate e strette viuzze che arrancano
sulle coste, fino alle sommità di quattro colli.
L’esposizione urbana dà forti emozioni,
trapuntata com’è da un centinaio di chiese tardo-barocche, da palazzi
gentilizi, monasteri e conventi di vari ordini religiosi, che nei secoli passati
fortemente influirono sulla vita culturale della città. Per il suo valore
architettonico Modica è riconosciuta
dall’Unesco patrimonio dell’umanità. La sua fondazione risale al 1360 a.C., una
storia plurimillenaria. La città però conobbe il periodo di massimo splendore
dal 1296, quando re Federico II d’Aragona nominò conte di Modica Manfredi Chiaromonte. La Contea di
Modica per quasi cinque secoli divenne il più grande, ricco e potente stato feudale dell’isola. In Sicilia
la figura del Conte di Modica coincideva di fatto con quella di Viceré del
Regno. E i Chiaramonte godevano d’un prestigio indiscusso, anche perché il
casato discendeva da Carlo Magno.
L’11 gennaio 1693, però, la tragedia.
Tutta la Contea venne colpita da un terremoto disastroso che interessò una
vasta parte della Sicilia sud orientale, fino a Catania, distruggendo città e castelli. Centomila i morti. Tuttavia
l’opera di ricostruzione fu rapida e le città risorsero più belle di prima. Fu
appunto dopo quel terribile sisma che nella ricostruzione operarono i migliori
architetti siciliani - Rosario Gagliardi,
Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra ed altri. Artisti raffinati e qualificate
maestranze artigiane dettero vita a quella fioritura d’opere d’arte del
“barocco siciliano”, le cui massime espressioni sono oggi dichiarate
dall’Unesco patrimonio mondiale, come appunto sono riconosciute le città di Modica, Noto, Ragusa, Catania, Scicli, Palazzolo Acreide,
Caltagirone e Militello. Oggi Modica, esempio stupendo dell’arte barocca
siciliana, è una bella città di 55mila abitanti. Vi nacque nel 1901 Salvatore Quasimodo, premio Nobel per
la letteratura. E’ la città del cioccolato. Apprezzato in tutto il mondo, il
cioccolato di Modica ha una preparazione particolare che ne esalta il gusto.
Numerose le case di produzione. Ma una in particolare si vuole citare: Casa don Puglisi. Produce cioccolato e
dolciumi tipici, ma con i proventi della produzione sostiene l’omonima casa di
accoglienza per persone in difficoltà e un centro di solidarietà.
Il nostro viaggio prosegue verso Scicli, altra perla di quest’angolo di
Sicilia, impreziosita da magnifiche chiese e superbi edifici tardo-barocchi,
come il Palazzo Beneventano e il Palazzo Civico. Quest’ultimo assai noto, per
essere la “Questura” del commissario Montalbano, nei film prodotti dalla Rai e
tutti girati da queste parti, tratti dai famosi romanzi di Andrea Camilleri. Magnifici i templi, come la Matrice di
San Matteo e le chiese di San Giovanni Evangelista, di Santa Maria la Nova,
della Consolazione, di San Bartolomeo. Curiosità in due chiese di Scicli: la
statua d’una combattiva Madonna a cavallo che travolge due Saraceni, mai vista
così la Madre di Cristo, e una tela - ne è autore don Juan de Parlazin, nel 1696 - con un Gesù Crocifisso coperto dai
fianchi fino ai piedi con una singolare “sottana” bianca ricamata. Un soggetto
che non ha eguali, tranne un’opera analoga a Burgos, in Spagna.
Scendiamo
infine verso il mare, a Pozzallo,
dove il nostro viaggio si conclude. L’aria è pulita, il cielo terso. Il mare
riflette i bagliori del sole, in una giornata luminosa e tiepida. E’ bella la
costa, l’arenile ampio e pulito, l’acqua trasparente nella sua calma, quasi
immobile. Siamo qui per una visita alla casa natale di Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904 - Firenze, 1977), ora diventata
Museo della Fondazione familiare che porta il nome del grande uomo politico
siciliano. Giorgio La Pira, insieme
a Giuseppe Dossetti e a Giuseppe Lazzati personalità insigni
del pensiero cattolico-democratico, fu deputato alla Costituente e membro del
Gruppo dei 75 che scrisse il progetto di Costituzione, poi discussa ed
approvata a fine dicembre 1947 dall’Assemblea. Dal 1951 fu storico sindaco
“santo” di Firenze, per due mandati.
Docente dell’ateneo fiorentino, fervente cattolico e figura profetica nel suo
tempo, - di Lui è in corso il processo di beatificazione, avviato nel 1986 da Giovanni Paolo II -, La Pira aprì
sentieri nuovi per la Pace e nel dialogo est-ovest, in un mondo allora diviso
dalla guerra fredda. Il piccolo Museo “Giorgio La Pira” di Pozzallo dà certamente un’idea abbastanza compiuta della grandezza
dell’uomo politico, grande amico di Quasimodo. Semmai richiama l’esigenza di
una maggiore e doverosa attenzione delle istituzioni nazionali, spesso corte di
memoria, su una delle personalità politiche più significative e lungimiranti
dell’Italia repubblicana.
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