Luca
Angeletti è un attore poliedrico che riesce ad interpretare
abilmente, sia ruoli drammatici che più leggeri. Attualmente è in
scena al Teatro Golden di Roma con “Finché Giudice non ci separi”,
insieme ad Augusto e Tony Fornari ed a Nicolas Vaporidis, amici da
sempre, accorrono a casa di Massimo (Augusto Fornari) che si è
appena separato, la moglie gli ha portato via tutto e gli impedisce
non solo di vedere la figlia ma anche di sentirla al telefono.
Sono
tutti separati, cercano di impedire che Massimo faccia una
sciocchezza e nello stesso tempo cercano di tirargli su il morale
anche se a volte le battute sono pungenti e feriscono. Ognuno di loro
ha la propria storia alle spalle, Paolo (Luca Angeletti) è stato
lasciato da una moglie fedifraga ma alla fine svela un segreto che
forse qualche spettatore aveva già intuito. È una commedia zeppa di
luoghi comuni, ma tra il serio e il faceto racconta una grande verità.
In una separazione, il più delle volte chi ci rimette sono gli
uomini, usati come bancomat, ridotti sul lastrico e privati
dell’amore dei figli che diventano arma di ricatto, per ottenere
sempre di più.
Prima di fare l’attore
eri un aspirante Pilota di aerei, come nasce la tua vena artistica?
Nasce per espressione
personale, anche se avessi fatto il Pilota l’avrei fatto di aerei
acrobatici. La scelta di intraprendere questo percorso, questa
carriera, è stato il mio volo.
Com’è capitata la
scelta di cambiare pista?
Non mi hanno preso
all’accademia militare, in contemporanea andai a vedere uno
spettacolo di un mio amico e rimasi affascinato da questo modo di
comunicare, basato su immagini, suoni, musiche. Il piacere di
raccontare qualcosa in un modo quasi etico, mi ha travolto.
In realtà questo
personaggio nasconde un segreto che alla fine svelerà. È il primo
ad accorrere a casa di Massimo (Augusto Fornari) per stargli vicino.
È molto protettivo ed è il più sensibile del gruppo. Fa da
contraltare all’ironia degli altri amici, Mauro (Nicolas Vaporidis)
e Roberto (Tony Fornari) che sono più istrionici, Paolo invece è
più riservato. Massimo tenta il suicidio con delle pillole ed è
Paolo che cerca di tenerlo sveglio, facendolo parlare, camminare.
Massimo ripete sempre le stesse cose, entra in loop.
Lo spettacolo alla fine
ci mostra che niente è come sembra...
Ogni personaggio ha un
suo lato irrisolto, ognuno ha i suoi segreti mostrati o celati a vari
livelli. Ognuno è incastrato nella propria storia, ognuno propone
una soluzione al problema ed è bello vederli confrontarsi ma spesso
sono frutto di paure, di fallimenti che non si vogliono affrontare.
Sei un attore poliedrico,
passi da ruoli drammatici a ruoli comici come quello di Giulio in
“Tutti pazzi per amore”. In “Squadra Antimafia - Palermo
oggi" interpretavi Vito Abate. In “Il capo dei Capi” Scarpuzzedda
al secolo Pino Greco, realmente esistito. Quale dei due personaggi
hai reso meglio?
Quello che mi è rimasto
più dentro è sicuramente Scarpuzzedda anche perché appartiene a
dei racconti di cronaca, è stata un’esperienza che abbiamo
affrontato con grande responsabilità nonostante possa sembrare una
celebrazione del male, come è stato detto in passato, c’è stata
una grande partecipazione emotiva. Ognuno di noi si porta dentro la
sensazione di aver dato un contributo alla memoria ed a far
riflettere su temi importanti.
Progetti per il futuro?
Sto lavorando ad un mio
progetto personale d’insegnamento, come Palestra dell’attore, sto
cercando di coinvolgere un po’ di colleghi e stiamo cercando una
sede.
Elisabetta Ruffolo