Alberto Sed, eroe della Repubblica, ricorda il 16 ottobre '43: gli storici sono arrivati dopo 50 anni

Eroe della Repubblica Italiana. Con questo titolo Alberto Sed, ebreo romano, classe 1928, è stato insignito qualche giorno fa dal presidente italiano, Sergio Mattarella, dell’onorificenza di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana perché – deportato a 16 anni, insieme alla sua famiglia, ad Auschwitz dove ha visto morire la madre e le sorelle, come riporta la nomina –  “si è distinto per il contributo che, come testimone dell'Olocausto, instancabilmente offre attraverso incontri nelle carceri e nelle scuole”. Al microfono di Francesca Di Folco, Alberto Sed ricorda l’anniversario del 16 ottobre ‘43, quello del rastrellamento del ghetto di Roma da parte dei nazisti, e racconta i suoi sentimenti per l'onorificenza ricevuta: 

R. – Io dicevo, pensavo: “Ma io che c’entro…”. Invece dicendomi questa motivazione, questa ragione sono rimasto molto, molto emozionato. E’ una cosa immensa, che io devo veramente a migliaia e migliaia di persone che ho incontrato: sono ormai 8 anni che io vado non solo nelle scuole, ma anche nelle carceri, nei conventi, nelle parrocchie, nei centri culturali… Lo devo a loro! Ogni volta che mi chiamano, io vado molto, molto volentieri. Pensi che persino i carcerati di Rebibbia e di Regina Coeli mi hanno dato grande affetto.
D. – All’età di 16 è stato deportato ad Auschwitz e ha visto scomparire sua madre e due sue sorelle. Eppure si è sposato, ha avuto figli, nipoti… Com’è riuscito a riappropriarsi della sua vita?
R. – Ho ricominciato piano piano, quando ho conosciuto mia moglie… Tutti sanno che sono stato ad Auschwitz, ma né la mia famiglia, né nessuno dei miei amici sa quello che è successo, come moriva tutta questa gente, perché non l'ho mai raccontato. I primi tempi, quei pochi che siamo tornati, con un tacito accordo, siamo stati tutti zitti, perché altrimenti come parlavi finivi al manicomio… Nessuno credeva a quello che stavi dicendo. E così abbiamo aspettato gli storici, ma gli storici non sono mai venuti: sono venuti dopo 50 anni e per non dire nemmeno la verità! Perché dovevano dire soltanto che il 27 gennaio ricorda solo la liberazione di Auschwitz e non i 6 milioni di ebrei morti. Lì ho visto morire zingari, partigiani, malati di mente... Bisognava ricordare pure questo!
D. – 16 ottobre 1943:Come vive oggi questa ricorrenza?
R. – Io la vivo, perché c’ero! Siccome non vivevo nel quartiere ebraico, ma alle spalle del quartiere ebraico, sentivo delle urla, degli strilli:  “No, non stanno prendendo solo i giovanotti! Stanno prendendo tutti: pure i bambini, i vecchi…”. Stavamo cercando di uscire e abbiamo trovato la via libera: solo il quartiere era praticamente circondato da tutte macchine dei tedeschi, che stavano caricando tutte queste persone… Mia madre allora ha detto: “Andiamo a Porta Pia, che lì c’è mio nonno… Gli diciamo quello che succede…”. Siamo stati lì per 3-4 mesi, fino a che una spiata un giorno ci ha denunciato… Quando sono stato a Regina Coeli ho detto: “Era destino che venissi qui a 86 anni” perché ci sono stato proprio il 16 ottobre dell’anno scorso… Se venivo nel ’44 ci stavo 3 giorni, perché mi hanno preso il 21 marzo… Se non fossi stato minorenne – avevo 15 anni – io dovevo andare  a Regina Coeli, al terzo braccio… E dopo tre giorni tutti quelli che c’erano, sono andati alle Fosse Ardeatine… Ecco quello che mi ricordo io del 16 ottobre. Francesca Di Folco, Radio Vaticana, Radiogiornale del 16 ottobre 2015
Fattitaliani

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