Agnese di Dio, Gianna Paola Scaffidi è la psichiatra Livingstone. L'intervista di Fattitaliani

Agnese, una giovane suora, partorisce in convento un neonato che viene trovato morto in un cestino della carta straccia da Madre Ruth, la Superiora del Convento. Agnese non ricorda nulla, viene accusata di omicidio ed il Tribunale assegna il caso ad una psichiatra, Martha Livingstone, affinché verifichi se può essere dichiarata inferma di mente. In scena fino a stasera al Teatro dei Conciatori, "Agnese di Dio" è diretto da Antonio Serrano (intervista), mentre nel ruolo della Dottoressa Livingstone troviamo Gianna Paola Scaffidi, intervistata da Fattitaliani.

Chi è Agnese? 
È una ragazza che è stata molestata da bambina ed è cresciuta negandosi la consapevolezza
Martha di fronte a lei, si scopre figlia, sorella e donna: a cosa è dovuto questo mutamento?
Per il suo vissuto, Martha ha avuto una sorella che è morta in convento, si è negata la maternità per dei problemi con la madre e quindi ripercorre tutte le sue difficoltà, vorrebbe proteggere Agnese perché la vede come se fosse sua figlia Ha un grande senso protettivo, vorrebbe farla stare bene, vorrebbe che fosse innocente.
Tre attrici in scena, tre donne che raccontano vite, emozioni e che percorrono sentieri diversi?
Sono sentieri diversi ma alla fine si scoprono che questi sentieri non sono così tanto diversi. Ad esempio, il mio personaggio, Martha Livingstone psichiatra e quello di Madre Miriam superiora del Convento dove è avvenuto il fatto sono in qualche modo perfettamente speculari. Entrambe, nella prima parte della loro vita hanno avuto dei grossi problemi, hanno fatto dei percorsi diversi per arrivare a dei dubbi totali e alla fine non arrivano a dei punti molto diversi tra di loro.
Nella storia si scontrano psichiatria e Fede nei miracoli ed entrambi finiscono per delimitare il campo delle possibilità di salvare Agnese.
La psichiatra rappresenta la scientificità e tutto quello che è razionale, la Madre Superiora invece vorrebbe in questo parto il frutto di un miracolo. In realtà i confini non sono così chiari, sono lasciati all’interpretazione sia dei personaggi ma soprattutto del pubblico che rimane diviso e secondo me è la parte più bella dello spettacolo. Viene raccontato come viene perpetrato il delitto, si indaga su chi sia stato il padre del neonato ma tutto rimane in ombra, lasciando aperte tante possibilità d’interpretazione.
Sulla scena ti tormenti se assolvere o condannare Agnese, dici che ogni individuo ha diritto ad avere un processo giusto e che ogni storia ha diritto ad un lieto fine. Sarà così anche per Agnese?
Non avrà un processo legale vero e proprio, in qualche modo sarà lei stessa a processarsi, lasciandosi morire. La storia di Agnese quindi non avrà un lieto fine e io stessa rimango delusa come quando andavo a vedere la Garbo nella Signora delle Camelie. Quello che vogliamo vedere noi, non sempre esiste. L’unica nota positiva può essere questo dubbio che s’instilla nel mio personaggio e cioè un riaccostarsi alla Fede.
Per il personaggio di Martha Livingstone ti sei rifatta in qualche modo a Jane Fonda che lo aveva interpretato nel film dell’85?
Al film no, ma in questi mesi ho osservato in altri lavori, in altre cose come procedeva chi fa questo mestiere. Ho persino chiesto ad alcuni conoscenti psichiatri per non uscire troppo dal seminato. Devo dire che due sere fa ho avuto una conferma che mi ha fatto molto piacere. Una psichiatra che oltretutto lavora molto con le suore, mi ha fatto i complimenti più sinceri. È stata una bella riprova.
Lo spettacolo va in scena per il secondo anno ed ha avuto sempre un grande successo di pubblico. Andrete in tournée?
In programma ci sarà Firenze a febbraio, ci auguriamo di fare altre tappe perché se lo spettacolo morisse qui, sarebbe davvero questo il grosso delitto. È una storia bellissima, si sta creando tra noi attrici una sintonia che riusciamo a portare anche in scena.

Elisabetta Ruffolo
Fattitaliani

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