Migranti: Juncker, in 160 mila da ricollocare. Intervista con Martin Schulz: a sfide globali servono risposte europee

L'immigrazione è “una risorsa”. Così il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, stamani al Parlamento di Strasburgo. Chiesta la redistribuzione di 160 mila profughi nei Paesi membri. Il servizio di Giada Aquilino

Gli stati membri adottino “il ricollocamento di 160 mila profughi” al prossimo consiglio dei ministri interno, “abbiamo bisogno di fatti”. Jean Claude Juncker chiede così di redistribuire i richiedenti asilo da Italia, Grecia e Ungheria: 120 mila in più rispetto ai 40 mila proposti a maggio. Roma, Atene e Budapest, ha aggiunto, “non possono essere lasciate sole nell'affrontare questa sfida enorme”.
“The numbers are impressive”…

“I numeri sono impressionanti”, ha dichiarato, ma ora è il “momento di agire”, con un meccanismo di “redistribuzione permanente” che ogni Paese dovrà seguire, ha tra l’altro specificato, senza “selezionare i rifugiati per la loro religione o le loro convinzioni: non c'è religione o filosofia – ha spiegato - quando si tratta di aiuto umanitario”. Nelle 14 proposte della Commissione Ue non figura l’abolizione di Schengen. Si pensa a rafforzare i confini esterni: “bisogna cambiare il trattato di Dublino, la prima regola dev’essere la solidarietà”, ha assicurato Juncker, annunciando il rafforzamento di Frontex. A inizio 2016 la Commissione Ue presenterà un pacchetto di proposte sull'immigrazione legale.

Non si ferma però quella gestita dalla criminalità: quattro egiziani sono stati fermati in Sicilia con l’accusa di essere gli scafisti del barcone con a bordo 228 migranti, soccorsi e giunti ieri ad Augusta.
Dalla Germania, la cancelliera Angela Merkel, a proposito di coloro che vedono riconosciuto il diritto d’asilo, ha auspicato che vengano integrati e che imparino “velocemente il tedesco”.
Nuove tensioni in Ungheria: tafferugli fra polizia e profughi si sono registrati al centro di prima accoglienza di Roeszke, a ridosso della frontiera con la Serbia; ad Asotthalom, un avviso schock - esposto alle stazioni dei bus e siglato dalle autorità municipali - mette in guardia dal “rischio contagio dalle malattie dei migranti”. Sempre più critica la situazione sull’isola greca di Lesbo, dove 25 mila migranti vivono in condizioni igienico-sanitarie ormai insostenibili.
E proprio la Grecia, ma per questioni legate alla crisi economica, ha occupato la seconda parte del discorso di Juncker a Strasburgo. Citando un colloquio col premier Alexis Tsipras, il presidente della Commissione Ue ha assicurato che la cosiddetta “Grexit era una possibilità, ma non un opzione da menzionare pubblicamente”. Con riferimento alla crisi tra Ucraina e Russia, ha garantito che “le frontiere degli Stati membri sono intoccabili”, in particolare quelle di Polonia e Paesi Baltici. Quindi si è detto convinto di “un accordo giusto” con il governo britannico in vista del referendum del Regno Unito sulla permanenza nell'Unione europea.
C'è stato un “ampio sostegno trasversale per una politica migratoria comunitaria”, riscosso dal discorso del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Così Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo che da tempo invoca misure per fronteggiare l'emergenza immigrazione, ma anche strategie a lungo termine per intervenire nella crisi in Libia e nel dramma in Siria. Lo spiega lo stesso presidente Schulz nell'intervista della nostra inviata a Strasburgo, Fausta Speranza:
R. – Il will cost money to bring the two sides in Libya together; we are well advised to invest …

Costerà denaro, riunificare le due parti in Libia; ma saranno denari investiti bene, perché la Libia è una delle fonti maggiori dei problemi. C’è questa assoluta assenza di strutture statali coerenti e affidabili, ed è uno dei maggiori problemi; in secondo luogo, in Siria invece abbiamo bisogno di tutte le parti: abbiamo bisogno delle opposizioni, abbiamo bisogno del regime di Assad, abbiamo bisogno della Federazione  Russa, abbiamo bisogno degli americani, dei turchi, dei vicini diretti della Siria per impostare un dialogo, perché tutti sappiamo che non sarà possibile una soluzione militare. Ma convincere tutte le parti in causa che non c’è soluzione militare, che abbiamo bisogno di una soluzione politica non è cosa facile: suona facile, ma – come si sa – è estremamente difficile. Ciò nonostante, il Parlamento insiste sul fatto che sia fatto ogni sforzo diplomatico e che ogni via diplomatica sia presa in considerazione e sia tentata. Io so che questo è molto difficile … Con Assad, la Siria non ha futuro ma dovremmo anche avere ben chiaro il fatto che – dopo l’era Assad – le minoranze dovranno essere protette, nel Paese, e che noi dobbiamo garantire che non ci sarà – dopo – la grande vendetta del dopo-Assad. Dobbiamo però anche essere molto onesti nei nostri stessi riguardi: il sedicente Stato Islamico è forte, in Siria, e forse avremo bisogno di un’ampia coalizione internazionale contro di esso. Io spero che, ad esempio, un intervento iraniano o russo nella lotta all’Is avvenga nell’ambito di una coalizione internazionale e non nell’ambito di una contrapposizione internazionale tra americani ed europei da un lato e russi e iraniani dall’altro.

D. – Cosa risponderebbe a quei Paesi dell’Europa dell’Est che si oppongono alla ricollocazione dei rifugiati?
R. – That they should discuss with us first of all about our common humanitarian responsibility. …

Che dovrebbero prima di tutto ragionare con noi della nostra comune responsabilità umanitaria. La sfida che ci troviamo ad affrontare in questo momento non è una sfida nazionale: questo non è un problema italiano e nemmeno – come ha detto Urban – un problema tedesco o spagnolo. Questo è un problema europeo, e a sfide globali non si possono dare risposte nazionali: servono risposte europee. In secondo luogo, la solidarietà è alla base di ogni azione dell’Unione Europea. Paesi che – ad esempio – temono una minaccia militare dalla Russia e quindi chiedono sostegno militare in armi e uomini, ne ricevono; Paesi che hanno bisogno di denaro per il loro sviluppo infrastrutturale ed economico, ne ricevono. Questi stessi Paesi devono mettere in conto che non dovrebbero e non potrebbero astenersi né tirarsi indietro quando si parla di rifugiati.

D. – Ma come convincere questi Paesi?
R. – With pragmatic proposals. I had last week prime minister Urban, who came to me and I said …

Con proposte pragmatiche. La settimana scorsa ho ricevuto il primo ministro Urban e gli ho detto: “Guarda, noi distribuiamo le persone che vengono in Europa – diciamo, 500.000 persone. Le distribuiamo su 507 milioni di abitanti nei 28 Paesi membri: questo è il numero degli abitanti dell’Unione Europea. Non è un problema in sé. Ma se concentriamo centinaia di migliaia di persone solo su alcuni degli Stati membri, allora ci saranno problemi. Per questo, dovremo sviluppare parametri e criteri su come distribuire i profughi e uno dei criteri è il numero degli abitanti in relazione alla capacità economica del Paese, tenendo in conto il numero dei rifugiati già presenti nel Paese. E per tornare all’Ungheria, se consideriamo appunto questi tre elementi – numero degli abitanti del Paese, capacità economica e numero dei rifugiati già presenti nel Paese – l’Ungheria ne ricaverebbe un grandissimo vantaggio, rispetto al numero delle persone già presenti nel Paese. Per questo io faccio affidamento a proposte pragmatiche e spero che riusciremo a convincere i Paesi ancora riluttanti. E’ ovvio che Paesi grandi, con un grande numero di abitanti e un forte potere economico, come la Germania, possono sopportare un peso maggiore, più persone, quindi, rispetto a Paesi più piccoli con un minor numero di abitanti e con problemi economici. Fausta Speranza, Radio Vaticana, Radiogiornale del 9 settembre 2015.
Fattitaliani

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