È
mercoledì 11 marzo quando, in una fredda e ventosa giornata di un
inverno che stenta a cedere il passo alla primavera, un serpentone di
oltre cento macchine invade pacificamente le panchine transitabili
del molo di Porto Empedocle; i pescatori presenti, presi dai loro
mestieri, arrestano i lavori, e sorpresi, come del resto gli altri
marittimi loro compagni, mirano lo sguardo verso le serene famiglie
che, occupando gli abitacoli delle autovetture, hanno invaso i loro
spazi; attoniti si chiedono dove vogliano andare, ci mettono poco a
capire che la strana processione punta verso la panchina d’attracco
della motonave che viene da Lampedusa.
Lo stupore monta in intensità quando assistono alla consegna di una croce dalle strane fattezze e colori: di certo il colore non è quello che abitualmente spalmano sulle loro imbarcazioni e la croce non sembra avere nulla di raffinato anzi, non è né bella né dalle perfette geometrie come quelle che vedono nelle chiese che frequentano di tanto in tanto. Da lontano scorgono la sagoma di un signore, che tutti attorniano; lui afferra la croce, la gente scesa dalle macchine vi si stringe attorno, la sosta non dura molto, il tempo di una breve preghiera poi tutti, compresa la croce, riprendono posto nei veicoli e inizia a snodarsi una litania che va chissà dove, pensano i più. Uno di loro, meno timido di tanti altri, si è informato, è oramai sa tutto: la gente viene da San Biagio Platani, hanno accolto la croce dei migranti, abilmente montata da Franco Tuccio di Lampedusa, e quel signore attorno al quale tutti si stringevano è don Giuseppe Carbone, il parroco del paese degli “Archi di pane”.
Lo stupore monta in intensità quando assistono alla consegna di una croce dalle strane fattezze e colori: di certo il colore non è quello che abitualmente spalmano sulle loro imbarcazioni e la croce non sembra avere nulla di raffinato anzi, non è né bella né dalle perfette geometrie come quelle che vedono nelle chiese che frequentano di tanto in tanto. Da lontano scorgono la sagoma di un signore, che tutti attorniano; lui afferra la croce, la gente scesa dalle macchine vi si stringe attorno, la sosta non dura molto, il tempo di una breve preghiera poi tutti, compresa la croce, riprendono posto nei veicoli e inizia a snodarsi una litania che va chissà dove, pensano i più. Uno di loro, meno timido di tanti altri, si è informato, è oramai sa tutto: la gente viene da San Biagio Platani, hanno accolto la croce dei migranti, abilmente montata da Franco Tuccio di Lampedusa, e quel signore attorno al quale tutti si stringevano è don Giuseppe Carbone, il parroco del paese degli “Archi di pane”.
La
croce dei migranti arriva a San Biagio, il suo procedere verso il
paese dell’entroterra agrigentino non è stato quello di
un’abituale processione, idealmente ha voluto ripercorrere lo
stesso tragitto che le salme dei migranti delle stragi del
Mediterraneo, hanno percorso prima di trovare degna sepoltura nel
piccolo cimitero del paese. La prima tappa del corteo è il
camposanto: ad attendere la croce più gente di quella che si è
recata a prelevarla, ci sono tutti coloro che possono esserci, e ci
sono anche loro, i 9 ragazzi, migranti minori non accompagnati, della
comunità per minori “Sole e luna”. Questi giovanissimi migranti
di religione musulmana, si distinguono per compostezza, commozione,
rispetto e, parola di parroco, per edificante partecipazione. Fanno
tante domande i ragazzi provenienti da Egitto, Gambia, Mali, Senegal,
forse la croce è stata ricavata dal fasciame del barcone che li ha
fatti approdare a Lampedusa, poi in maniera decisamente altra,
rispetto al viaggio organizzato dai passeur e condotto dagli
scafisti, e con altri mezzi e altri compagni di speranza sono
arrivati dapprima a Porto Empedocle e successivamente a San Biagio
Platani, grazie a Dio non nelle bare, come i ragazzi sepolti nel
piccolo cimitero che di tanto in tanto vanno a trovare. La liturgia
della croce, proposta dal “Piano Formativo Unitario” della
Diocesi, è appena un’altra tappa del cammino della croce dei
migranti, che si chiude per questa lunga giornata.
Passano
appena due giorni e a far riprendere il cammino della croce ci
pensano i bambini e i ragazzi del paese, hanno ideato una loro Via
Crucis ispirandola al tema della solidarietà e dell’accoglienza.
Segue una statio più lunga prima che si celebri la Via Crucis
cittadina, era previsto che si svolgesse all’aperto ma i rigori del
27 marzo non lo permettono, si ripara in Chiesa; animano i giovani
della parrocchia insieme ai ragazzi della comunità “Sole e luna”,
nessun sincretismo religioso, nessuna conversione dall’islam al
cristianesimo per questi ragazzi, si tratta di dialogo
interreligioso, quello che viene dal basso, che affraterna i cuori,
vince le diffidenze e permette quella che don Tonino Bello chiamava
“convivialità delle differenze”. Ad uno di loro è affidata una
stazione del pio esercizio, del resto uno di loro per il “Presepe
vivente” si era prestato con entusiasmo ad impersonare San
Giuseppe. L’indomani ad animare un intenso momento di preghiera e
meditazione ci pensa il gruppo delle famiglie, che lo titola,
ispirandosi a don Tonino Bello, “Cirenei della gioia”. Gli
organizzatori hanno una felice intuizione: se Gesù ha fatto della
croce uno strumento di salvezza non si può indugiare solo sulla
kenosi, la nudità, il dolore e la morte, bisogna mostrare in qualche
modo la vittoria, la risurrezione, la gloria: la croce, che
nell’antichità cristiana veniva impreziosita di gemme, ora viene
rivestita di specchi e altri ornamenti, mostra sì gli abissi del
dolore ma anche gli apici vertiginosi dell’amore.
Don
Carbone, entusiasta, è visibilmente commosso mentre ripensa a questi
momenti di forte evangelizzazione e di sconvolgente condivisione. Si
illumina ripensando alla Domenica delle Palme e alla “Marcia per la
pace e la solidarietà”. Per l’occasione ha voluto invitare
l’Associazione islamica agrigentina “Oltremare”, dal capoluogo
di provincia sono partiti in circa 150, a San Biagio si è iniziato a
marciare, il luogo di partenza era il cimitero, si camminava insieme,
cristiani e musulmani, destinazione Piazza Carmine, qui il parroco e
l’imam hanno concluso con una preghiera interreligiosa e un saluto
di pace: Shalom, Salam.
Alfonso Cacciatore