Il nuovo disco dei Negrita, “9” (prodotto da Fabrizio Barbacci per Universal Music) sta riscuotendo un grande successo di pubblico, tanto da aver debuttato al primo posto della classifica dei dischi più venduti: il gruppo è attualmente molto impegnatocon il tour nei palazzetti di tutta Italia e domani, mercoledì 15 aprile, in prima serata su Sky Arte HD (ore 20.20) andrà in onda il loro docu-film "Under The Skin", dove si raccontano in un modo inedito, intimo e intenso. L'intervista.
Quando sono nate le canzoni del
vostro nuovo disco di inediti “9”, da subito al primo posto nella
classifica di iTunes?
Sono tutte figlie del
nostro periodo romano, di quei due mesi in cui eravamo impegnati con
il musical “Jesus Christ Superstar”. È stata
un’esperienza abbastanza straniante, non essendo abituati ad essere
residenziali e non essendo degli specialisti del musical, ci siamo
trovati nell’unico musical che poteva starci addosso. Ovviamente si
andavano sovrapponendo i tempi con la discografia: mattina e
pomeriggio eravamo in studio a Roma per comporre e arrangiare i pezzi
dell’album mentre ogni sera eravamo in scena al Sistina a
rappresentare un’opera a parer nostro stupenda. È ovvio che le due
cose si sono influenzate tanto da farci venir voglia di essere
travolti da quella condizione di vita e di suono che attraversa il
musical. Abbiamo usato i ritmi legati a quel periodo (anni ’60
-’70), in cui si sperimentava e il rock iniziava ad avere delle
pretese più alte rispetto ai primi anni ’60. Volevamo comunque
realizzare un disco di cuore e non abbiamo potuto fare a meno di
inserire anche una piccola venatura anni ‘80 (visto che
apparteniamo a quegli anni). “9” è per noi un lavoro dell’anima,
ricco di emozioni radicate.
Il singolo che ha anticipato
l’uscita del disco è “Il Gioco”: che differenza c’è tra
“rotolare verso sud” e “guidare verso nord”?
La strada non cambia, si tratta di un
percorso musicale. Quando abbiamo deciso di rotolare verso sud
andavamo alla ricerca della latinità, di radici profonde in un
universo spesso estraneo alle logiche discografiche. Con “9”
invece abbiamo voluto ripercorrere le radici anglosassoni della
nostra musica e il nostro percorso adolescenziale, con la piena
consapevolezza di essere nel 2015 e quindi con la voglia di
ricollocare questa nostra esperienza nel presente. “Il Gioco” è
un viaggio nelle strade tortuose della vita. Un uragano emotivo che
travolge ricordi ed intenzioni, nel gioco più complesso col quale
ogni essere umano è alle prese: la sua stessa esistenza.
Perché avete deciso
registrarlo in Irlanda?
I nostri dischi
precedenti nascono all’insegna di viaggi importanti, in territori
alternativi rispetto alla scena rock: Brasile, Spagna, Argentina.
Questa volta la decisione di andare sino a Dublino non è stata una
scelta per recuperare il senso del folk celtico, che non compare nel
disco, ma perché lì abbiamo rivissuto l’atmosfera dei dischi che
ascoltavamo e divoravamo durante l’adolescenza. Il Grouse Lodge,
studio che ci è stato consigliato da un amico, aveva tutte le
caratteristiche che ci servivano per registrare l’album: immerso
nella campagna, silenzioso, lontano da distrazioni e con tutti i
requisiti tecnici necessari. Inoltre in questo stesso studio hanno
inciso diversi artisti importantissimi da Michael Jackson ai Muse,
dai R.E.M. agli Snow Patrol.
Cosa ci raccontate
della simbologia della cover di “9”? Gli elementi che la
compongono hanno un significato particolare?
Nell’album c’è una
canzone che si chiama “Niente è per caso”.
Noi siamo convinti che la musica sia un lavoro, ma abbia anche un
aspetto magico ed esoterico. Abbiamo una spiritualità un po’
contraddittoria e quindi abbiamo scelto il Buddha di fianco nella
copertina, che sembra essere la giusta mediazione. Ma ciò che rende
così particolare l’iconografia della cover dell’album è la sua
casualità: non ci siamo messi lì a comporla, è semplicemente
venuta così.
“Poser”
è esplicitamente un brano di denuncia. Cosa potete dirci in merito?
In realtà il testo di
“Poser” è scritto a quattro mani con il Cile, ed è stato
molto divertente realizzarlo. L’intento era quello di ironizzare un
po’ senza prendersi troppo sul serio. Però anche ironizzando si
possono dire delle buone verità ed noi vogliamo rimarcare una certa
origine: non esistono più band che arrivano direttamente dalla
strada, non esistono più i club e un pubblico fisico che si sbatte
uscendo di casa d’inverno per andare in un club umidiccio a sentire
musica però, per quanto ci riguarda, è la nostra storia e pensiamo
che la musica che tutti noi ascoltiamo da decenni sia nata in questo
modo. Quello che sta succedendo adesso alla musica è una cosa nuova,
che è giusto che ci sia, ma questo non determina l’impossibilità
di poter scegliere una strada alternativa, altrimenti sarebbe davvero
un po’ triste. Abbiamo come la sensazione, lo diciamo noi perché
forse abbiamo un po’ il canino avvelenato, che non si voglia più
una verità ma solo dei format e dei prodotti preconfezionati.
Cosa significa per
voi “1989”?
1989 è un brano che
cerca di raccontare quello che eravamo in quegli anni, sia come
uomini che come musicisti. Non a caso è un brano riposto lì da 12
anni, uno spunto musicale che avevamo composto per l’album ‘L’uomo
sogna di volare’ (la nostra prima avventura americana) ma che
non aveva il giusto sound per quello che stavamo pensando in quel
momento. L’anno scorso, quando abbiamo iniziato a fare i pezzi
nuovi, Cesare è andato in archivio e ha tirato fuori questo pezzo
che ci sembrava potesse sposarsi benissimo con le idee che avevamo
per “9”. Pezzo vecchio e tematica anziana, sposalizio perfetto.
Parla dell’89 anno di svolta per la nostra generazione, sono
successe tante cose importanti, come il crollo del muro di Berlino, e
volevamo raccontarle perché all’epoca nessuno ci faceva fare
dischi.
Come
trasformerete tutto questo in uno spettacolo dal vivo? e come si
adatterà al suono di questo disco?
Per quanto riguarda il live l’idea è quella di portare in giro per
l’Italia uno spettacolo di musica rock, più vera possibile.
Abbiamo due nuovi elementi nel gruppo uno è Gando, il tastierista,
che aveva già partecipato nel tour teatrale e acustico, e poi c’è
il nuovo bassista, Giacomo, che suona con noi da un anno. Il tour non
sarà qualcosa di diverso da quello a cui i fan sono abituati, noi
vogliamo esprimere tutta la nostra energia. Questo tour nei Palasport
sarà caratterizzato da schermi che riprenderanno quello che succede
sul palco, le nostre espressioni, come ci muoviamo… Crediamo che
questo possa essere un punto di forza, perché riusciremo ad arrivare
non solo a chi occuperà la prima fila, ma a tutto il pubblico.