“Nel
mio agire culturale ho pensato che voi avete una civiltà, una
cultura, una sensibilità parallela alla mia”. Sono queste alcune
delle parole dedicate ai materani dal pittore spagnolo José Ortega,
ospite della città dei Sassi dove arriva nei primi anni settanta,
esule della dittatura franchista ormai da dieci anni.
Per
raccontare il
periodo materano di José Ortega, sabato 18 aprile 2015 alle 18.30 il
MUSMA ha inaugurato la mostra “¡Mira! Ortega a Matera”.
Intervenuti:
Raffaello De Ruggieri, Presidente della Fondazione
Zètema di Matera, Mariella Larato, Presidente dell’Impresa
culturale Synchronos, Giuseppe Mitarotonda, artigiano materano,
Mariadelaide Cuozzo, docente di Storia dell’arte contemporanea,
Università degli Studi della Basilicata, DISU - Potenza, DICEM -
Matera.
La
mostra sarà visitabile sino
al 20 settembre 2015.
Nato
ad Arruba de Los Montes nel 1921 e scomparso a Parigi nel 1990,
Ortega inizia il suo percorso artistico durante la guerra civile
spagnola e l’instaurazione della dittatura franchista, anni che lo
segneranno profondamente per tutta la vita. Accusato di attività
antifranchista, è costretto prima al carcere e poi a un lungo esilio
tra la Francia e l’Italia.
Il
14 aprile 1972 l’artista arriva a Matera, dove lo accolgono alcuni
giovani materani che hanno da poco fondato un circolo culturale, La
scaletta,
nato per promuovere il recupero delle Chiese rupestri e la rinascita
dei Sassi, gli antichi rioni abbandonati a seguito della legge di
risanamento del 1952. Ortega trova qui il suo spazio, il silenzio per
lavorare, i valori, il
calore e il colore della sua Mancia
e, soprattutto, scopre
la cartapesta,
l’antico materiale con il quale gli artigiani materani fabbricano
il carro trionfale della Festa patronale della Bruna. In
cartapesta l’artista decide di realizzare a Matera Passarono
e Morte
e nascita degli innocenti,
i due cicli che raccontano la dittatura spagnola
e che simboleggiano le sofferenze, la passione e la lotta degli
uomini contro i governi autoritari di ogni tempo e luogo.
Il
percorso espositivo di “¡Mira! Ortega a Matera” analizzerà le
fasi di composizione dei venti pannelli che compongono i due cicli,
partendo dagli strumenti di lavoro del maestro spagnolo: i pennelli,
le terre con le quali preparava i colori, le colle e le stoffe per le
basi di cartapesta. L’analisi proseguirà con gli studi dei
particolari che anticipano la composizione dei bassorilievi, per
arrivare, a conclusione del percorso, ai pannelli finiti.
Completeranno il racconto i disegni, le preziose terrecotte e il
progetto per una fontana da realizzare nella piazza centrale della
città dei Sassi.
Nella Biblioteca Vanni Scheiwiller una ricca
documentazione fotografica e audio – video farà da cornice
all’esposizione. La documentazione video è stata realizzata in
collaborazione con la Rai Basilicata.
In
Passarono
e Morte e
nascita degli innocenti
si intrecciano due
dei tratti distintivi dell’arte di Ortega,
la necessità di legare
il segno ai problemi della realtà e della storia
e il confronto-incontro con gli artigiani.
In collaborazione con
gli artigiani materani, ai quali lascia completa libertà perché,
afferma, “l’esperienza dell’artigiano non può essere servile
verso l’artista, anzi dev’essere stimolo allo spirito
dell’artista”, il pittore mancego crea bassorilievi in terracotta
per poi procedere a calchi in gesso e, successivamente, alla
produzione della cartapesta: carta, cartoni e tessuti vengono
macerati e incollati. Le stampe così modellate sono fissate su
un’impalcatura di legno per, infine, procedere alla stesura dei
colori, fondamentali protagonisti delle opere di Ortega.
Valorizzare
l’artigianato deve essere, secondo l’artista, uno degli scopi
della moderna società dominata da industrializzazione e consumismo,
poiché “la classe contadina e gli artigiani hanno creato una città
ecologica” ed è necessario tornare
all’antica manualità, per esempio, a saper intonacare, perché
“saper intonacare è come accarezzare una cosa bella”.
Osservando
le diverse fasi di lavorazione si ha la netta percezione della
materia che
lievita, la cartapesta solleva il disegno rendendolo tridimensionale
e si
accende di colori vivi, resi con pennellate nette, campiture piatte
che conferiscono a un materiale tradizionale, povero e riciclabile,
un’aura di sacralità. L’arte
sacra,
dalle figure bizantine, alle architetture mozarabiche, fino ad
arrivare alle miniature romaniche, ha, del resto, una chiara
influenza sulla pittura di Ortega: il ritmo della composizione
procede per piani sovrapposti, su bande orizzontali, i quadri finiti
evocano affreschi medievali. Un risultato, questo, ottenuto anche
attraverso l’utilizzo della tecnica della tempera all’uovo che,
stesa sulle forme plasmate con la cartapesta, conferisce all’opera
una superficie ruvida, come se l’immagine fosse dipinta sul muro e
sottoposta al logorio del tempo. Ai colori, del resto, Ortega
attribuisce un fondamentale valore semantico: il blu del pugno, il
rosso delle bandiere, il nero delle divise militari insieme al giallo
delle ginestre e al verde dei cardi “parlano, ci parlano”.
L’arte
del passato e l’artigianato si incastrano alla perfezione, nei
quadri e nelle fasi di preparazione degli stessi, con la realtà del
presente e con il passato e gli studi dell’artista. Ortega è il
rappresentante di un realismo
sociale che
si oppone tanto all’informale e all’astrattismo, le correnti
artistiche predominanti del secondo dopoguerra, quanto al realismo
dell’Equipo 57, troppo schematico, lontano dall’autenticità di
un artista come Ortega, che nel Manifesto
del realismo sociale
del 1956 scrive di voler realizzare “una
pittura la cui essenza sia la società nella sua dialettica, una
pittura umanista”.
Il
percorso di costruzione di questa pittura umanista parte da murales e
manifesti realizzati, giovanissimo, negli anni della guerra civile
spagnola e degli inizi della dittatura; prosegue con le xilografie
Terrore
Franchista
e le incisioni stampate in ciclostile Libertà,
entrambe del 1952-53, per continuare, negli anni dell’esilio, con
la serie di disegni dedicati alla Cina, Un
Paese costruisce il socialismo,
del ’57 e con le venti tavole dei Segadores
– I mietitori,
del 1969. Nel 1972, a Norimberga, Basilea e Milano, espone per la
prima volta il ciclo di incisioni Ortega
– Dürer.
L’incisione, la xilografia, il disegno, fattisi comunicazione
visiva, acquistano la terza dimensione con i due cicli materani.
Nelle
figure del dittatore e nei pugni dei manifestanti, nel bambino solo
che interroga il cielo vasto e misterioso, nei corpi degli uomini
uccisi dalla dittatura, distesi nel grano, nelle urla delle madri che
hanno visto morire i figli, nelle braccia della libertà e nei colori
dei mandorli in fiore, l’umanità dell’artista spagnolo vive,
soffre, trionfa.
I bassorilievi racchiudono anche le tracce dei
suoi celebri conterranei, le atmosfere cupe di El Greco, alcuni temi
di Goya, le deformazioni anatomiche di Picasso, le masse di colore e
le linee di Mirò.
Non
lascia niente al caso Ortega
“io sono molto pignolo, nella mia pittura tutto è studiato”,
studia e applica la sezione aurea, bilancia i colori, sceglie un
particolare e lo dilata fino a trasformarlo in simbolo, matura uno
stile così libero e unico che il suo amico poeta Raphael Alberti
inventa il termine “ortegare”.
“Ortegare” significa trasmettere a tutti il messaggio di un tempo
senza tempo. “Nessun uomo vero crede più in queste inezie
dell’arte pura, arte per l’arte. In questo momento drammatico del
mondo l’artista deve ridere e piangere con il suo popolo”. Un
messaggio ancora valido, anche a distanza di quarantatré anni da
quel 14 aprile 1972, quando Ortega arriva per la prima volta Matera e
trova quella dimensione ecologica e umana di cui sempre è andato
alla ricerca, nell’arte e nella vita.
In
perfetta sintonia con l’idea di Ortega di un’arte
quanto più possibile e accessibile a tutti,
all’interno del percorso espositivo sarà allestita una sezione
interamente dedicata alle persone con disabilità,
in cui sarà possibile toccare le opere del maestro spagnolo.
José
Ortega – Cenni biografici
José
Ortega nasce nel 1921 ad Arroba de Los Montes, un piccolo paese della
Mancha. A tredici anni si trasferisce a Madrid e nel 1936/37, gli
anni guerra civile spagnola, dipinge murales con appelli di protesta
sui marciapiedi e sui muri della città, solidale con le milizie
popolari.
Tra
il ’40 e il ’45 lavora in un laboratorio di pittura e
decorazione. Iscrittosi nel 1941 al Partito Comunista, nel 1947 viene
accusato di attività contro il regime e condannato a dieci anni di
carcere.
Uscito
in anticipo di prigione, si iscrive, nel 1952, alla Scuola Nazionale
di arti grafiche di Madrid, diventando in quegli anni uno dei
fondatori e animatori di Juglaria, gruppo di giovani intellettuali
responsabili del primo programma di opposizione al regime franchista
da parte del mondo della cultura.
Nel
1953 riceve una borsa di studio dal governo francese per l’Ecole
Estienne e L’Ecole des Beaux Arts di Parigi. In Francia produce i
due cicli Terrore Franchista e Libertà Parigi.
Tornato
in Spagna, partecipa attivamente alle lotte contro in governo
franchista. Nel 1956 espone alla Galleria Alfil di Madrid,
pubblicando, nello stesso anno, il Manifesto del Realismo Sociale.
Nel 1957 i suoi quadri vengono esposti a Mosca al Festival
internazionale della Gioventù. In Spagna continua però a vivere in
clandestinità. In questo periodo il poeta italiano Velso Mucci
inizia a far conoscere le sue opere in Italia.
Nel
1960, esule in Francia, espone alla Librairie Espagnole di Parigi.
Nello stesso anno una sua personale all’Associazione degli Artisti
Baschi di Bilbao viene fatta chiudere dalla polizia franchista. Nel
1963 il Congresso internazionale dei Critici d’arte gli assegna la
Medaglia d’Oro per la sua arte e per la sua lotta contro la
dittatura. È del 1964 la prima personale in Italia, organizzata da
Antonello Trombadori alla galleria La Nuova Pesa di Roma.
Tra
il 1965 e il 1969 espone in diverse gallerie in giro per il mondo,
Parigi, Filadelfia, Toronto, Zurigo, Bruxelles.
Tra
il ’69 e il ’70 si dedica alla composizione delle venti tavole
dei Segadores (Mietitori), sulla dura vita degli agricoltori, esposte
in Germania l’anno successivo. Nel 1971 lavora alle sessanta
incisioni del ciclo su Dürer allestite per la prima volta nel 1973 a
Norimberga.
Nei
primi anni ‘70 a Matera lavora ai venti pannelli di Morte e nascita
degli Innocenti e Passarono. È del 1974 la prima presentazione
audiovisiva dei cicli al Castello Sforzesco di Milano.
Dopo
sedici anni di esilio, nel 1976, con un permesso di soli due mesi,
torna in Spagna ed espone i due cicli realizzati a Matera.
Sempre
nel ’76 a Bosco, nel salernitano, dove ha aperto uno studio,
realizza un grande murale in ceramica. Nel 1980 torna in Spagna, ma
ad Almagro, nella Mancha, il sindaco fa chiudere una sua mostra
organizzata dal Partito Socialista spagnolo. Gli anni ’80 sono di
intensa attività espositiva: fiere, personali e collettive lo vedono
impegnato soprattutto in Europa.
Nel
1990 un’ antologica delle sue opere, dal 1968 al 1990, viene
organizzata alla Galleria Appiani Arte 32 di Milano.
Muore
a Parigi il 24 dicembre dello stesso anno. Nel 1991 un gruppo di
oltre cinquanta artisti spagnoli rende omaggio alla sua opera con una
mostra alla Galleria Villanueva di Madrid.
Nel
2002 viene inaugurato a Vasto (Ch) il Museo Civico d’Arte Moderna
di Palazzo Avalos con una sala personale a lui dedicata.
Nel
2014 la Fondazione Zetema di Matera inaugura, nei Rioni Sassi, la
Casa di Ortega, risultato del minuzioso lavoro di maestranze e
artigiani locali. Negli ambienti della Casa sono esposti i venti
bassorilievi di Passarono e Morte e Nascita degli Innocenti.
¡MIRA!
– ORTEGA A MATERA
MUSMA,
Sale della caccia e Biblioteca “Vanni Scheiwiller”
19
aprile 2015 – 20 settembre 2015
Inaugurazione
sabato 18 aprile 2015 ore 18.30