Si
è da poco concluso a Roma il ciclo de “I
Venerdì di Propaganda: temi e autori”
tenuto dalla LEV,
Libreria Editrice Vaticana
- diretta da Don
Giuseppe Costa
- presso la libreria internazionale Paolo VI a Roma e di particolare
interesse è stato l’ultimo appuntamento della rassegna che ha
visto Neria
de Giovanni
dialogare con il Cardinale Angelo
Amato,
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, sull’utilità
sociale e spirituale dei santi.
Il
Cardinale Amato è stato nominato il 19 dicembre del 2002 vescovo
titolare di Sila e segretario della Congregazione per la Dottrina
della Fede e ha poi ricevuto la consacrazione episcopale il 6 gennaio
2003 da Papa
Giovanni Paolo II
nella Basilica Vaticana; il 9 luglio del 2008 Papa
Benedetto XVI
lo ha chiamato a succedere al Cardinale José Saraiva Martins come
Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e nel concistoro
del 20 novembre 2010 lo ha infine creato e pubblicato Cardinale.
Se,
quindi, sia stato chiamato da Papa Benedetto XVI ad aiutare la Chiesa
a rispondere alla domanda su chi sia santo, al Cardinale Amato questa
volta è stato chiesto di rispondere a cosa servano
i santi. Nonostante sia già autore di diversi volumi che
approfondiscono questi temi, volumi pubblicati con la LEV - tra cui
si ricordano I
Santi nella Chiesa (2010), I Santi si specchiano in Cristo (2011), I
Santi, testimoni della Fede (2012), I Santi evangelizzano (2013), I
Santi profeti di Speranza (2014) – il
Cardinale ha raccolto l’invito per indicare, ancora una volta,
quale sia la funzione di un santo, in cosa consista la santità e
cosa la caratterizzi, quindi per rispondere alle curiosità del
pubblico presente. Così il Cardinale: “la Chiesa valuta il
fondamento della santità in base all’esercizio eroico delle virtù
teologali, cardinali e delle altre virtù ad esse connesse. In
pratica, la vita di un Servo o di una Serva di Dio viene vista alla
luce delle virtù della fede, della speranza, della carità, della
prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza,
dell’umiltà, della povertà, della bontà, della misericordia,
dell’azione apostolica e missionaria”. La santità quindi si
snoda lungo i fili della vita, giudicata in tutte le sue
sfaccettature e in tutta la sua interezza, longeva o breve, nascosta
o meno che sia. E proprio su quest’ultimo aspetto si è espresso il
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, spiegando che,
per quanto possa essere umile e segreta, “risiedendo il fondamento
della santità nell’esercizio concreto di queste virtù, in una
vita di Fede, Speranza e Carità senza interpretazioni di comodo”,
è conseguenza inevitabile una certa fama
sanctitatis, e
con essa una fama
signorum;
“si tratta di uomini e donne che hanno vissuto con radicalità,
senza sconti, sine
glossa la
parola di Gesù”, di conseguenza le persone che hanno conosciuto
personalmente i santi non potevano non vedere questi segni - grazie e
miracoli - e in questi, per il loro carattere sovrannaturale o
totalmente gratuito, caritatevole, fiducioso, forte, sicuro, sereno e
duraturo, intravedevano qualcosa di grande, di più grande, di
sovraumano. Si potrebbe dire che la vita di un santo consista nel
segnare, prima, la vita delle persone laddove sono chiamati ad
operare e, poi, le vite di chi potrà conoscerli ‘per sentito
dire’, per fama appunto, e così poterne apprezzare ed imparare
l’esempio. Dunque ‘santi profeti di speranza’, santi che
segnano e ‘insegnano’; che segnano la storia del mondo attraverso
la piena risposta alla Chiamata di Dio ad essere così come Egli li
ha pensati e creati; che insegnano con la loro stessa vita come,
sull’esempio di Gesù Cristo, si possa vivere e morire nella Grazia
di Dio. Sono segni che non finiscono sui libri di storia, ma nei
cuori di chi la storia, la vita, l’ha esperita pagandone il prezzo
in prima persona. Ma questo insegnamento non se lo procurano da sé,
non lo ottengono dalle loro qualità e capacità, bensì lo ricevono
dalla vita di Gesù e nella vita in Gesù, che, come disse Johann
Paul Richter, è “quell’essere, il più puro in mezzo ai potenti,
e il più potente in mezzo ai puri, che con la sua mano forata ha
sollevato gli imperi fuori dei loro cardini, e ha cambiato il corso
al torrente dei secoli”.
“La
speranza dei santi è riposta in Gesù - ha continuato il Cardinale -
è questo l’insegnamento dei santi: i santi imitano l’atteggiamento
di fiducia di Maria. Gesù a Cana non solo ha cambiato l’acqua in
vino, ma, spronato dalla preghiera della madre, ha trasformato la
disperazione in speranza, l’umiliazione in gioia, la carenza in
abbondanza. La santità è qualcosa di grande che ci dà Dio, un
dono, una grazia. Aprirsi a questa grazia vuol dire lasciarsi
lavorare dentro, lasciarsi trasformare e condurre da Dio. Come ha
detto Papa
Francesco:
“Il cammino verso la santità è fatto di tanti piccoli passi
quotidiani, ma su questa strada non siamo soli, con noi c’è Dio,
‘luce sui nostri passi’, e ci sono gli altri, con cui camminare:
è una via da percorrere insieme, in quell’unico corpo che è la
Chiesa. Nella Prima Lettera di San Pietro ci viene rivolta questa
esortazione, che ognuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a
servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme
grazia di Dio”.”
Illuminante
e chiarificante, quindi, l’intervento del Cardinale Amato, che
abbiamo intervistato su questi rilevanti temi.
FDC
Sua
Eminenza, in cosa consiste esattamente il processo di canonizzazione
di un santo e quali sono i criteri seguiti?
AA
“Il processo consiste in alcune tappe che noi chiamiamo canoniche,
si comincia nella diocesi, dove il vescovo comincia il processo, che
consiste nel raccogliere le testimonianze su questo servo o serva di
Dio, nel fare un dossier, controllare i suoi scritti, controllare
quello che scrivono su di lui, poi questo dossier arriva a Roma, dove
il vescovo sceglie un postulatore, una sorta di avvocato, il quale
segue la procedura di un altro dossier sintetico in cui vengono
presentate le virtù eroiche di questo servo di Dio. Così si arriva
alla cosiddetta venerabilità, e poi, se ci sono i miracoli, alla
beatificazione e alla canonizzazione. Nella
costituzione apostolica Divinus
perfectionis Magister
del 1983 è stata stabilita la procedura per le inchieste che devono
essere svolte nelle cause dei santi da parte dei vescovi; così pure
è stato affidato alla Sacra Congregazione delle Cause dei Santi il
compito di emanare speciali norme a tale scopo, ma
non è la Chiesa che “fa” i santi, bensì li dichiara”.
FDC
Negli
ultimi secoli questi criteri sono cambiati, e se sì come, visto che
Papa Giovanni Paolo II risulta il pontefice che ha canonizzato più
beati e santi?
“No,
i criteri non sono cambiati, sono sempre gli stessi, e consistono
nella verifica della eroicità delle virtù cristiane Fede, Speranza
e Carità e delle virtù cardinali, e soprattutto nella verifica
dell’esistenza delle beatitudini in questo soggetto. Questi sono i
criteri, criteri evangelici e che la Chiesa ha sempre seguito. Papa
Giovanni Paolo II è anche chiamato ‘il Papa dei Santi’: ha
dichiarato beati 1341 servi e serve di Dio, tra confessori e martiri,
e canonizzato 482 beati. Va anche detto che il suo è stato il
secondo pontificato più lungo della storia della Chiesa. Comunque
sia, Papa Wojtyla, sull’esempio del Concilio Vaticano II, ha
pregato i cristiani e i vescovi di valorizzare queste figure
positive, proprio perchè il capitolo quinto della Lumen
Gentium
parla della vocazione universale alla santità da parte dei
battezzati. Tutti devono tendere alla santità, non bisogna per forza
essere vescovi, preti o religiosi. Il Santo Padre Giovanni Paolo II
ha valorizzato questo aspetto”.
FDC
C’è
quindi un collegamento con la nuova evangelizzazione?
AA
“Certo,
c’è un collegamento con il Vaticano II, Giovanni Paolo II non lo
ha inventato, ma lo ha realizzato. E poi i santi sono i più grandi
testimoni della nuova evangelizzazione. Evangelizzano più loro che
molte volte le nostre parole”.
FDC
Siamo
dunque tutti chiamati alla santità, ma, nello specifico, cosa
differenzia la santità per tutti i battezzati rispetto a quella per
i religiosi consacrati?
AA
“É
la stessa, non ci sono distinzioni. Ovviamente ognuno nelle
condizioni e nello stato di vita in cui si trova; il padre di
famiglia deve sviluppare in modo eroico le virtù della Fede, della
Speranza e della Carità nell’ambito familiare, i nonni insegnando
ai nipoti come conoscere e seguire Gesù, un religioso invece
nell’ambito della vita consacrata, dove deve sottolineare
soprattutto la virtù dell’obbedienza, un battezzato non sposato
lavorando con competenza e onestà, e offrendo del tempo al servizio
dei più bisognosi. Ognuno secondo la sua età e il suo compito. Si è
soliti pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che
hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, invece è
proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza di fede
cristiana nelle occupazioni quotidiane che siamo chiamati a diventare
santi. Insomma, sempre e in ogni posto si può diventare santi”.
FDC
A
proposito di battezzati non sposati e giovani amici di Gesù, come
per molte altre cause anche la causa del beato Piergiorgio Frassati è
ferma. Cosa manca?
AA
“I
miracoli! Il secondo miracolo. Tutti vogliono i miracoli però
nessuna prega. Pregate e lo otterrete. Il ruolo del miracolo è
determinante perchè rappresenta come il sigillo di Dio
sull’esistenza del santo”.
FDC
Per
finire, nel suo libro “I santi, profeti di speranza” Lei spiega
come i santi siano portavoce della Parola di dio, autentici maestri e
modelli di speranza. Questa speranza rappresenta un’utilità
sociale?
AA
“Ma
certo. La Speranza è quella virtù che genera ottimismo, energie
positive, che ci tonifica, che dona dinamismo e vitalità e fa sì
che non ci chiudiamo nel vittimismo. La Speranza è quella chiave
che spinge verso un futuro migliore”.
Francesco
Donat Cattin
www.corrierepl.it