di Domenico Logozzo*- ROMA - Le
proposte dei giovani universitari per un’Italia migliore partono da
una cultura nuova.
“Cambiare la cultura di questo paese deve essere
la nostra prima missione, perché è il solo presupposto per pensare
che questo paese possa avere un futuro". A sostenerlo davanti al
premio Nobel per l’economia, Jean
Tirole,
è stato l’universitario Jacopo
Macrì,
24 anni, calabrese di Marina
di Gioiosa Jonica
(RC) che a Roma frequenta la LUISS “Guido Carli” e che ha parlato
a nome degli studenti in occasione dell’inaugurazione dell’Anno
Accademico e del conferimento della laurea honoris
causa
al famoso studioso francese. Macrì con molta lucidità ha
analizzato la realtà. Ed ha poi affermato: "L'università ha la
necessità di conservare la sua caratteristica essenziale: quella,
per dirla con Umberto Eco, di essere un luogo di silenzio. Un
silenzio da preservare. Ciò non vuol dire che deve trattarsi di un
luogo chiuso, meno dinamico, meno attivo, ma che abbiamo bisogno di
esportare anche fuori da qui la cultura del libro, della riflessione,
dello studio e dell'approfondimento”.
Cosa
può fare l’università per una concreta soluzione dei
tanti problemi italiani che allontano i giovani dalla politica
e dalle istituzioni?
“Abbiamo
il dovere di imporre al paese un metodo: quello della serietà,
dell'impegno, della professionalità, delle competenze. Fuori da qui
c'è la confusione, il caos, le cose dette e poi rivisitate, una
realtà che noi giovani fatichiamo a comprendere. Abbiamo perso
i nostri punti di riferimento, la politica non lo è più, le
istituzioni nelle quali crediamo sempre meno. Se c'è un ruolo che
l'università può avere e che deve porsi come obiettivo è quello di
trainare il paese verso un modello culturale diverso”.
Come
vede il futuro occupazionale?
“Siamo in
un'università di eccellenza, ma una volta che ne usciamo il rischio
è che si vada a spendere le nostre competenze altrove, perché la
realtà del mercato del lavoro è oggi molto complessa e pensare di
progettare il futuro in Italia sembra quasi una follia”.
Macrì
pone a giusta ragione il dito nella piaga della fuga di cervelli
italiani all’estero. L’emigrazione intellettuale deve essere
frenata. Bisogna perciò dare spazio e premiare i giovani che hanno
idee innovative e riconoscere il giusto merito, che all’estero è
la regola e da noi purtroppo l’eccezione. "Merito, competenza,
serietà e impegno devono essere un modello per noi giovani, per
l'Università e per il Paese", ha sottolineato il
rappresentante degli studenti della Luiss nel suo intervento.
Sostenere quanti effettivamente lottano per un’Italia migliore.
Tanti giovani vogliono essere protagonisti nella costruzione del
futuro. Del loro futuro. E non si rassegnano. Come Jacopo
Macrì.
Propositivo. Viene dalla Locride, una delle aree della Calabria
e del Mezzogiorno più emarginate, sia economicamente che
socialmente. Un territorio costantemente umiliato dalla colpevole
assenza dello Stato, che favorisce la devastante presenza delle forze
antisociali. Macrì ha frequentato le elementari e le medie
nella natia Marina
di Gioiosa Jonica,
poi il Liceo Classico a Locri
e ora l’università a Roma.
Alla Luiss rappresenta gli studenti nel Consiglio di Amministrazione.
“Il 19
marzo è una giornata che posso già annoverare tra i miei
ricordi speciali”,ci dice. Non capita infatti di
frequente l’opportunità di parlare alla presenza di “uno
degli economisti più influenti del nostro tempo che ha reso chiaro
come comprendere e regolare i mercati in cui ci sono poche aziende
potenti”, come ha riconosciuto l’accademia svedese nell’assegnare
il premio a Tirole. Oltre al famoso economista francese c’erano
anche il ministro dell’Ecomomia Pier
Carlo Padoan
ed Emma
Marcegaglia,
presidente della Luiss. Jean
Tirole,
nella sua Lectio
Magistralis,
ha spiegato come il rafforzamento economico dell’ Europa debba
passare anche dalla capacità dei suoi membri di "accettare la
perdita di sovranità che va di pari passo con l’esigenza di vivere
assieme sotto lo stesso tetto". Mentre il ministro Padoan,
nella Laudatio
introduttiva, ha sostenuto che “l'Unione europea fatica ad
identificare e mettere in campo una strategia economica di lungo
periodo che sia in grado di realizzare crescita, lavoro e benessere",
per cui “occorre che il Parlamento europeo abbia una voce più
forte".
La
Marcegaglia
ha parlato della situazione italiana e della necessità di
“procedere sul sentiero delle riforme”. Personaggi di spicco
dell’economia italiana e mondiale, temi di rilevante interesse. Una
occasione importante per capire e confrontarsi. E ovviamente una
grande emozione per il giovane Macrì
che ammette: “Proprio così. La notizia del mio discorso
all'inaugurazione dell'anno accademico l'avevo ricevuta già da un
mese, ma come può immaginare l'abbondante preavviso non è bastato a
smorzare l'emozione ”.
A
questo si è aggiunta una sopresa…
“Sì, poco
prima dell'inizio della cerimonia, prendendo posto sul palco,
ho scoperto che avrei assistito alla cerimonia seduto proprio
accanto al premio Nobel Jean
Tirole.
Mi sono avvicinato, l’ho salutato e abbiamo cominciato
a parlare per un abbondante quarto d'ora in attesa dell'inizio. Non
saprei dire se si tratta di un uomo che ha il dono della
conversazione o se, come penso, della curiosità; sembrava felice di
fare delle domande e io, come ovvio, ero felice di rispondere. Mi ha
chiesto cosa studiavo e se fossi emozionato. Quando gli ho
detto che parlare in quel modo con un Premio Nobel mi sembrava una
cosa strana, mi ha risposto che da quando ha vinto il premio la gente
trova emozionante il fatto di parlargli e la cosa è strana anche per
lui”.
Jacopo
Macrì
ha parlato a braccio. La sua “mattinata speciale” ce la
racconta così: “La cerimonia inizia e io comincio a maledire la
mia decisione di non scrivere una sola parola di quelle che avrei
dovuto pronunciare su quel palco. Troppa gente troppo importante,
troppi professori -penso- per andare sul pulpito e non dimenticare la
predica. L'ansia suggerisce di buttare giù qualche promemoria;
Tirole mi guarda stupito come a dire "davvero non hai scritto
nulla"? Mi sento un cretino. Prende la parola, il rettore
Professor Massimo
Egidi.
Meno trenta minuti. Prende la parola il Direttore Generale Giovanni
Lo Storto
e penso "ora manca davvero poco, sono fottuto". Mi
chiamano, salgo sul palco e d'improvviso, tutta l'ansia di un attimo
prima non c'è più”.
*già caporedattore del TGR Rai