Dal 20 febbraio al Brancaccino di Roma sarà in scena uno spettacolo di cultura siciliana dal titolo "DA MOLTO TEMPO NON PARLO CON LA MIA TERRA" (titolo tratto da un testo di Salvatore Quasimodo). La regia e drammaturgia è di Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo Sciascia e regista de "Il giorno della civetta", "A ciascuno il suo" e molti altri. Lo spettacolo è composto da testi di Ignazio Buttitta, Rosa Balistreri, Salvatore Quasimodo, Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Sebastiano Aglianò, Giovanni Verga, Gesualdo Bufalino, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, Amabile Guastella e altri. In scena: Maurizio Nicolosi, Paolo Gattini, Goffredo Maria Bruno, Giada Colonna, Alessio D'Amico.
Da molto tempo non parlo con la mia terra, e questa potrebbe essere una lettera d’amore sollecitata da una, due case, da un brano di mare d’una spiaggia lontana. Sono parole di Salvatore Quasimodo: il trasognato ricordo di un siciliano costretto ad abbandonare l’isola in cui è nato, le persone con cui è cresciuto, le proprie tradizioni, il proprio dialetto, il sole e le case e i paesi tagliati dalla luce.
Da molto tempo non parlo con la mia terra, e questa potrebbe essere una lettera d’amore sollecitata da una, due case, da un brano di mare d’una spiaggia lontana. Sono parole di Salvatore Quasimodo: il trasognato ricordo di un siciliano costretto ad abbandonare l’isola in cui è nato, le persone con cui è cresciuto, le proprie tradizioni, il proprio dialetto, il sole e le case e i paesi tagliati dalla luce.
Spiagge incontaminate, ermetico
entroterra, nugoli di emigranti e d’immigrati, supreme passioni ed infime debolezze,
silenzi oscuri, colpevoli o saggi; e creature leggendarie, e uomini con le mani
sporche di terra, di sale, di sangue… E d’inchiostro: come quelle dei grandi letterati
che la Sicilia ha dato alla cultura dell’intero pianeta: da Verga a Pirandello, da
Quasimodo a Tomasi di Lampedusa, da Sciascia a Bufalino. Attraverso brani tratti
dalle opere di questi scrittori – e di tanti altri – proveremo a tracciare un percorso
nella sabbia, nella roccia, nel fango e nelle ceneri di un vulcano: e sarà un’indagine
alla ricerca della vera anima di una terra avvinta dall’ingiustizia e dai pregiudizi.
Sul filo dell’ironia e a tratti dello scherzo, in scena, all’ingresso di un caffè che è
soprattutto un luogo metafisico, s’incroceranno i destini dei personaggi – i loro
amori, i loro tormenti, le loro aspirazioni, le loro disillusioni –, i quali, però,
finiranno spesso per comunicare con le parole degli scrittori e dei poeti, quasi che lo
spirito stesso della Sicilia s’impossessasse di loro.
Io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano, nei siciliani che si
rodono dentro e soffrono. Così Leonardo Sciascia, in un’epoca relativamente recente e
che nonostante ciò ci appare lontana di secoli. Oggi le speranze sembrano
progressivamente dissolversi, in Sicilia come in Italia: per questo c’è bisogno di
coraggio, di capacità di giudizio, di intelligenza; e dell’ironia, che ci tende la mano
sull’orlo del baratro. Perché tutti noi abbiamo il diritto di credere che potremo
salvarci, e che un giorno gli italiani e i siciliani potranno pensare alla terra in cui
sono nati con orgoglio. Perché non siano più legittime le parole dell’antico poeta: Né
con te né senza di te posso vivere.
Fabrizio Catalano