Peter De Caluwe a Fattitaliani: "L'opera, luogo di comunità armonia e partecipazione". Una conversazione con il Sovrintendente e Direttore artistico La Monnaie di Bruxelles

Fattitaliani parla con Peter de Caluwe, Sovrintendente e Direttore artistico del Théâtre Royale la Monnaie, l'Opera nazionale del Belgio a Bruxelles. Il futuro dell'opera, il suo ruolo nella cultura europea, il suo specifico fra le varie forme di arte contemporanea sono solo alcuni dei temi affrontati con questo raffinato intellettuale belga che ama sinceramente l'opera, che ne conosce profondamente le dinamiche, che sa ancora commuoversi per la sua bellezza e che lavora sulle sue straordinarie potenzialità di forma d'arte globale per fare de La Monnaie un catalizzatore di quelle forti energie che in una terra di frontiera quale è Bruxelles quotidianamente si generano. 
Peter, cosa ti ha portato nel mondo dell'opera?
Per me il primo confronto con l'opera è stato il canto di mia madre; quando non ero ancora nato lei cantava, a livello amatoriale, nelle operette di Franz Lehár e simili; io sento che la musica e il canto per me sono nel corpo, perché ho sentito come funziona il corpo quando canta: e dunque la voce umana, la voce classica, la voce della madre, della «divina», della «diva» è una cosa che esiste già da prima della mia nascita.
Il Trovatore, 2012
Io mi sono confrontato per la prima volta con l'opera all'Arena di Verona con La forza del destino; questo è un titolo che non si dovrebbe nominare - c'è questa legge non scritta che non si parla di Macbeth in Scozia e non si parla de La forza del destino in Italia - ma che per me è simbolico e Verdi è un compositore con cui ho una relazione organica: lui è un uomo della terra, come me, un uomo che è molto interessato alle relazioni umane: come si fanno, come si creano... cose molto umane! Lui è un uomo che ha parlato sempre di tutti gli stili di relazioni umane, delle grandi cose che ancora oggi sono importanti. Per me Mozart, Janacek e Verdi sono quelli che parlano della nostra natura, della nostra costituzione, dove Wagner o Monteverdi parlano dei diversi livelli, dal cielo alla terra, all'inferno come Dante. Verdi invece per me è più Shakespeare. Io posso parlare della mia visione dell'essere umano e dell'anima umana attraverso le opere, perché questo è il mio mestiere; e questo per me è molto importante.
Qual è, ripensando ai lavori che hai curato in passato, la scintilla di una nuova produzione?
È sempre una combinazione di diversi parametri; può essere un'idea, un personal touch: io amo per esempio un'opera come Louise, di Charpentier, che a un certo momento vorrei anche fare perché è un'opera naturalista francese che funziona sulla scena.

Rusalka, 2008
Ma questa è una scelta personale, come Rusalka: per me era importante fare Rusalka, perché era un'opera che non era stata fatta per molto tempo (adesso è molto popolare); ma ci sono anche cose che io voglio fare per un cantante, per un regista, per un direttore d'orchestra; per esempio adesso che c'è a La Monnaie un direttore del livello di Altinoglu devo pensare anche alle grandi opere sinfoniche; non posso con lui fare solo un ciclo donizettiano: lui vuol fare Falstaff, Otello, Tristano! C'è un altro parametro: ci sono cantanti che mi portano a dire: «noi dobbiamo fare un'avventura insieme, perché tu adesso sei in questo repertorio, vai in questa direzione»; ci sono registi che mi ispirano in certe direzioni, come per esempio a pensare al Saint François d'Assise con Romeo Castellucci; perché lui per me è come san Francesco, un uomo che ti immette in un altro mondo, che ti fa scoprire le cose dell'anima, come faceva Francesco e come Messiaen che ha scritto questa musica e vi vedeva dei colori; credo che anche Romeo abbia questo talento sensoriale per mostrare un mondo completamente diverso, pieno di colori che noi non conosciamo. Non è che io dico: «voglio fare tutte le opere di Verdi!». Questa non è per me una linea programmatica; questo per me non funziona mai, perché non c'è una vera ispirazione! 
Au monde, 2014 (world premiere)
L'ispirazione deve venire dalla relazione con la realtà, come quando abbiamo realizzato De la maison des morts - che tradotto correttamente è Dalla casa morta, non Dalla casa dei morti: differenza importante perché ci permette di non vedere più questo titolo come qualcosa di nero: in una prigione c'è molta più speranza che nel mondo reale! Oggi quando parli con la gente senti che non c'è più speranza, non c'è hope. In questa opera c'è ancora quella sparkle of hope, perché una persona incarcerata per ragioni politiche viene liberata un anno dopo, a voler dire che c'è una speranza. Per me una programmazione deve sempre parlare delle cose veramente importanti. Per me è fondamentale dare al pubblico questa sensazione che parliamo della beltà, dell'armonia, della catarsi, di tutte quelle cose che se sono positive e che danno speranza e di allargare questa questa esperienza in qualcosa di molto più partecipativo. Il nostro lavoro di sovrintendenti comincia nella nostra testa, in un bilanciare parametri come per esempio nella scelta di fare un Fidelio che tradizionalmente non si fa - perché non è un'opera facile, è oratoria, è utopica, direi che è malscritta - ma che parla di una cosa tanto importante: la libertà, la fedeltà fino alla fine ad una visione come fa Léonore; queste sono cose importanti per motivare la gente che ha perso la speranza.
Lulu, 2013
Peter, nel mondo dell'arte di oggi, fra cinema, pittura, arti visive e quant'altro, qual è lo specifico dell'opera?
Per me lo specifico dell'opera è la comunità; quando sei in un museo e ti confronti con un quadro o con una scultura sei in un confronto uno a uno; al cinema c'è una registrazione - le emozioni possono essere tanto forti ma c'è una pellicola; nel teatro invece si deve fare parte di una comunità: si entra con la propria storia personale ma ci si deve adattare alla storia degli altri che sono con te, perché anche loro hanno una reazione a quello che accade sulla scena; e la differenza fra il teatro e l'opera è che nell'opera abbiamo fin dall'inizio il principio dell'armonia: abbiamo una partitura e la dobbiamo realizzare ma ogni giorno, ogni spettacolo è un'altra partitura perché gli interpreti, cioè il pubblico che fa la comunità, è sempre diverso: questo per me è essenziale oggi: abbiamo perso la nozione della comunità, che oggi non esiste più.
Orfeo & Majnun, 2018
Nella tua visione, qual è lo specifico dell'opera nella complessa comunità belga?
Io continuo a credere in una società armoniosa. La politica e il mondo economico sono basati sul conflitto, un conflitto fra interessi, un conflitto fra ideologie. La cultura e l'arte sono basate sul principio dell'armonia, sul confronto con la bellezza, sul confronto con la verità. Questi sono mondi totalmente diversi e per me è importante che una società si basi su una educazione sociale. In Italia nelle città medioevali come Bevagna, in Umbria, in una piccola piazza c'è la chiesa, l'autorità giuridica, l'autorità civile, il museo e il teatro. Tutto nella stessa piazza! Questo crea mens sana in corpore sano, perché c'è l'equilibrio, un equilibrio che esisteva e che oggi non esiste più perché la base sociale è puramente liberale ed economica. La regola oggi è di avere come prima cosa un progetto economico. No! Alla base dobbiamo avere un progetto umano, poi costruiamo insieme un progetto economico, come facevano i greci con le loro discussioni sulla democrazia; il loro era veramente un lavoro sulla democrazia, su come vivere insieme; questo qui dove siamo è molto importate perché Bruxelles è la capitale dell'Europa, ed è anche la frontiera - molto visibile - fra un mondo latino e un mondo anglosassone, germanico, scandinavo molto più razionale, molto più organizzato. E si deve sempre trovare questa armonia, questo bilanciamento tra l'estetica, legata piuttosto al mondo latino, e il cerebrale, che è piuttosto del mondo del Nord.
Le grand macabre, 2009
Fare un lavoro come il mio qui a Bruxelles è facile perché non c'è uno stile unico da rispettare ma ci sono diversi possibili stili e per me è importante trovare, non solamente nel progetto artistico ma anche nell'organizzazione, un bilanciamento entro i due mondi; quando sono arrivato a Bruxelles ho trovato un teatro latino, molto sindacalizzato, tutto era un po' come Marsiglia; una mentalità gerarchica, col sovrintendente in cima: se lui non si muove nessuno si muove! Adesso abbiamo lavorato e stiamo ancora lavorando su una situazione di responsabilizzazione a ogni livello, molto più democratico ma anche molto più difficile perché non è solo una persona che deve muoversi ma è tutta l'organizzazione che deve andare. E questo è un problema non solo di organizzazione ma anche di visione. Per Bruxelles la visione è facile: io voglio mostrare tutte le cose che sono in Europa, perché l'opera è un'arte europea; io mi limito un po' alla storia europea, che è una storia molto più larga dell'Europa di oggi. Non è una storia africana, non è una storia americana, non è storia dell'Oriente: l'opera è veramente una forma europea, da difendere! Quando vogliamo ritornare a una cosa che sia la base culturale del nostro mondo europeo, l'abbiamo trovato! La base non è economica, non è politica; l'Europa economica non funziona, mentre l'Europa culturale senza dubbio funziona. Quando vediamo l'opera al Bolshoj oppure a Madrid, parliamo la stessa lingua, veramente la stessa lingua!
Le grand macabre, 2009
Per me per Bruxelles è molto importante invitare the people of change: come per esempio Castellucci per l'Italia, per conoscere la sua visione sul teatro, sulla letteratura; la stessa cosa per la Russia, lì per me è Chernakov che ha una visione «visionaria»; o Krzysztof Warlikowski per la Polonia; o un incredibile Stefan Herheim per la Norvegia. Per la Francia è più difficile: lì Olivier Py è considerato il più moderno ma ci sono tanti più moderni di lui! I francesi hanno una relazione col teatro molto difficile, perché loro partono dalla Comèdie Francaise; o con Ivo van Hove nelle Fiandre parliamo di un teatro di oggi, molto contemporaneo, perché facciamo il teatro con gente di oggi, non facciamo l'opera con cantanti del tempo di Mozart. È chiaro che nel teatro sono sempre due tempi: la storia e l'oggi. Nell'opera i tempi sono sempre tre, perché non solo la storia ma anche la musica è di un'altra epoca.
La scelta drammaturgica «come facciamo questo pezzo di teatro» è facile per me, perché non possiamo fare per esempio La clemenza di Tito in toga romana, non possiamo farla in costumi dell'Ottocento ma dobbiamo farla in un tempo «senza tempo», perché il messaggio di Mozart è per ogni tempo. Il conflitto e l'empatia dell'imperatore, della persona di potere, è un tema di oggi.
È quello che vediamo ogni giorno con Trump, con Putin, con tutti i grandi di oggi; non veramente grandi, diciamo meglio con tutti gli importanti di oggi; loro non pensano mai all'empatia, loro pensano solamente al potere, perché è la base che non è giusta: la base è il potere, non è una base umanistica: se la base fosse umanistica il vero leader, il vero dirigente sarebbe un uomo empatico; non si può essere leader senza avere empatia per le persone, che sono la ragione del suo esistere!
Les Huguenots, 2011
A Bruxelles questo messaggio è molto importante, perché siamo nella capitale d'Europa e abbiamo una crisi europea; per me la cosa più difficile è far venire all'opera le persone del mondo dell'economia e della politica, perché per loro questo è entertainment e non un'occasione di confronto con se stessi. Per questo non ho molte speranze: siamo in due mondi diversi, un mondo del conflitto e un mondo dell'armonia. Per me è molto importante offrire questa possibilità di trovare l'armonia, che non è perduta. Quando non creiamo armonia, non facciamo un buon spettacolo. Nell'opera abbiamo tutti gli ingredienti per un conflitto: la musica e le parole sono già un possibile conflitto, poi il direttore d'orchestra, i cantanti, il confronto con il pubblico: tutti potenziali conflitti, ma sempre arriviamo all'armonia: è una formula che esiste per fare le cose diversamente. È la prova che si possono fare diversamente.
Nelle ultime opere viste a La Monnaie, penso a L’Homme de la Mancha e a Die Zauberflöte: abbiamo visto elementi della realtà entrare potentemente nell'opera ….
Sì, per me è essenziale avere la connessione con la realtà, perchè noi entriamo nel teatro e siamo parti della realtà. Questa esperienza deve far parte di una esperienza di realtà, per diventare migliori, per apprendere qualcosa sulla vita e tutte le grandi opere, tutte le grandi esperienze dell'opera parlano in modo emozionale della nostra umanità, della nostra anima.
Orfeo et Euridice, 2014
Verso dove va il futuro dell'opera?
Dopo la comunità e l'armonia voglio parlare di partecipazione. Il teatro si fa nella testa dello spettatore. Non si fa solamente nella scena del teatro: è una cosa che ho appreso ai tempi dell'università, una cosa che mi ha formato; la mia reazione e la mia partecipazione come pubblico sono molto importanti: dalla scena l'attore vede i visi e se la gente è distratta non può comunicare, è sbilanciato, non sa come reagire: lui cerca sempre la connessione con lo spettatore: quando non c'è la tua reazione come spettatore, non c'è uno spettacolo! La partecipazione è essenziale. Il futuro è un'opera dove lo spettatore è sempre più partecipante e attore. È sempre stato così ma la nostra azione deve essere orientata a questo, non ad una ripetizione delle cose che abbiamo già visto; dobbiamo offrire esperienze sempre nuove, perché il pubblico cambia, gli artisti cambiano: il repertorio non cambia ma il contesto cambia sempre. Per me questo è il futuro.
Parsifal, 2011

Peter de Caluwe read literature and theater at the universities of Ghent, Brussels and Antwerp. He obtained his masters’ degree with a thesis on opera mise-en-scène.
Still a student, Gerard Mortier invited him to the Théâtre de la Monnaie in Brussels where he subsequently worked as dramaturge, coordinator of educational projects, international press-manager and public-relations officer.
In 1989, Pierre Audi and Truze Lodder asked him to become part of the new opera management at Netherlands’ Opera in Amsterdam. He started with the company as director of communications. From 1994, he switched to the position of casting director, and subsequently became Director of Artistic Administration of the company.
In 2005 Peter de Caluwe was appointed General and Artistic Director of the Théâtre Royal de la Monnaie, the National Opera of Belgium in Brussels where he has now been offered his third mandate for the period 2019 – 2025.
2011 was a year of important recognition for his team at La Monnaie: after having obtained twice the honour for Best Production of the Year in 2010 and 2011, La Monnaie was crowned Opernhaus des Jahres by the assembled critics of Opernwelt. He was elected Manager of the Year 2012 by the Flemish Association for Management and Public Policy and received the title of Leader of the Year for his work in lobbying for the cultural sector in 2014.
Peter de Caluwe is the first recipient of the Master Honoris Causa from the Brussels University College of Art.  He has also been awarded the Order of Leopold (B) and the title of Commander in the Crown Order (B), the Order of Merit of the Republic of Poland and is equally Chevalier des Arts et des Lettres (FR).
From 2011 till 2014, Peter de Caluwe was President of Opera Europa, the leading service organisation for professional opera companies and opera festivals throughout Europe which currently serves 200 member companies from over 40 different countries.

Il ritratto di Peter de Caluwe è tratto da una foto di Mireille Roobaert (©)


Fattitaliani

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