“Le bal (L’Italia balla dal 1940 al 2001)” di Jean-Claude
Penchénat. Regia di Giancarlo Fares, fino al 27 maggio al Teatro Sala Umberto. In scena oltre a Giancarlo
Fares e a Sara Valerio, 14 ballerini
under 35. Una colonna sonora di canzoni intramontabili,
da “A mezzanotte va la ronda del piacere”, “Maramao perché sei morto” “Lucean
le stelle” “Resta cu’ mme” “Il Tuo bacio è come un rock” “A Saint Tropez”
“Geghegé” “Mi sono innamorato di te” “Figli delle stelle” “The wall” Il gatto e
la volpe”.
Ognuna accompagna un'epoca: il fascismo e il nazismo durante il secondo
conflitto mondiale, la ricostruzione dopo la guerra, il boom economico degli
anni 60. I goderecci anni 80 ma anche l’arrivo dell’eroina che ha strappato
alla vita tanti giovani. I novanta con Tangentopoli. Si chiude con l’attacco
alle Torri Gemelli.
Non servono le parole per raccontare la storia! Bastano la musica, la
gestualità, un Cast eccezionale ed il ritmo giusto. Le Bal incanta!
Per fattitaliani.it abbiamo intervistato Giancarlo Fares
Come nasce l’idea di raccontare attraverso il ballo, la storia dell’Italia dal
1940 al 2001?
Nasce da un Format francese del 1980 e viene fatto in tutto
il mondo. Ognuno racconta la storia del proprio Paese. Abbiamo seguito
l’incipit iniziale e poi la formazione dello spettacolo è a cura del
Regista. Diventa quindi un’opera
originale. Il Format termina con gli anni '80. Io invece ho raccontato i fatti
salienti di tre decenni di storia. È uno spettacolo che amo perché partendo
dal Film “Ballando Ballando” di Ettore Scola che raccontava la storia francese,
ho immaginato di voler raccontare la storia italiana, e dopo dieci anni sono
riuscito a realizzare questo sogno.
La musica che diventa drammaturgia, quale
in particolare?
Le musiche di genere italiano e non solo, più importanti.
Mina, Celentano, Modugno ma ci sono anche i Pink Floyd, Enrico Ruggeri, Claudio
Villa. Diciamo un po’ tutte le musiche importanti del 900. Nel 2001 si arriva a
quella che è la musica di tipo elettronico.
Un racconto senza parole che reazione ha
il pubblico?
All’inizio è spiazzato ma poi diventa assolutamente partecipe
del lavoro. Come diceva Pina Bausch “La parola può mentire ma il gesto non
mente mai” quindi di fronte ad un lavoro completamente gestuale su musica, si
lascia completamente andare ed alla fine, lo posso dire con certezza, il
pubblico arriva a ballare con noi.
L’anno scorso era una scommessa,
quest’anno cos’è?
È una certezza. Non si può che essere felici per il successo di uno spettacolo. Fa bene allo
spettacolo stesso ma anche al Teatro in generale. È importante perché il
pubblico ha voglia di vedere un buon teatro ed il teatro è un’arte fondamentale nella società.
Lo spettacolo è stato definito: fortunato, coinvolgente e divertente. Quale di
questi aggettivi lo descrive meglio?
Sicuramente divertente. È uno
spettacolo che fa ridere ma fa anche emozionare, soprattutto quando narra della guerra. Ci sono
persone che vengono in camerino con le lacrime agli occhi e ci dicono di aver
vissuto sulla loro pelle, ciò che noi raccontiamo. È uno spettacolo graffiante
come un Film di Monicelli.
Elisabetta Ruffolo