Bruno Piattelli: Fattitaliani intervista un Italiano, icona del Made in Italy che ha reso grande la Moda italiana nel mondo

di Caterina Guttadauro La Brasca - Siamo nel cuore della Capitale, per incontrare chi da sempre rappresenta la storia dell’Alta Moda Italiana: BRUNO PIATTELLI.
Il suo atelier, a Piazza Colonna, è quasi paragonabile ad un album fotografico, tanta è la storia appesa ai suoi muri. Questo distinto ed elegante signore che ci viene incontro era destinato a fare questo lavoro, avendo vissuto fin da piccolo in mezzo ai tessuti, ai colori, ai modelli. Ma quel ragazzino non sapeva quanto sarebbe volato in alto nel cielo dell’Alta Moda, prima nella sua terra e poi nel mondo. Quindi siamo dinanzi ad un grande protagonista della Moda, che altro non è che la storia del Costume che, in fondo, è la storia della vita. Iniziò dopo gli studi, quando ancora il sapore della moda era la conoscenza raccontata dalle sartine e modiste di Torino e pochi altri nomi qua e là sparsi nella Penisola. 

Dopo avere intessuto rapporti e frequentato industriali tessili in Italia, si inventò la prima collezione con relativa sfilata all’estero. Da lì partì il Piattelli che sarebbe divenuto mondiale. Hollywood scoprì Roma e tutte le star divennero ambasciatrici della valenza e dell’inventiva delle nostre sartorie, che, per loro tramite, venne diffusa in tutto il mondo.
La febbre saliva, ogni sei mesi non era più soltanto una presentazione di moda ma era diventata un fenomeno di costume. Decine di testate giornalistiche, ma anche centinaia di corrispondenti e fotografi ne davano testimonianza. 
Montava il Made in Italy e stava  nascendo la.necessità di organizzarsi.
Un tentativo era stato fatto a Milano, per iniziativa di Paolo Marinotti, per promuovere le fibre della Snia Viscosa. L'Ente Italiano della Moda, con la fondazione Gianni Agnelli, di cui era direttore generale Amos Ciabattoni, iniziò a considerare il fenomeno facendo convocazioni a Torino, dove si svolgevano riunioni di sociologi e teorici perché si valutasse lo stato delle cose e si progettasse il futuro. L'associazionismo trovò finalmente la sua espressione con la costituzione della Camera della Moda Nazionale. Era l'era delle crescite e degli entusiasmi e i germi di un "sistema moda" cominciavano ad essere una realtà. Gli industriali tessili, i cui nomi e la cui fama erano noti ai soli addetti, salirono alla ribalta, da cui non sono più scesi, investendo nella collaborazione con gli stilisti e fornendoli delle materie con cui si realizzavano i modelli.
Più ci si guardava intorno più si percepiva lo sterminato campo d'azione che ci si presentava. I grandi cartelloni annunciavano che stava nascendo una nuova filosofia del lavoro. Un fenomeno sociale che mentre ci faceva conoscere ovunque, diventava oggetto di studi universitari. La grande distribuzione firmata era un altro passo del nostro costume in evoluzione. Moltissimi tagliatori ed operai specializzati furono chiamati dall'industria. L'artigianato ebbe un trauma e l'industria allontanò nuove generazioni dal tipo di lavoro manuale e creativo. Le ispirazioni scendevano dall'alto della passerella e salivano alla ribalta con ogni mezzo di comunicazione. In pochi resistettero e, senza area di snobismo, ma per scelta, educazione, abitudine a condurre la tremebonda scialuppa dell'Alta Moda tra i frangiflutti di una concorrenza che, anche se non voluta, scaturiva dalle leggi dell'economia e della società in mutazione. Il governo della Repubblica Popolare Cinese lo invitò ad uno studio del comparto manifatturiero dell'abbigliamento ed iniziò così una nuova avventura: La Joint-Venture con la più antica casa produttrice di confezioni in Cina: nacque la HongDu Piattelli Textile-& Fashion Co.LTD di Pechino. 
Il cinema non si dimenticò di noi italiani. E, come dice Piattelli, “volammo alto... che più alto non si può”.
Dal 1993 al 2001 è stato fra i consiglieri del sindaco di Roma Francesco Rutelli. Una straordinaria raccolta di foto, bozzetti e disegni, nonché pubblicazioni nazionali e internazionali dei maggiori periodici di moda fu il prezioso regalo che Bruno Piattelli fece all'Accademia del Costume e della Moda di Roma. Un’avventura che continua ed è l’orgoglio italiano nel mondo. L'intervista di Fattitaliani.
D. Come iniziò la sua bella avventura in un campo che, all’inizio della sua storia, era più femminile che maschile?
R. Appena finita la guerra, anni ’47 /’48, incrociavo soggetti che si presentavano in Azienda offrendo merci, da mio Padre e da me facilmente riconoscibili come fatte in Italia, come fatte in Gran Bretagna, Francia etc. In uno scatto di polemica e di risentimento, forte dei legami che mio Padre aveva con i Produttori tipici e classici del Nord, organizzai quelle che poi sarebbero diventate delle “collezioni" e armato di un po’ di follia e tanta pazienza che mi fu utile perché, essendo italiano, e quindi non degno di fiducia a priori, dovetti accettare di passare esami dei prodotti da commissioni belghe,inglesi, etc. detti inizio a rapporti di lavoro e d’amicizia che oggi, settanta anni dopo, ancora vivono. Che poi il tema riguardasse l’uomo naturalmente fu un problema nel problema.
Nel 1950 mandai in passerella gli uomini. La caduta del muro di Berlino ha fatto meno rumore. Ma accompagnato da pochi altri Colleghi, di pari pazzia, il dado era tratto. Ecco perché, con un poco di snobberia, dico che la nascita del Made in Italy ha sapore di uomo... romano. Gli uomini presero coscienza di essere pensanti e cominciarono a frequentare gli Ateliers, prendendo il posto che per secoli avevano assegnato alle loro donne.
D. Nel 1970 lei fa un incontro fondamentale: Fred Pressmann, il proprietario del più celebre store della moda maschile. Come nacque il vostro rapporto di lavoro che, poi, divenne di amicizia e di stima?
R. , fu fondamentale per me, ma per tutta la Moda Italiana. Mr. Pressman chiese ad una comune amica italo-americana di essere presentato e venne a Roma appositamente. Mi chiese di essere accompagnato a mangiare le fettuccine. Al termine dell’incontro eravamo diventati amici, ci stringemmo la mano per un accordo, non scritto, che dura da settant’anni, anche dopo la Sua morte. Ma quando lui rifece tutto il celeberrimo Store di down-town, per il quale collaborai fisicamente con gli Architetti: io Gli indicai e presentai i nomi degli stilisti italiani, con i quali Barneys divenne il top della Moda nel mondo.
D.Il mondo della Moda è fortemente connesso al Cinema e alla Fotografia; entrambi si esprimono attraverso le immagini. Secondo lei la Moda deve stabilire connessioni con altri linguaggi? In altre parole si può andare dal Cinema alla Letteratura e dalla fotografia all’illustrazione?
R. Molti anni fa mi divertii in una piccola polemica con un critico d’arte che aveva escluso che la parola Moda possa essere avvicinata alla parola Arte. A prescindere dal diritto di ciascuno ad avere le proprie opinioni, risposi che è possibile che uno stilista abbia qualche problema a confrontarsi con un Picasso, ma poi un critico d’arte saprebbe giudicare la perfezione di una giacca?
Nel lavoro prodotto primo della mente non possono esserci diaframmi non solo per un fatto di pretensione, ma perché l’immaginazione non ha confini e il confondersi delle idee è naturale, anzi proprio il loro mescolarsi concede che si passi attraverso un’espressione ad un’altra non staccando il filo dell’estetica. Quando si è capaci di controllarle. La fotografia che comanda incontrastata la possibilità della permanenza di un’Opera - d’arte o meno è un altro tema, è la madre del Cinema che della Moda e per la Moda vive; quante righe su un costume nella Letteratura, senza citare Proust o Flaubert, o un giallo nel quale le ricerche sul quale sono necessariamente dettagliate.
D. Il Made in Italy è Cultura, come si deve promuoverlo?
R. La domanda meriterebbe pagine che potrebbero costituire un volume o più. Per promuovere, come Lei stessa dice, di Cultura ce ne vuole tanta e non solo specifica della Moda ma della Storia, dei luoghi in cui è nata e nasce, degli ambienti in cui presentarla, dei modi di usare spazi che raccontino, raccolgano persone e cose cui riferirla. Ne faremo un trattato.
D. Ci dice il suo parere sulle condizioni di salute della Moda, oggi?
R. Il confluire di estreme necessità economiche perché le industrie sopravvivano all’invasiva produzione orientale, l’e-commerce che comincia a dominare i mercati, tutto contribuisce ad abbassare il livello non solo qualitativo dei prodotti.
Si aggiunge, poi, una tematica che fa necessariamente pensare al serpente che si morde la coda: la necessità di creare il nuovo costantemente non può che essere negativo e poi costringe ad inventare cose nelle quali il buon gusto è totalmente assente, ma la ricerca si dirige verso il colpire, il turbare, non più l’estetica. La parola Moda, nel senso che le abbiamo attribuito fino ad oggi, non appartiene più a questo mondo commerciale e può restare in bocca solo a pochi esegeti....
D. Cos’è l’eleganza per Bruno Piattelli?
R. La risposta è collegata con la precedente. Le posso ripetere lo slogan che ripeto da anni e che, appunto, completa il mio pensiero: la moda PUO’ essere elegante. L’eleganza è sempre di moda".
D. Secondo Lei la Moda è riuscita a regalare agli uomini la dolcezza e alle donne la forza che serviva per il loro ruolo sociale?
R. Purtroppo queste Sue considerazioni mi mandano il pensiero a Gabriele D’Annunzio; Lui, ma i tempi, Glielo permettevano, ha ben raccontato e l’una e l’altra cosa, ma oggi siamo fuori tempo.
D. Come evitare il ridicolo e il grottesco in un prodotto che ci deve rappresentare all’estero? Come vestono i giovani di oggi? C’è una grande omologazione che va a discapito dell’essere “personali”, dell’avere un proprio stile. E’ rappresentata, secondo lei, l’alta Moda in questa fascia generazionale?
R. Il caos del modo di vestire, a mio avviso, ai molti dei motivi che prima ho portato aggiunge queste altre problematiche tra le quali spicca questa contraddizione: i giovani, mentre cercano di distinguersi contemporaneamente si sentono a disagio se non hanno quello che ha il compagno, l’amico. Dico una banalità più che altro per quante volte ripetuta. Dove sono le famiglie? E l’educazione, che è la prima cultura?
Non è una stagione quieta a tutti gli effetti e, considerando, giusta la Sua domanda l’osceno che ne scaturisce ritengo che dovrebbe esserci una commissione che controllasse, per l’esportazione, prodotti carenti sotto qualunque aspetto. In alcuni Paesi esiste, ma cosa accadrebbe se fosse proposta? Subito i soloni direbbero “chi giudica i giudici ?” senza capir nulla del fine.
D. Come si dà o si deve dare supporto al talento dei giovani nelle famiglie dei Brand e delle Maison di moda?
R. Scuole ce ne sono molte,ma,frequentandole, ho dedotto: pochissimi, e d’altro canto è normale, hanno il sacro fuoco, come per qualunque professione. Soprattutto che sappiano ciò che vogliono e pronti ai sacrifici relativi. I molti, nella migliore delle ipotesi, pensano che andando alla scuola di costume si impari a disegnare o a come si delinea un‘idea di costume, la coerenza degli accessori etc., nello stesso modo in cui impari una poesia di Pascoli o di Carducci.
Loro, ragazze e ragazzi, sentono parlare e sparlare, di moda, di indossatrici e di successi, ma mancano d’informazione e di cultura di base e, mi ripeto, anche qui manca la Famiglia che assista, consigli. Ma già, qui le prime colpevoli sono proprio le madri e sappiamo perché.
D. Tutto ciò che riguarda la sua attività personale possiamo definirlo patrimonio storico della moda. Qual’è l’iter che lei osserva, quali sono i vari step di una sua creazione che nasce a Roma, ma poi viene esportata in tutto il mondo?
R. Non sorrida. Ho una formula che applico senza pensarci, ma nella realtà è vera: “La Moda è una formula matematica che si sviluppa all’infinito": niente di più normale. Mentre si sviluppa l‘idea di una collezione già, se sei attento, germina l’idea della prossima. C’è sempre una ragione. Anche se per condizioni naturali, e con fortuna, ho partecipato a formulare idee di corrente di Moda, la parola Moda è male usata perché la corretta è “Costume" che comprende tutte le attività del genere umano in un certo periodo della sua storia, compresa la moda, ho sempre cercato l’eleganza, e, devo dire, qui sta il difficile: imbrigliarla mentre cambiano modi di vita, materiali da usare, l’occhio del destinatario abbacinato da tante tentazioni!
D. Lei fu un pioniere nell’apertura della moda italiana alla Cina, è stato un precursore dei tempi. Cosa fece scattare nella sua mente una così indovinata premonizione?
R. Fui interpellato da un emissario del Governo Cinese perché mi interessassi di tutto il contesto tessile del Paese. Ne scaturì poi una collaborazione per costruire una fabbrica che producesse abiti “a livello europeo". Esperienza eccezionale con persone estremamente intelligenti e con capacità manuali eccezionali. Il bello deve ancora arrivare.
D. Quali personaggi di oggi o di ieri si possono considerare veramente eleganti? Ci dice qualche nome?
R. Il Cinema ha alterato la possibilità di un giudizio oggettivo anche se sommario. E’ elegante l’Attrice o la Donna, così per l’uomo? Non ci sono più i personaggi che per l’estetica e dell’estetica vivevano. I Byron o i Wilde o la Principessa Eugenia non ci sono più. Neanche la televisione, e non solo del nostro Paese, ha dato un personaggio contrassegnato dall’eleganza, solo il Cinema domina; poi, nel privato …
D.“L’eleganza deve essere la giusta combinazione di distinzione, naturalezza, cura e semplicità. Fuori da questo, credetemi, non c’è eleganza.Solo.pretesa”. Lei condivide questo pensiero di Christian Dior?
R. Condivido pienamente il pensiero di Christian Dior.
D. Ha ancora un sogno da realizzare? A proposito, un amico che la stima tanto, Stefano Panaro, dice che lei è un realizzatore di sogni, è vero?
R. Sono nato in una generazione che ha convissuto tutta la vita con guerre e distruzioni. Il sogno che ho sempre avuto, ma a questo punto e considerata la situazione generale tale rimarrà, è che l’umanità possa vivere e lavorare in pace. Per il mondo che ho incontrato e conosciuto, in ogni continente, questo è l’unico desiderio, in assoluto, che ho sentito esprimere da tutte le persone, donne e uomini, senza altra accezione. Per il banale del quotidiano posso dire che sono soddisfatto quando chi è “oggetto" del mio lavoro è soddisfatto, e chi lavora con me lo è altrettanto.
D. Lei ha vestito, a livello mondiale la bellezza, la celebrità, il teatro, il cinema, la televisione, in una parola ha vestito la “Storia”. Come ha fatto a rimanere se stesso?
R. Quando rispetti gli uomini per quello che pensano e per le loro cose non hai problemi a restare sempre te stesso perché sei inesorabilmente eguale a chi hai davanti.
La ringraziamo per averci regalato un po' del suo prezioso tempo, ma soprattutto, per avere esportato in tutto il mondo il buon gusto e il talento italiano, in un campo che molti considerano effimero, ma che così non è. Sovente, l'eleganza viene confusa con la superficialità, la moda, una certa mancanza di interiorità. Si tratta di un grave errore: l'essere umano ha bisogno di eleganza  perché questa parola è sinonimo di buon gusto, amabilità, equilibrio e armonia.

Caterina Guttadauro La Brasca
Fattitaliani

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