Anacleto Bottoni, “I Figli del Sogno”, Bibliotheka Ed., Roma, 2016. Recensione di Andrea Giostra.
Sembrerebbe che quest’anno, per i giovani adolescenti italiani, quelli nati nel XXI secolo, sia un periodo culturale in cui rivalutare e fare sfoggio di oggetti Vintage che chiedono alle mamme e ai papà con curiosità ed interesse. Periodicamente il Vintage ritorna di moda. Periodicamente si sfoggiano oggetti e simboli di un periodo, visto dagli occhi del passato, più felice di quello attuale, più ricco di bei sogni e di speranze di quello dei giorni nostri, di oggi, forse il peggior periodo della storia del nostro Paese dal dopoguerra in poi, di cui narra Anacleto Bottoni. Un periodo nel quale, a differenza di quel passato di cui si narra ne “I Figli del Sogno”, devastato dal fascismo e dalle macerie umane e architettoniche dell’ultima grande guerra, manca la speranza e la fiducia nel futuro. Soprattutto nelle giovani generazioni, soprattutto negli adolescenti, soprattutto in chi dovrebbero avere in eredità il nostro Paese. Nei giovani professionisti che vedono nella fuga dall’Italia l’unica possibilità di affermarsi professionalmente e umanamente.
Il vero dramma oggi è questo: la mancanza di prospettiva futura e la mancanza di speranza.
Il nostro, oggi, è un Paese devastato nell’anima, soprattutto di quelli che adesso sono solo ragazzi pieni di vitale energia e che dovrebbero prenderlo in mano per condurlo alla conquista cultura ed economica del mondo intero. Tutto questo non c’è.
E allora, da questa prospettiva socio-culturale, l’interessante libro di Anacleto Bottoni, diventa come un prezioso cimelio vintage che i giovani di oggi dovrebbero prendere in mano e leggere tutto d’un fiato. Per conoscere, per sapere, per vedere dove non hanno visto e dove i loro genitori non gli hanno permesso di guardare. Per sapere che sono figli di quel passato duro e sofferto, che ha prodotto macerie e dolore, ma che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la successiva fine della Grande Guerra nei primi del mese di maggio del 1945, ha generato speranza e voglia di riscatto di un intero Paese, di un’intera classe di giovani menti e di forti braccia. Così come narra Bottoni nella sua storia di famiglia, del nonno Cesare orafo, del padre falegname raffinato, di lui, Anacleto, artigiano orafo, figlio di quelle speranze post-belliche. Orafo appassionato del suo lavoro e delle sue tradizioni artistiche prese in eredità dal nonno.
Il sottotitolo de “I Figli del sogno” è “Storia di un orafo romano del XX sec. tra arte, artigianato, gioiello contemporaneo, collezionismo e peste italiana”. Un orafo, Anacleto, che recuperò le orme del nonno Cesare che da piazza Navona, negli anni ’20, si trasferì a Sora nella provincia di Frosinone, a 115 chilometri dalle vecchie e storiche radici romane della propria famiglia, per ritornare, alla fine degli anni ’90, da giovane orafo affermato, che aveva girato il Portogallo e la Spagna, all’emozionante e folle Porta Portese. E qui inizia la storia narrata da Bottoni, fatta di ricordi belli e appassionanti, dolorosi e gioiosi, di fiducia e di speranza, di sofferenza e di delusione. Una storia di vita romana, di vita italiana, di vita di orafo romano, di vita d’artigiani amanti del bello che appartiene alle nostre più antiche radici italiche.
È vero quello che scrive Bottoni, noi siamo figli del secolo scorso, del ‘900, con tutto quello che il ‘900 italiano ha significato e significa tutt’oggi. Con tutto quello che ha lasciato in un Paese dove la memoria non esiste e non esisterà mai. Perché dimenticare e meno doloroso che ricordare per sapere chi siamo e da dove veniamo. Per sapere cosa ci hanno lasciato i nostri padri e i nostri nonni. Per essere consapevoli di quello di cui disponiamo per affrontare le nostre battaglie quotidiane di vita e di relazione, di professione e di conoscenza.
Anche da questo punto di vista “I figli del Sogno” è una preziosa pietra miliare che fissa la memoria per recuperarla, per consegnarla a chi vorrà sapere, conoscere, guardare con occhi prospettici qual è stato il suo passato, quello dei suoi genitori, quello dei suoi nonni, quello del sangue che gli scorre nelle vene oggi, ai nati del XXI secolo che oggi abbelliscono le loro giornate con piccoli oggetti Vintage, come potrebbero abbellire le loro letture con un racconto autobiografico, quello di un raffinato orafo romano, che mi permetto di definire, oggi più che mai, “racconto Vintage”, e quindi assolutamente al passo coi nostri tempi.
Scrive nel suo incipit Bottoni: «Chi sono i figli del sogno? Tutti coloro che nacquero dopo la drammatica parentesi della II Guerra Mondiale, i frutti di quelle donne che, finalmente libere di votare democraticamente e consce dei loro diritti riversarono sui loro figli tutti i sogni rimasti chiusi nell’ermetico cassetto della dittatura fascista. Anacleto Bottoni è uno di quei figli. Con questo romanzo ci racconta la sua vita, la passione per il lavoro di orafo che gli ha dato tante soddisfazioni (e tanti grattacapi), i suoi amori, le sue “incazzature” verso il sistema, i suoi incontri con volti, sguardi e persone, disseminati di ironia, spleen, amarezza e rimpianto, slanci vitali e furore. I figli del sogno, però, è anche un atto d’amore di un uomo verso il suo lavoro (che lo ha portato a definirsi “artigiano con le ali”), è la storia personale che si fonde con quella universale, è la memoria di un tempo passato, presente e futuro che riesce a far ridere e commuovere, a far pensare e indignare, a farci ricordare quanto l’oggi sia ancorato ad un passato indelebile. Ne fuoriesce un quadro disincantato della storia del nostro Paese che, partendo dagli anni bui del fascismo e dall’ancor più difficile ricostruzione postbellica, attraversa i tumultuosi giorni del ‘68, la controcultura degli anni ’70, l’edonismo degli ’80 e il ripiegamento interiore dell’ultimo trentennio. L’autore ci accompagna in questa cavalcata travasando il particolare nell’universale, immortalando una Roma in cui borgate e centro storico, burini e snob, artisti e venditori ambulanti si rincorrono senza continuità e ci ricorda quanto vivere significhi sopravvivere e quanto ogni anelito di libertà debba fare i conti con una burocrazia che azzera la libera iniziativa e il desiderio di sognare. Ecco allora che i figli del sogno di ieri, di cui Anacleto Bottoni è parte integrante, con la loro forza d’animo e il loro ottimismo, potranno essere gli unici a guardare al futuro con un sorriso capace di allontanare le nuvole all’orizzonte.»
Insomma, una bella storia di ieri che arriva ai giorni nostri, che appartiene al presente, da leggere e da scoprire, oggi più che mai.
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