Cinema, “Alien: Covenant” e l'incapacità di creare empatia con lo spettatore. La recensione di Fattitaliani

L’ennesimo episodio della saga “Alien”, si distingue per una imprevedibile incapacità di creare empatia con lo spettatore. Tutto questo è dovuto ad alcune incredibili lacune della produzione esecutiva (sceneggiature e regia)
Com’è che gli astronauti del Ridley Scott 2017 viaggiano in una nave spaziale come se fosse una delle Caravelle di Cristoforo Colombo? Non ci avevano insegnato che nello spazio la gravità non esiste? Solo i più recenti: “Gravity” (2013) di Alfonso Cuarón; “The Martian” (2015) di Ridley Scott; “Life” (2017) di Daniel Espinosa; e potremmo continuare…
Com’è che dentro la navicella spaziale i nostri eroi salutano la morte accidentale del loro capitano con un brindisi di vino e poi liberano il corpo nello spazio come se fosse l’oceano del Bounty: “Mutiny on the Bounty” (1935) di Frank Lloyd; “Mutiny on the Bounty” (1962) di Lewis Milestone; “The Bounty” (1984) di Roger Donaldson; e potremmo continuare…
Com’è che in un pianeta sconosciuto della Galassia, trovato casualmente, i pionieri dello spazio di Scott, senza le dovute verifiche scientifiche, vanno a fare una perlustrazione che sembra una scampagnata senza indossare nessuna tuta spaziale e senza nessun sistema di respirazione artificiale? 
È chiaro che si comprendono le esigenze della sceneggiatura. Rimane il fatto che per questi evidenti rilievi la finzione filmica è inverosimile, e quindi non credibile, e quindi non coinvolgente perché più che un vero film di fantascienza al passo con la scienza, sembra una cover in vinile cinese … quando i prodotti cinesi erano delle pessime copie di quelle statunitensi o occidentali.
Ma detto questo, l’Alien 2017 racconta il secondo episodio della trilogia iniziata con Prometheus (2012), sempre di Ridley Scott. Sono passati dieci anni dagli eventi di Prometheus e la missione di colonizzazione del pianeta Origae-6 è in piena attuazione. L’androide Walter (Michael Fassbender) dovrà garantire il raggiungimento della meta con un equipaggio umano in iper-sonno dentro botole galattiche superprotette ma al contempo claustrofobiche, il cui controllo di apertura è affidato al solo androide Walter. Ed è questo un altro degli errori grossolani della sceneggiatura; errore voluto perché ha una progettazione narrativa nella sceneggiatura dell’Alien scritta da Michael Green, Jack Paglen e John Logan.

Sono molto lontani i tempi … quasi quarant’anni fa … dell’“Alien” (1979) di Ridley Scott che ha lasciato un segno indelebile nella memoria degli appassionati del genere fantascientifico-thriller. Forse vale la pena guardare “Alien: Covenant” per comprendere cosa da allora è cambiato e come si è evoluta la saga di Scott. Tutto il resto del racconto “fanta-scientifico” è da vedere al cinema, ovvero, aspettare che lo si possa guardare attraverso canali alternativi per risparmiare il costo del biglietto.
ANDREA GIOSTRA
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Fattitaliani

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