Enrico Merlin e Valerio Scrignoli, i due chitarristi elettrici - diversi per estrazione e orizzonti ma accomunati dalla libertà creativa e dalla voglia di esplorare ai confini tra i generi musicali - sono pronti ad uno dei lavori più ambiziosi delle rispettive carriere: Maledetti (Area Music), una rivisitazione - anzi una "reinvenzione" - originale, dissacrante, iconoclasta, di otto classici degli Area. Maledetti è prodotto da Musicamorfosi, l’attivissima associazione musicale del milanese diretta da Saul Beretta che da quasi venti anni organizza festival, produce musica e dischi senza confini fra i generi, puntando sempre verso progetti innovativi e di grande qualità culturale. La presentazione si terrà in Fondazione MUDIMA a Milano il 2 marzo. L'intervista.
A
bruciapelo: perchè la musica degli Area era - ed è -
“galattica”?
Merlin:
“Galattica”
è un aggettivo che ci è stato appellato dal nostro produttore, Saul
Beretta, dopo aver sentito come manipolavamo quel materiale musicale.
Ci sta per diversi motivi, lo spazio, la Kosmische Musik, la
componente scientifica, perfino la fantascienza, hanno sempre avuto
un addentellato stretto con la psichedelia. E certamente con Valerio,
spesso ci spingiamo in territori che a quell’estetica, onirica e
spaziale, si rifanno.
Scrignoli:
La
galassia
è un insieme composto da stelle, gas e polveri. Qualcosa che sta
lassù, che ci affascina e che ancora ha tanti segreti da scoprire.
Gli Area sono stati una galassia nel panorama musicale italiano, un
mix unico e irripetibile di materia musicale. Nella quale io e Enrico
– come due scienziati pazzi – ci siamo tuffati per tentare di
scoprirne i segreti.
Tra
Led Zeppelin e Miles Davis, non siete nuovi nell’arte della
rivisitazione. Quale “chiave di lettura” avete adottato
nell’affrontare il repertorio Area?
Merlin:
Inizialmente,
quando Viviana Bucci di Musicamorfosi ci aveva proposto di affrontare
il repertorio degli Area, ho pensato che fosse una follia. Musica in
cui gli elementi improvvisativi erano generati o strettamente
collegati a composizioni molto strutturate, complesse, ricchi di
polimetrie e multiritmie. Ci abbiamo lavorato un po’ su, e come per
gli altri repertori “sacri” siamo riusciti (credo) a trovare una
via alternativa all’interpretazione dei materiali, sui vari
parametri musicali.
Scrignoli:
E’ un caso diverso da altri progetti in cui sono stato coinvolto,
mi riferisco ad esempio a quelli di Giovanni Falzone con cui ho
l’onore di collaborare da anni. La sua è scrittura, sapiente
composizione. Giovanni ha riletto magistralmente i Led Zeppelin,
Miles ma anche Verdi e Rossini in chiave jazz rock. Noi Maledetti
abbiamo preso dei frammenti tematici della musica degli Area e lì
dentro ci siamo buttati. Lasciandoci andare a quello che ci passava
per la testa; molto è improvvisazione e anche il disco è un “live
in studio” registrato in sei ore, quasi tutto d’un fiato.
Maledetti
contiene brani diversi per annata, provenienti da album diversi,
differenti anche per scrittura, contenuti ed esecuzione, tanto per
fare un esempio pensiamo a Luglio,
agosto, settembre (nero)
e Vodka
Cola.
Se volessimo trovare un filo conduttore che lega i brani, quale
sarebbe?
Merlin: Ecco,
la scelta del repertorio è stata determinata proprio dal tipo di
approccio interpretativo. In parte i brani che ci piacevano sin da
ragazzi, ma anche quelli che permettevano di essere meglio manipolati
secondo la nostra estetica.
Scrignoli:
Non c’è un filo conduttore. Abbiamo lasciato che la selezione
fosse “naturale” per tornare ai termini della scienza… Anche
qui la scelta è venuta da sola, forse sono i brani che hanno scelto
noi!
Siete
entrambi degli improvvisatori e la musica degli Area ha attinto molto
dalla “composizione estemporanea”, sempre in chiave originale
(pensiamo a Caos
Parte Seconda).
È stato così anche per voi in Maledetti?
Merlin: Per
noi è stato molto importante provare a raccontare come queste
composizioni siano senza tempo, e attraverso il nostro intreccio
chitarristico, l’improvvisazione non è solo espediente narrativo,
ma anche sostanza intrinseca del fare.
Scrignoli:
Si certamente. L’improvvisazione è “composizione estemporanea”.
Tre
pezzi del disco provengono dall’ultimo album degli Area con
Demetrio Stratos, ovvero 1978
Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano.
Disco nel quale la chitarra di Tofani era assente…
Merlin: Questo,
a maggior ragione, dovrebbe già raccontare come i riferimenti
all’originale siano per noi davvero poco importanti. Ovvero, lo
sono come forma di rispetto, ma tutto avremmo voluto tranne che fare
la “cover band” degli Area. Lo stesso tipo di operazione, come
precedentemente sottolineato, lo abbiamo infatti utilizzato
rispettivamente anche con Miles Davis e i Led Zeppelin, ma si
potrebbe fare anche con Derek Bailey, i Beatles o Stravinskij.
Scrignoli:
Quello
a mio parere è uno degli album più jazz, nonostante non ci fosse la
chitarra di Tofani. E in fondo, anche se sia io che Enrico non amiamo
troppo le etichettature stilistiche, il jazz è il mondo da dove
entrambi proveniamo.
Entrambi
avete praticato e praticate jazz – in forme anomale e molto
personali: che tipo di elementi jazz avete trovato nella musica degli
Area?
Merlin:
Elasticità
ritmica, improvvisazione di carattere armonico, melodico e timbrico…
Provare una forma di “what if”, partendo da lì è per me sempre
una sfida interessante.
Scrignoli:
La musica degli Area è stata una musica di incontro, fra i primi
esempi in Italia (e non solo) fra jazz, etnica, elettronica... Per
quanto mi riguarda questa dovrebbe essere la vera anima del jazz.
Senza barriere, sempre aperta al nuovo. Purtroppo spesso non è così
e spesso il jazz tende a rinchiudersi nel suo “genere” con un
ottuso orgoglio che non condivido assolutamente.
A
proposito di assenze: Area senza la voce/strumento di Demetrio è per
molti inconcepibile. Per voi?
Merlin:
Chiunque
riproponesse il repertorio degli Area con un cantante si metterebbe
in una posizione davvero scomoda. L’opzione “coverismo” sarebbe
dietro l’angolo ad ogni battuta. Ma sarebbe come Demetrio avesse
voluto registrare un “tributo” a Leon Thomas… Solo se lo
espliciti nella forma di “tributo a…”, puoi provare a non
uscirne con le ossa rotte, da un punto di vista artistico.
Scrignoli:
L’approccio che abbiamo avuto in questo progetto ha la presunzione
di essere “rivoluzionario”. Per rendere un omaggio non solo
musicale ma soprattutto culturale a questo grande gruppo italiano.
Intervenendo con una nostra personale rilettura che ne rispettasse
l’anima oltre che le note. Demetrio manca, e anche tanto. Ma
qualche volta torna giù e si infila fra le corde delle nostre
chitarre, ne siamo certi!
Un
vostro parere sul chitarrismo del collega: ovvero Enrico cosa pensa
di Valerio e Valerio cosa pensa di Enrico…
Merlin: Per
me Valerio è uno più forti chitarristi in Italia. Lui SA! Sia che
si muova nel contesto del linguaggio mainstream, sia che si spinga
nei territori dell’informale rimane sempre coerente ed efficace,. E
in più suona con il cuore in mano, qualità, che mi spiace dirlo,
non è di molti (pur tecnicamente fortissimi) musicisti in questo
scorcio di XXI secolo.
Scrignoli:
Enrico è un musicista straordinario che trae la sua unicità e
originalità dalla sua esperienza d’ascolto e dalla sua conoscenza.
Questo gli dà una libertà unica e gli permette di confrontarsi, con
energia e sicurezza, con ogni tipo di musica. È un vero creativo,
con lui niente è banale. Sono veramente fiero di questo progetto con
lui; per me è stato motivo di crescita e sono sicuro che lo sarà
ancora.
Nel
riascolto degli originali, cosa vi ha colpito di più della musica
degli Area? Ancora oggi si discute se sia progressive, world music,
jazz-rock o altro…
Merlin: Chi
continua – ancora oggi – a voler incorniciare gli stili musicali,
ha perso il treno della contemporaneità, e la memoria del
quindicesimo secolo, ah ah ah…
Scrignoli:
Riascoltare
oggi la loro musica è come ascoltare una cosa NUOVA. Nel panorama
odierno direi NUOVISSIMA. Mi colpisce sempre la loro freschezza al di
là della collocazione di genere. Sono affari di cui non mi occupo.
Evaporazione, La Mela di Odessa, Cometa Rossa, Hommage à Violette Nozières, L'Elefante Bianco, Luglio, agosto, settembre (nero), Vodka Cola e Il Bandito del deserto: questi i pezzi degli Area che i chitarristi hanno scelto di interpretare, ovviamente alla luce della propria personalità e assecondando le scintille nate all'impronta in sala di registrazione. Non un disco di tributo, men che meno una sequenza di cover, ma uno spunto, uno stimolo, un trampolino di lancio per avventurarsi tra le possibilità improvvisative ed espressive offerte dalla musica degli Area. Non è un caso che le due chitarre si addentrino in brani così caratterizzati dalla voce di Demetrio Stratos oppure in pezzi del 1978, nei quali la riconoscibilissima chitarra di Paolo Tofani era assente; inoltre Merlin e Scrignoli lavorano anche su connessioni e soluzioni sorprendenti, tirando fuori citazioni e rimandi che vanno dal tema di James Bond a Joe Zawinul, passando per Miles Davis e King Crimson.
Maledetti!
La memoria del ventesimo secolo
Abbiamo
perso. Maledetti. Abbiamo perso la memoria la memoria del ventesimo
secolo. Venti. Ventesimo il abbiamo secolo perso. Perso il memorio
secolo abbiamo secolo venti. Abbiamo perso la pappetta pappina
pappona. Abbiamo. Ventesimo secolo. Ladies and gentlemen.
È
Demetrio che parla. È già evaporato? Maledetti! Giocare col mondo
(degli Area) facendolo a pezzi (otto temi). Enrico e Valerio. Bambini
che il sole ha ridotto già vecchi. Gli occhiali. Fuori dalla strada
comune. Dove il centro è sul margine. Niente più cover band. Sono
troppe. Tre chitarre. Tricantano elettriche il mondo. Chitarre e
pedali. Delay (chitarre tricantano ancora) e reverse (arocna
onatnacirt erratihc). Macchine. Suonare la voce. Senza voce. Suonare.
I devoti di Demetra. La musica nasce a Est. Dare voce agli oggetti
col suono. Il corpo a colpi di corde sul volto. Con il suono delle
dita che ti spara sulla faccia. Come parole che raccontano note.
Come?
Girano
in loop. Girano in loop. Girano in loop. Giro giro sempre in tondo.
Le parole sono gabbie. Le note sono voci di un mondo lontano. Vicino.
Presente. Che irrompe e disturba. Irritante. Occhi e labbra in
tensione. Frastuono poi piano. Rassicuranti riprese che ripetono un
tema ormai noto ma già leggermente cambiato. Con il suono sulle dita
che si spara sulla faccia. In piedi e seduti. In piedi non legge.
Sorride. Abolire la parola che t’incastra nello stile. Ai confini
delle note (canzoni). Non conosco le note. Le mie band sono cover.
Maledetti.
Mi
hanno strappato le cuffie. Ora posso ascoltare. Scopro lo spazio
percorso da voci. Niente più differenze tra musica e vita. Fuori
dalla strada comune. Perché il centro è sul margine. Gli occhi
azzurro pallido da angeli in esilio. Maledetti. La stagione
all’inferno è finita. I fratelli di Persefone hanno illuminazioni.
“Questo mi piace, perché sembra che non sappiamo suonare”.
Sprezzatura. Mondi. Mondi nei mondi che fondono i tempi.
Stratificazioni. Memorie. Echi a brandelli. Ancora riprese. Area di
famiglia senza più famiglia. Bond
Marley. Sessanta in Settanta. Settanta in Duemila. How many Miles to
Heaven? Ricostruire
il muro del suono con l’Internazionale. Abbiamo perso. Maledetti.
Abbiamo perso la memoria del ventesimo secolo. Il ventesimo secolo?
Non si ricorda un concerto a parole.
Foto di Cristina Crippa