Museo Bilotti Roma, dal 18 gennaio "Architettura invisibile" mostra a cura di Rita Elvira Adamo

Questo progetto espositivo si è sviluppato a partire da uno studio comparativo iniziato nel 2014 e condotto da Rita Elvira Adamo, una giovane studentessa di architettura della London Metropolitan University, che ha confrontato le opere degli architetti radicali italiani degli anni ’60-’70, come Archizoom (Andrea Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi, Dario e Lucia Bartolini), Superstudio (Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia, Roberto Magris, Alessandro Magris, Gianpiero Frassinelli ed Alessandro Poli) e UFO (Lapo Binazzi, Carlo Bachi, Patrizia Cammeo, Riccardo Foresi, Titti Maschietto, Sandro Gioli), con progetti selezionati realizzati da architetti contemporanei giapponesi.

La mostra ‘Invisible Architecture: Italian and Japanese architectural movements in the 1960s and 1970s and contemporary debate’ (Architetture invisibili: movimenti architettonici italiani e giapponesi degli anni ’60-’70 e il dibattito contemporaneo) è un percorso didattico su larga scala, una ricerca composta da due fasi complementari l’una all’altra. La prima fase, all’interno di un’apposita struttura storiografica, evidenzia la vicinanza culturale tra le proposte concettuali dei radicali italiani, con il loro passaggio da modelli di città tradizionali, l’aggiunta di megastrutture, l’introduzione della concezione proto-ambientalista della natura come elemento socio-culturale di progettazione, e le precedenti – anche se quasi contemporanee – esperienze teoriche del movimento metabolista giapponese. 
La seconda fase dell’analisi, la più comparativa, ha l’intento di mostrare come le idee – sviluppate durante una fase di ricerca breve ma prolifica da parte dei metabolisti e dei radicali – venissero affrontate, e talvolta adottate, da generazioni più giovani di architetti giapponesi e italiani del XXI secolo. Queste nuove generazioni non sembrano facilmente incasellabili in un gruppo teorico ben preciso, bensì condividono una grande sensibilità rispetto ai segnali di entrambe le esperienze passate, forse troppo innovative e utopistiche a quei tempi, e con il dibattito contemporaneo, secondo una prospettiva più solida, efficiente e pragmatica, e priva dell’aura ideologica dei predecessori.
Gli studi di architettura contemporanea selezionati per questa seconda fase sono Sou Fujimoto, Kentaro Yamazaki, Onishimaki + Hyakudayuki Architects, Yuko Nagayama, Alphaville, Jun Igarashi per il Giappone e 2A + P/A, DAP Studio, Ian+, OFL Architecture, Orizzontale, Studio Wok, Tipi Studio per l’Italia. 
I radicali italiani e, in misura minore i metabolisti giapponesi, non hanno mai avuto la possibilità di realizzare i loro progetti più ambiziosi e utopistici. Il punto di forza delle loro idee è ancora diffuso grazie ai loro progetti e ai loro scritti e, dopo gli anni Settanta, tali idee hanno aumentato gradualmente l’impatto sulla società e sulla cultura, influenzando tanto il design quanto i nostri concetti di progettazione e stile di vita nello spazio urbano. Entrambi i radicali e i metabolisti fallirono nell’intento di cambiare le rispettive società in un tempo breve, ma hanno cercato di veicolare alcuni dei loro messaggi più moderni come eredità idealistica per le successive generazioni che hanno mostrato un approccio più pratico di fronte alle questioni urbanistiche del XXI secolo.

Poiché l’esposizione punta a mostrare affinità e divergenze tra i due gruppi, la selezione compiuta di architetti italiani e giapponesi focalizza l’attenzione sul conteso storico e sociale. Per questa ragione la mostra è suddivisa in tre aree tematiche principali: Ambiente, Tecnologia e Abitare. Questi temi sono stati, e continuano a essere, aspetti fondamentali nel processo di progettazione e, con i progetti selezionati per la mostra, si scoprirà la loro anima universale e atemporale e si riconosceranno come prodotti della società, delle culture e del tempo in cui sono stati concepiti.

Lo studio comparativo mostra come gli architetti italiani e giapponesi hanno avvertito la necessità di incorporare le istanze sociali nell’architettura e nel design, seppure con approcci differenti, e come sono stati influenzati dagli aspetti culturali della civilizzazione e dai contesti storici. Entrambi i gruppi condividono una rigorosa attenzione nei confronti delle rispettive realtà sociali nazionali, che porta a uno sviluppo di idee e di stili peculiare e originale. Tra le somiglianze possiamo includere lo strenuo tentativo di cambiare la società e l’insolito approccio nei confronti della città e dell’architettura, radicale e provocativo laddove, tra gli studi di architettura dei giorni nostri, emerge una sorprendente affinità nell’interpretare il contesto storico e naturale, oltre a una sensibilità nuova in armonia con culture vecchie di secoli. Per quanto riguarda le differenze è importante sottolineare l’impatto concreto che le ricerche, compiute dalle avanguardie e dagli architetti contemporanei, hanno avuto sull’ambiente edificato. Mentre gli architetti giapponesi mantengono ancora un ruolo da protagonista nella società in cui operano, gli italiani hanno avuto, e hanno ancora, una piccola possibilità di condizionare i processi economici e di attuazione nel produrre architettura e il loro impatto sulla società rimane, quindi, marginale. 
Perciò Architetture invisibili ha un duplice fine: da un lato, attraverso il processo di selezione della mostra è stato prodotto un tentativo di illustrare un viaggio attraverso l’evoluzione delle “parole” dei metabolisti e dei radicali degli anni Sessanta fino a “progetti” attuali, in cui la vera realizzazione di molte idee innovative può essere facilmente riconducibile a questi due gruppi di avanguardia degli anni Sessanta; dall’altro lato, è stato segnalato che le creazioni degli studi di oggi non sembrano avere abbastanza vigore per scatenare un cambiamento di massa dal punto di vista della dimensione sociale dell’architettura, anche se si fa strada un pragmatismo più preciso delle generazioni più giovani, specialmente se confrontato con quello dei loro predecessori. L’esposizione, in questo senso, non mira solo a confrontare i due gruppi di architetti e il contesto in cui hanno operato, bensì si sforza di creare un punto di riferimento per le generazioni più giovani di progettisti emergenti che si trovano calati nel villaggio globale attuale e che sono impegnati ad aprire un dibattito su questioni sociali e ambientali sempre più urgenti. 

Dopo una prima sezione storico-culturale che presenta i protagonisti dell’avanguardia e il loro contesto, la mostra prosegue attraverso una ideale suddivisione in tre sezioni principali: Ambiente, Tecnologia e Abitare, parole chiave selezionate attraverso un’accurata analisi delle opere e secondo la filosofia degli architetti. 
Entrambe le avanguardie e i gruppi contemporanei saranno suddivisi in queste tre sezioni che condurranno i visitatori in un viaggio che alterna “la teoria e la parola” dei gruppi degli anni Sessanta ai “progetti e  simboli” degli studi attuali, raffigurando non solo le somiglianze innovative che collegano le due avanguardie storiche ma anche le pietre miliari concettuali che hanno condotto gli studi più recenti a una nuova interpretazione di esperienze passate attraverso le loro sperimentazioni.

Per quanto riguarda le opere realizzate dai contemporanei, l’allestimento si avvale di fotografie, prospettive e modelli in scala per scopi didattici, mentre le illustrazioni, le riviste, i video e i collage rappresenteranno invece i lavori delle avanguardie. Le sezioni sopracitate verranno divise tra avanguardie e contemporanei e saranno organizzate come segue: 

Nelle sezioni Ambiente delle avanguardie i progetti saranno selezionati secondo le teorie dei gruppi per quanto concerne la relazione tra uomo, architettura e natura. Sia per i metabolisti sia per i radicali, la natura ha trovato luogo nei progetti come entità distinta che tuttavia coesiste con l’architettura, agendo come uno spettatore neutrale dello sforzo umano, piuttosto che essere una realtà modificata dal positivismo razionale di inizio secolo. 
Altrettanto vale per le nuove generazioni italiane e giapponesi che osservano la natura come qualcosa che va rispettata, una fonte di ispirazione e riflessione, secondo i nuovi principi di sostenibilità, perciò non qualcosa che necessita di grandi cambiamenti.

Nelle sezioni della Tecnologia i progetti saranno selezionati in base alle loro caratteristiche socio-tecnologiche. Fin dai primi anni del XX secolo l’architettura ha visto la tecnologia come la chiave per migliorare la società e perfino per modificare l’ambiente naturale. Tale progresso, sviluppato ulteriormente nelle avanguardie degli anni Sessanta, arriva a rendersi conto che l’uso delle forme più avanzate della tecnologia potrebbe funzionare come modello per la produzione della nuova società del futuro.
L’utilizzo delle megastrutture è stato l’esempio plateale di tale rivoluzione ed è importante sottolineare che, malgrado i progetti delle megastrutture fossero finiti nell’oblio per lungo tempo, l’impiego previsto della tecnologia da parte dei radicali ha trovato invece tra le nuove generazioni di architetti la sua più grande realizzazione. Concetti quali modularità, immaterialità, collegamento ipertestuale, oltre alla relazione tra tecnologia e natura per migliorare e preservare l’ambiente, sono tematiche che hanno stabilito una connessione diretta tra avanguardie e contemporanei.

Le ultime sezioni, riguardanti l’Abitare, sono probabilmente quelle che rendono notevole il confronto tra avanguardie e contemporanei. La prima sezione ha lo scopo di portare in primo piano una serie di intuizioni estremamente avanzate riguardo a come vivere una metropoli in modo dinamico e senza punti fissi, anticipando di fatto la vita dell’uomo moderno così come viene progettata nelle città attuali. Dall’altro lato i contemporanei stanno tentando di riportare l’approccio della progettazione dell’abitazione a una dimensione più vicina all’uomo, grazie all’uso di strumenti avanzati in un approccio alla città quanto più sostenibile. Esistono ancora alcune note distintive rilevanti tra architetti giapponesi e italiani che, ciononostante, troveranno alcuni punti di contatto con il passare degli anni. 

Essendo questi temi ancora indubbiamente complessi e rilevanti, gli strumenti scientifici trarranno vantaggio da una serie di testi di carattere storico-critico scritti da studiosi illustri provenienti da diversi Paesi che, per molti anni, hanno intensificato l’interesse relativo a questi due gruppi e a questi due periodi.
Fattitaliani

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