La voce (in)umana apre la
rassegna “I solisti del teatro” diretta da Carmen Pignataro che è
giunta con molte difficoltà alla sua 23° edizione e si protrae fino
al 7 settembre.
È una rassegna storica dell’Estate Romana che
ospita moltissimi protagonisti del Teatro e che rappresentano degli
spettacoli meravigliosi. Il Teatro è denuncia. In la Voce (In)umana
una donna precipita dall’amore nel vuoto dell’abbandono perché
il suo uomo l’ha lasciata. Risalta l’isteria ossessionata dai
mezzi di comunicazione che interferiscono all’interno delle nostre
relazioni personali e fanno aumentare quel senso di solitudine e di
vuoto che non apparteneva alle generazioni che avevano solo il
telefono a gettoni o a quelle precedenti che non avevano neanche
quello. E’ venuto a mancare il focolare domestico ma anche la
piazza (l’agorà greca) in cui ci si riuniva per discutere di temi
politici e di altro. Per Marco Carniti, la piazza è il Teatro, un
mezzo sociale che è anche un atto d’amore. I mezzi di
comunicazione sono un grande mostro da saper gestire ma bisogna
comunque cercare di mantenere il contatto umano.
La voce
umana è un esperimento che ho voluto fare da un classico del
novecento e che ho ritoccato dal punto di vista della modernità. E’
lo stesso testo interpretato da Anna Magnani, da Ingrid Bergman e da
tante altre e l’intento è quello di voler restituire l’essenza
moderna, la follia del quotidiano, Così che lo spettatore possa
identificarsi nella telefonata della donna che vuole suicidarsi
perché abbandonata dal suo uomo e nello stesso tempo ci fa vedere
anche il lato ironico dei nostri atteggiamenti di fronte alla follia
dell’amore, come accade nel cinema di Pedro Almodovar o di Woody
Allen, dove la nevrosi amorosa diventa qualcosa d’ironico
nell’osservatore. Il fatto di togliere la voce umana dal dramma di
una donna che si toglierà la vita si avvicina a ciò che accade nel
Film “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” che è una specie
di meditazione della voce umana, ci troviamo di fronte a qualcosa di
simile in cui l’isteria unita alla modernizzazione dei mezzi di
comunicazione, di come i cellulari, internet, Skype e tutti i social,
interferiscano all’interno delle nostre relazioni personali e ciò
fa aumentare la nevrosi oltre ad aumentare quel senso di solitudine e
di vuoto. Ricordiamo che il testo narra di una telefonata di una
donna negli anni 30 che vuole suicidarsi, per trasportarla nella
modernità ho rotto il filo che la lega al telefono. L’ho tolta dal
letto e l’ho messa in una stanza, dove c’è un Totem di lavatrici
e lei presa dalla sua follia, continua a lavare e rilavare gli stessi
indumenti dell’amore che l’ha abbandonata. Lei è una donna
disperata e ci fa capire di come l’essere umano di fronte all’amore
possa diventare fragile. Voglio dedicare questa pièce a Shakespeare,
visto che siamo nel quattrocentesimo anniversario della sua morte e
lui per primo ci ammonisce contro l’amore, dicendo che l’innamorato
è come un pazzo che ha solo bisogno di una stanza dove essere
frustato. Il problema è che chi dovrebbe frustarlo è a sua volta
innamorato. Ciò per farci capire che l’essere umano di fronte
all’amore cade ma poi si guarda e si accorge che il filo tra la
drammaticità ed il comico è molto sottile. Le altre interpreti che
hanno preceduto Carmen Giardina avevano caratteristiche diverse ad
iniziare dalla voce cupa da tragedia greca, mentre questa pur avendo
una grande presenza scenica conserva un certo brio ed una certa
vocalità. Quindi questo mi ha aiutato a modernizzare il personaggio
con questa folle ironia con la quale questa donna cerca di
metabolizzare il dolore. L’abbandono è il vuoto, Cocteau non fa
certo un discorso sociale, entra quasi in un cliché chiedendosi che
cos’è l’amore e cosa succede nel momento dell’abbandono.
L’essere umano di fronte all’abbandono si perde ed in questa
messinscena perde il contatto fisico abbandonandosi ai mezzi di
comunicazione che sono solo illusioni. Ciò fa sentire ancora più
distaccati dal contatto umano e ci fa cadere nel buio, nel vuoto,
nell’isolamento. Non è un testo noioso in cui vai ad ascoltare una
donna che piange per cinquanta minuti, ma ti fa entrare nella
modernità e di come l’uomo si scontri con essa e naturalmente
soccomba perché siamo più fragili.
La donna si rifugia in
una stanza in cui ci sono tantissime lavatrici a formare un Totem?
Perché le lavatrici e possiamo dire che il Totem sia sacrificale?
Perché è stata abbandonata ed in quella casa ci sono non solo i
suoi vestiti ma anche quelli di chi l’ha abbandonata. Deve
preparare la valigia per restituirli ma si ostina a lavarli e
rilavarli in un tentativo disperato di trattenerli ed anche di
dissolvere l’odore di quest’uomo. La stanza è iperrealista e lei
da innamorata è folle e disperata. Da Regista entro in questa casa e
guardo tutto dal buco della serratura come una specie di Grande
fratello. Noi non ci vergogniamo delle nostre reazioni se sappiamo
che nessuno ci guarda. La donna è incastrata in questa macchina
infernale che contiene gli oggetti di lui. Sul finale cita Sara Kane
una delle più importanti drammaturghe inglesi che si è tolta la
vita giovanissima. E’ diventata un po’ un simbolo perché ha
scritto un testo che si chiama 4.48 Psicosi in cui racconta perché
lei si sarebbe suicidata, la malattia dell’animo che l’ha portata
al suicidio e che in una delle sue pièce fa una grande dichiarazione
d’amore che si sente nel finale del nostro spettacolo come se lui
gli avesse mandato un messaggio. Un dialogo dell’amore che parte da
Shakespeare, passa da Cocteau fino ad arrivare a Sara Kane. Di fronte
all’abbandono, l’animo non regge.
Secondo lei le donne
di oggi, si riconoscono in questo spettacolo? Ho fatto delle
prove aperte e mi sono accorto di come le donne escano spesso
traumatizzate perché per molte di loro il rapporto con l’altro
sesso è fatto di piccole bugie, la donna oggi sta denunciando
un’altra realtà e si riconoscono drammaticamente nei meccanismi
dello spettacolo. Gli uomini pur essendo quelli che ridono di più,
hanno una reazione strana rispetto alle donne che in alcune parti
riconoscono il loro vissuto. Tuttavia continuiamo a credere
nell’amore perché rimaniamo dei grandi romantici. Oggi la donna ha
raggiunto la parità con l’uomo in tutti i sensi. Non bisogna
guardare ad essa come una vittima perché donna. La voce che io
chiamo (in)umana rappresenta quella voce che parla al cuore dell’uomo
e che in realtà può essere sia maschile che femminile.
Cosa le ha lasciato il
Maestro Giorgio Strehler?
Strehler mi ha fatto
capire come si fa e soprattutto che il Teatro non è solo una cosa
intellettuale scritta su un foglio. La cosa più importante che mi ha
lasciato è l’educazione alla cultura che posso paragonare a quando
la mamma ti insegna le regole per stare a tavola. Mi ha lasciato
anche il senso critico del Teatro, di vederlo non solo come
rappresentazione della realtà ma anche di guardarlo da esterno.
Partendo dalla danza e poi dalla Musica, con il Teatro mi sono in
qualche modo completato.
Elisabetta Ruffolo