Sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle scuole aleggia l’ombra di una grande contraddizione. Mentre la tecnologia avanza di giorno in giorno e lascia poco margine a cittadini e governi per adattarsi alla nuova realtà, gli studenti e gli insegnanti la utilizzano per sfruttare tutti i suoi strumenti.
Grazie a loro, e spesso ufficiosamente, l’AI è già presente nelle aule: vive negli smartphone, sostituisce bigliettini e minute, svolge tesine di fianco o al posto dei ragazzi e dà una mano nella preparazione dei materiali didattici. Le famiglie osservano l’epidemia IA con curiosità o perplessità, senza sapere fino a che punto influenzerà il futuro dei propri figli, e i sistemi educativi europei, semplicemente, si trovano ancora in fase di pianificazione, senza un vero sistema di prevenzione dei rischi per studenti e insegnanti. Mentre la burocrazia ristagna, i prompt nelle aule fermentano.L’ultimo report sul Futuro dell’educazione 2025 di GoStudent getta luce su questo paradosso: in Italia, l’81% degli studenti utilizza qualche strumento di IA, ma solo il 44% vi ha accesso formale in aula. Una contraddizione difficile da giustificare: il lavoro accademico ruota sempre più attorno a strumenti ai quali non hanno accesso a scuola e sui quali non hanno educazione. Lo stesso accade con i docenti: secondo il report il 66% non aveva ancora ricevuto formazione sull’IA nell’aprile 2025, nonostante gli stessi insegnanti considerino come prioritario formare gli studenti su cybersicurezza e intelligenza artificiale. La domanda interna esiste, il riconoscimento del rischio anche, ma gli strumenti formativi arrivano col contagocce. Eppure, la stragrande maggioranza dei genitori (più di due terzi, secondo i dati di GoStudent) attribuisce alle scuole la responsabilità di insegnare l’IA.
Questa disconnessione non è esclusiva dell’Italia. L’Indice Europeo dell’IA nell’educazione presenta uno studio comparativo sul modo in cui i diversi governi europei stiano pianificando l’integrazione dell’IA nei rispettivi sistemi educativi. Prendiamo il caso dell'Italia e del Regno Unito, rispettivamente primo e ultimo nella classifica elaborata dalla società EdTech. Entrambi i Paesi hanno avviato delle iniziative per formare i docenti all’uso dell’IA: lezioni più interattive, nuove strategie didattiche, e così via. Altri governi, tra cui quello spagnolo o francese, stanno ponendo invece l’accento sull’alfabetizzazione digitale proprio degli studenti, con l’obiettivo di formare i cittadini alla consapevolezza dei limiti e dei rischi dell’IA già in età scolare.
E le famiglie? I genitori sono sempre più consapevoli che l’IA non sia un accessorio, ma una competenza essenziale. Il 68% di loro vede un grande potenziale nell’IA per migliorare l’apprendimento e la sicurezza online dei figli. Una fiducia che si specchia in un timore crescente: il 69% ritiene che i propri figli stiano diventando dipendenti dall’IA, e il 48% pensa che rimarranno indietro se non avranno accesso a strumenti educativi basati sull’IA. Così, mentre molti genitori hanno accettato i potenziali benefici dell’IA, non possono evitare di chiedersi quale sia il prezzo da pagare per il suo utilizzo. Per questo considerano oggi più importanti le competenze personali, come: conoscere i rischi dell’IA e come prevenirli (44%), saperla usare per fare ricerche (40%), pensiero critico (31%) ed etica (26%).
Ad approfondire il quadro intervengono nuove pubblicazioni scientifiche, come “Your Brain with ChatGPT” (MIT, 2025), che avvertono che l’IA può diventare una stampella in una fase in cui i ragazzi sono ancora in pieno sviluppo neurocognitivo: l’IA può potenziare l’apprendimento, ma può anche indebolire la capacità di riflessione se usata come scorciatoia permanente.
E i diretti interessati lo sanno bene: il 63% degli studenti europei vorrebbe che i propri insegnanti ne sapessero di più sull’intelligenza artificiale, e pensano sia ormai necessario introdurre materie dedicate all’AI. Per loro, imparare a dialogare con gli algoritmi è importante quanto imparare a leggere e scrivere per interpretare il mondo contemporaneo.
Da qui nasce il paradosso: secondo i dati di GoStudent, l’85% degli istituti scolastici prevede di ampliare l’uso dell’IA entro il 2030, mentre il 56% dei docenti dichiara di avere bisogno di formazione specifica senza però riceverla. In altre parole, si introducono nuove tecnologie senza fornire agli insegnanti gli strumenti per utilizzarle in modo efficace.
L’istruzione non può limitarsi a insegnare a “usare” l’IA; deve insegnare a capirla, a metterla in discussione, a sapere quando affidarsi ad essa e quando invece tenerla a distanza. Integrare l’IA nell’istruzione sarà sempre più imprescindibile. Lo è già. La tecnologia deve adattarsi alla pedagogia, non viceversa. Perché ciò avvenga, dobbiamo rafforzare le basi: pensiero critico, etica, creatività, autonomia intellettuale: ciò che ci rende umani e che nessun algoritmo potrà sostituire. E quando l’IA diventerà il copilota dell’apprendimento, sarà bene assicurarci che siano ancora insegnanti e studenti a tenerne le redini.



