Marianella Bargilli a Fattitaliani: il teatro, un’esperienza viva che emoziona, scuote e fa riflettere. L'intervista





di Giovanni Zambito - Con Titus - fino al 12 ottobre in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma - Marianella Bargilli torna a confrontarsi con Shakespeare affrontando uno dei personaggi più complessi e controversi del suo repertorio: Tamora, la regina dei Goti. Nella versione diretta da Davide Sacco, la tragedia viene riletta con uno sguardo contemporaneo e incisivo, che mette al centro la violenza, la vendetta e la trasformazione del dolore in forza distruttrice. Lo spettacolo - presentato nella cornice della stagione 2025 - si propone come un rito collettivo, un grido che attraversa i secoli per arrivare a interrogare il presente. In un mondo anestetizzato dalle immagini, Titus restituisce al teatro la sua funzione più alta: scuotere, provocare, emozionare. L'intervista di Fattitaliani a Marianella Bargilli.

Signora Bargilli, Tamora è una figura feroce e complessa: come si è avvicinata a questo personaggio e quali aspetti della sua interiorità ha voluto portare in scena?

Più che la ferocia, nel caso di Tamora emerge innanzitutto l’aspetto della vendetta: nel nostro adattamento teatrale le viene uccisa la figlia - non il figlio, come nell’originale - ma resta comunque un affetto familiare profondo. È un elemento “banale” nel senso universale del termine: la vendetta di una madre nasce spesso dalla perdita.

Nel mondo shakespeariano - come, del resto, nel passato e persino nel presente - la ferocia scaturisce proprio dal sentimento della vendetta, che può manifestarsi in forme diverse nell’essere umano. Shakespeare racconta un massacro fisico, crudo, dove i corpi vengono fatti a pezzi secondo la logica spietata della tragedia. È un meccanismo che conosciamo bene: la vendetta è un sentimento che ci appartiene, prima o poi, in modi diversi - nei rapporti personali, nel lavoro, nella vita familiare.

È piena di rancore, è un sentimento malmostoso che trasforma la nostra mente, le nostre attitudini. E, come dice Shakespeare, ha una durata brevissima: nel momento in cui ci si vendica, qualunque sia il risultato, il gusto svanisce molto più velocemente di quanto si pensasse.

Nel descrivere il ruolo parla di una donna che “si vendica, spinta da un dolore che la rende spietata”. In che misura crede che questo dolore possa renderla un personaggio attuale, vicino al nostro tempo?

Shakespeare racconta epoche lontane, ma in realtà vicinissime a noi. La figura di Tamora è attualissima perché ci parla di ferite e dolori che non hanno tempo: la vendetta, la rabbia, il desiderio di ribaltare i ruoli. Anche oggi il dolore può trasformarsi in un motore feroce, in un impulso a scardinare sistemi di potere.

La differenza tra uomo e donna è sempre stata, nella storia, un peso enorme per le donne. Lo è ancora oggi, sebbene in forme diverse. Le donne hanno vissuto, nel passato, torture mentali e fisiche mostruose; e anche se i contesti cambiano, la fatica di affermarsi e difendersi rimane. È per questo che Shakespeare, pur parlando da un altro secolo, riesce ancora a raccontarci con precisione chirurgica le dinamiche del presente.

Lei ha sottolineato come “le donne devono farsi mostro per non essere divorate”: quale riflessione vuole offrire oggi al pubblico su questo punto così delicato?

La parte femminile di noi porta storicamente il peso di dover resistere, di non essere divorata dal mondo. Le donne hanno dovuto - e devono ancora - difendersi da un sistema che tende a sopraffarle. Tamora, in questo senso, cerca di ribaltare il sistema diventando lei stessa “mostro”, ossia adottando strumenti e strategie di forza per sopravvivere.

La sua ferocia non è gratuita, ma nasce come risposta a un meccanismo sociale e politico che, allora come oggi, spinge le donne a trasformarsi per non soccombere.


Lei ha parlato di Titus come di “un grido, un rito collettivo”. Crede che il teatro oggi possa ancora avere questa funzione di scossa morale e civile?

Assolutamente sì. Il teatro ha sempre avuto - e mantiene tuttora - la funzione di emozionarci e scuoterci. È un’esperienza viva, che accade nel momento stesso in cui la si vive. Ed è per questo che, in un’epoca in cui tutto diventa virtuale, lo spettacolo dal vivo conserva un potere unico: quello di interagire direttamente con i nostri sentimenti e le nostre emozioni.

Mettere in scena un testo come Titus è un privilegio e anche un’urgenza: significa riattivare le coscienze su temi profondi, come la violenza, il dolore, la giustizia. La riduzione firmata da Davide Sacco, che cura la regia, è una provocazione nel senso più nobile del termine: ci costringe a riflettere sul presente attraverso un classico.

Secondo Lei, qual è il rischio maggiore del nostro tempo quando dice che “non ci indigniamo più davanti all’orrore”?

Il rischio è l’assuefazione. Siamo bombardati quotidianamente da immagini e notizie di violenza, brutalità, guerre, soprusi. Vediamo talmente tanto orrore da abituarci, da non reagire più.

Ecco perché il teatro diventa essenziale: quando viviamo un’esperienza dal vivo, condivisa con altre persone, riattiviamo un sentimento diverso, autentico. È come se ci fosse ancora spazio per l’indignazione vera, quella che nasce dall’empatia e dalla presenza.


Se dovesse riassumere con una sola immagine ciò che spera il pubblico porti a casa da questo spettacolo, quale sarebbe?

Mi viene in mente una sola frase: la voglia di vivere. In mezzo alla crudeltà e alla violenza raccontate da Shakespeare, ciò che resiste è la pulsione vitale. È questo che spero arrivi al pubblico.

Fattitaliani

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