Ogni epoca, nel suo affanno di progresso e di velocità, tende a credersi autonoma, quasi separata dal passato. Eppure, ogni volta che un uomo o una donna si ferma a riflettere sul senso dell’esistenza, a domandarsi cosa sia l’amore o cosa sia la morte, scopre di muoversi entro un dialogo che dura da secoli. Un dialogo che non si spegne mai, perché riguarda la condizione universale dell’essere umano: fragile, effimero, eppure capace di innalzarsi al di sopra del tempo.
Tra i filosofi, Platone resta il più grande. Non solo perché ha costruito la prima grande architettura del pensiero occidentale, ma perché ha saputo cogliere la dialettica eterna che informa l’intera esistenza: quella di Eros e Thanatos, la tensione verso la vita e la potenza della morte. Più di duemila anni prima che Freud parlasse delle pulsioni di vita e di morte, Platone aveva già colto questa verità radicale.
Per questo Platone non è mai “passato”: egli continua a vivere nelle domande di chi si interroga, nei dubbi di chi cura, nelle speranze di chi ama. Per questo, soprattutto a chi, come me, è medico e sa che l’uomo non è soltanto una macchina da aggiustare, ma un universo di desideri, paure, simboli e trascendenze, Platone resta un compagno indispensabile.
Platone e Freud: due sguardi sulla stessa ferita
Quando Freud parlava di Eros e Thanatos, descriveva l’intima scissione dell’essere umano. Da una parte, la spinta alla vita, alla creazione, all’amore; dall’altra, il richiamo della distruzione, del nulla, della dissoluzione. L’uomo come campo di battaglia tra due forze cosmiche.
Platone, con parole e immagini diverse, aveva già intuito la stessa realtà. Nei suoi dialoghi — soprattutto nel Simposio e nel Fedro — Platone descrive l’eros come desiderio ascendente, forza che porta l’anima a sollevarsi verso il bello e il vero. Ma riconosce anche la forza della caduta, della materia che trattiene, della disgregazione.
Così, la tensione tra vita e morte, tra forma e caos, non è una scoperta moderna, ma un nucleo originario della filosofia. Freud lo ha analizzato con la lente della psicoanalisi, Platone con il mito e la dialettica. Ma entrambi parlano di noi, della nostra ferita originaria, del fatto che siamo esseri sospesi tra la luce e l’ombra.
L’attualità di Platone per la medicina e per l’uomo di oggi
Viviamo in un’epoca che riduce l’uomo a biomacchina: un organismo da riparare, un insieme di organi e funzioni da monitorare con algoritmi e tecnologie. Ma chi, come me, esercita la medicina sa bene che questa è solo una parte della verità.
Il malato non porta in ospedale soltanto il suo corpo: porta con sé le sue paure, i suoi affetti, la sua storia, i suoi sogni infranti. Porta dentro sé quell’intreccio di Eros e Thanatos che Platone aveva saputo descrivere con mirabile chiarezza.
Per questo Platone è utile ancora oggi. Perché ricorda che l’uomo non è mai riducibile al dato tecnico. Che la salute non è solo assenza di malattia, ma armonia dell’anima. E che curare significa ascoltare, comprendere, accogliere l’altro nella sua interezza.
Come medico, non posso limitarmi a “riparare pezzi”: devo farmi custode di una totalità che trascende il corpo e che si alimenta di simboli, desideri, speranze.
Platone come in un sogno: Matteo Nucci e la vita del filosofo
Recentemente, lo scrittore Matteo Nucci ha pubblicato il romanzo Platone (Feltrinelli), un’opera che accompagna il lettore nella Atene del V secolo a.C., per presentarci non solo il filosofo, ma l’uomo dietro il mito. Come scrive Eva Luna Mascolino su ilLibraio.it, Nucci costruisce un racconto che sembra un lento e poetico sogno, tra gli amori, i viaggi e le riflessioni del filosofo, ponendo al centro il rapporto tra Eros e Morte.
Nel romanzo, Platone viene descritto attraverso gli occhi di un giovane Aristocle, il futuro filosofo stesso, chiamando il grande uomo “lo Straniero”, colui che viene da lontano nel tempo e nello spazio. Questo espediente letterario permette di seguire la crescita e le trasformazioni di Platone, i suoi viaggi, le esperienze politiche e i rapporti con Socrate, fino a comprendere quanto l’esperienza dell’amore e del lutto abbia formato la sua visione filosofica.
Nucci ci invita a vedere Platone non come figura astratta, ma come uomo che cerca, sbaglia, ama, perde, riflette. Un ritratto che conferma la nostra intuizione: l’uomo è più del corpo e più della mente; è un insieme di pulsioni, desideri e riflessioni profonde, una totalità che sfugge alle riduzioni puramente scientifiche.
Platone e il sogno del cigno
Un elemento simbolico che emerge nel romanzo è il “sogno del cigno”, che Platone farebbe prima della morte. Questo cigno rappresenta la fragilità della vita, la bellezza dell’anima e la tensione verso l’eterno. Così come il cigno canta poco prima di morire, l’uomo, secondo Platone, si prepara all’ultimo passaggio attraverso la consapevolezza dell’amore e della morte.
Il sogno del cigno diventa una metafora perfetta dell’Eros e Thanatos: la vita che spinge verso la creazione e l’amore, e la morte che chiama alla dissoluzione e al distacco. È un invito a guardare la nostra esistenza con delicatezza e coraggio: ogni attimo, ogni incontro, ogni esperienza contiene in sé il seme dell’eterno, così come ogni canto del cigno è al tempo stesso sublime e effimero.
Matteo Nucci riprende questa immagine con delicatezza poetica: il cigno diventa il sogno del pensatore, il momento in cui Platone, guardando al termine della vita, sintetizza l’idea che ha guidato ogni sua riflessione: la vita e l’amore, se vissuti pienamente, conducono a una forma di eternità, anche nell’effimero del nostro tempo.
Un dialogo immaginario: Platone e Zhuangzi
Immaginiamo un incontro impossibile ma fecondo: quello tra Platone, il filosofo greco che cercava le forme eterne, e Zhuangzi, il saggio taoista che parlava del fluire del Dao e della relatività di ogni cosa.
Platone: “Amico d’Oriente, io credo che esista un mondo delle Idee, eterno e perfetto. La nostra vita terrena è soltanto un’ombra, una copia imperfetta. Eppure, attraverso l’eros, l’anima può risalire alla verità.”
Zhuangzi: “Caro filosofo dell’Occidente, io non vedo alcuna forma eterna, ma un fluire incessante. Il Dao è come il vento: non lo puoi trattenere né definire. Ogni tentativo di fissarlo è illusione. La saggezza consiste nel lasciarsi andare, come il pesce nell’acqua o l’uccello nel cielo.”
Platone: “Ma se tutto fluisce, come puoi distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto? Non rischi di perdere ogni criterio?”
Zhuangzi: “Il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto sono categorie umane. Il Dao non conosce tali distinzioni. Un tempo sognai di essere una farfalla, e al risveglio non sapevo se ero un uomo che aveva sognato di essere farfalla, o una farfalla che ora sognava di essere uomo. La verità è che entrambe le cose convivono.”
Platone: “Eppure, l’anima desidera ascendere, trovare una patria oltre la caducità. Non ti pare che il desiderio stesso indichi un mondo ulteriore, più reale?”
Zhuangzi: “Il desiderio è vento che soffia. Non va negato, ma nemmeno idolatrato. Il saggio si abbandona al ritmo delle cose, come acqua che scorre senza opporre resistenza. Non cerca l’eterno, perché l’eterno è già in ogni attimo presente.”
Platone: “Forse le nostre vie divergono, ma entrambe indicano che l’uomo non è soltanto corpo. Tu lo vedi nel fluire, io nelle forme; tu nell’accoglienza, io nell’ascesa. Ma entrambi opponiamo alla morte il respiro dell’anima.”
Zhuangzi: “E questo, amico greco, è il nostro incontro: riconoscere che la vita è più vasta di ogni definizione, e che il compito del saggio, come del medico, è accompagnare gli uomini a viverla con pienezza.”
Platone come compagno del nostro tempo
Per il medico, questo significa ricordare che ogni cura è sempre dialogo: tra scienza e umanità, tra tecnica e ascolto, tra corpo e spirito.
Per l’uomo comune, significa non ridurre la propria vita a mera sopravvivenza, ma coltivare il desiderio, la bellezza, la ricerca del senso.
Platone resta il nostro maestro non perché ci offre risposte definitive, ma perché ci insegna a mantenere vive le domande.