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©Fattitaliani.it |
di Giovanni Chiaramonte - La nuova stagione della Monnaie di Bruxelles si è aperta con un debutto che ha conquistato il pubblico presente alla prima di domenica 21 settembre: Falstaff di Giuseppe Verdi, affidato alla direzione musicale di Alain Altinoglu e alla regia di Laurent Pelly. Una produzione che ha saputo unire ironia e raffinatezza, con un’orchestra in stato di grazia e un cast di altissimo livello.
Un inizio brillante che la nuova sovrintendente Christina Scheppelmann ha voluto sottolineare con parole che riflettono lo spirito dell’opera:
«Presentare Falstaff è un ottimo modo per avviare la stagione. Tendiamo tutti a prenderci troppo sul serio - soprattutto i politici - e credo che un sorriso sia qualcosa che dovremmo ricordare più spesso. Un sorriso ti permette di ridere di te stesso, di mettere in discussione ciò che fai e ciò che fanno gli altri, e porta a risultati migliori che non la convinzione di essere sempre perfetti».
In questo contesto di festa e di rinascita, tra i protagonisti emerge una giovane voce italiana: Benedetta Torre, chiamata a dare vita a Nannetta, un personaggio luminoso e vitale, che è stato accolto con grande calore dal pubblico, non solo per la qualità vocale ma anche per la freschezza scenica con cui la Torre ha saputo incarnare lo spirito sognante e ironico della giovane innamorata.
Fattitaliani ha incontrato Benedetta Torre per parlare del suo ruolo in Falstaff, del fascino e delle sfide di Nannetta, del suo percorso artistico e del modo in cui vive oggi, da interprete e da donna, un’opera che mette al centro le figure femminili e la loro forza.
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©Javier Del Real |
Ti piace il personaggio di Nannetta?Sì, molto. Ci divertiamo tanto in questa produzione che, come avete visto, è
molto challenging: fisicamente, fino all’ultimo secondo ti devi muovere,
devi esprimerti al massimo. Però questo aiuta anche a dimenticare che stai
facendo una prima, una recita, e a divertirti davvero: ed è bellissimo.
Tu avevi già interpretato questo ruolo?
In realtà no. Ho fatto un’accademia con il maestro Muti, agli inizi. Ma non facevo Nannetta, facevo Alice, per una piccola parte. Quindi
esperienze di gioventù.
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©Javier Del Real |
Tu sei giovanissima. Come vedi il tuo percorso in questi
anni, in cui avanzi e continui a cantare? Che direzione ti sei data?Allora, sicuramente voglio seguire la natura della voce. All’inizio è giusto
affrontare ruoli che ti obbligano a lavorare sulla tecnica, come questo per
esempio. Io non ho una voce troppo leggera - si possono ascoltare Nannette più
leggere della mia vocalità - però è davvero una scuola per capire tecnicamente
come fare le cose nel modo giusto. Fatto questo, tutto quel lavoro poi lo ritrovi
nel repertorio che sarà adatto alla tua maturazione.
Voglio dire, Nannetta l’hanno cantata anche Ricciarelli,
Freni… cantanti lirici a tutto tondo. Quindi perché non provarla io in
gioventù? E poi, chissà, magari prima o poi tornerà quell’Alice che avevo
affrontato da ragazzina. Vedremo.
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Benedetta Torre con Bogdan Volkov (Fenton) - ©Javier Del Real |
La storia di Nannetta è anche la storia dell’amore che
trionfa. Tu che concezione hai dell’amore?Io credo che sia un’affinità elettiva, una comunione di intenti. All’inizio c’è
più la passionalità, la foga della novità. Poi, a un certo punto - io sono
dieci anni che sto con la stessa persona - credo molto nel creare un legame in
cui nasce una complicità che diventa insostituibile, introvabile. Ovviamente
bisogna sempre tenere acceso anche il fuoco della passione, questo è chiaro.
Però credo che sia bellissimo fare questo esercizio di unicità. Mi piace molto.
Amo l’amore, sì.
Nell’ultima parte, nel bosco, tu sei una fata.
Sì, sono una fata. Ma qui, grazie alla regia di Laurent Pelly, si dà molto
risalto anche allo spirito di Nannetta, che rimane la ragazzina eccitata
dell’inizio, emozionata per quello che le sta succedendo. Anche questo amore
che confessa è molto frizzante.
L’aria che interpreti in questo momento della storia non sembra facile...
Esatto. È poco statica, ed è difficile: sarebbe più comodo star fermi, invece
no. Tra l’altro è forse l’aria più lunga dell’opera. Richiede davvero una
padronanza delle dinamiche molto importante e, con tutti quei movimenti, è
complicato. Ma è stata una bellissima sfida, e sono contenta di essermela
portata a casa.
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E da piccola credevi alle fate?
Sì, come tutti i bambini.
E con la fantasia che rapporto avevi? Volavi? Eri
un’eroina, sconfiggevi il male?
Io ero un’eroina! Sono sempre stata un maschiaccio tremendo. Guardavo Xena in tv, c’era una guerriera che mi piaceva tantissimo. Non aspettavo il Principe
Azzurro: ero io quella che andava a cercarselo e a prenderselo, capito? Ero
fatta così, sì. Questo carattere mi ha aiutato molto.
Quest’opera, però, mette davvero in risalto le donne.
Sì, e soprattutto in questo gruppo abbiamo trovato un’affinità e un’energia
bellissima tra di noi. Penso che si veda che ci divertiamo.
Si nota anche nelle scene delle scale, quando
interagite tra voi, c’è un’unione che va oltre la recitazione.
Mi fa molto piacere che si veda. Questo è bello. Grazie. È un’opera in cui il protagonista è un
uomo, però le donne lo “ammazzano” come non mai. Fa piacere essere
riusciti a renderlo così efficace.
E come modello nel campo artistico? Hai dei riferimenti?Io studio con Barbara Frittoli, che è stata grandissima anche in questo
repertorio verdiano e mozartiano. È un esempio, e sono felice di lavorare con
lei.
Poi, nel passato, tante: la Scotto, soprattutto per l’unione tra musicalità,
attorialità e canto. E poi Callas e Tebaldi: per me non c’è distinzione né
rivalità. Anche Leontyne Price, Leila Gencer… sono un’ascoltatrice
instancabile: da piccola stavo ore su YouTube ad ascoltarle.
E ogni volta che entri in scena, cosa ti auguri che il
pubblico percepisca di te e di ciò che offri con il canto?
Spero di essere sempre molto autentica sul palco. Ricerco la naturalezza e una
veridicità delle reazioni. Mi chiedo sempre: “In una situazione così, cosa
farei davvero?”. Questo porta a cercare qualcosa di verosimile. Credo che la
spontaneità sia molto più bella di qualcosa di costruito. Cerco sempre di
ritrovare questa verità. E spero che arrivi al pubblico.