Venezia 2025: La Mostra tra Cinema, memoria e responsabilità

 


"La cultura è l'unica arma contro l'oppressione." Albert Camus

La 82esima Mostra del Cinema di Venezia non è soltanto un festival. Non è solo luci, flash e tappeti rossiVenezia è specchio, arena, tempio della memoria. Ogni gesto qui ha peso, ogni parola è dichiarazione, ogni silenzio diventa scelta morale. La cultura non è neutrale, il cinema non è evasione, l’arte non è ornamento: è responsabilità, è battaglia, è decisione. Ogni anno, ogni edizione della Biennale ci ricorda che nulla può essere dato per scontato, che ogni film, ogni opera, ogni parola detta o taciuta costruisce la geografia morale del nostro presente e del nostro futuro.

Chi sono Buttafuoco e Abbate

Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore siciliano, oggi presidente della Biennale, è uomo di parole forti e provocatorie. Le sue frasi attraversano l’Italia come frecce invisibili, tra cronaca e letteratura, raccontando tensioni, ambiguità e nostalgie di un passato che non smette di vivere nei nostri gesti e nelle nostre istituzioni. La sua dichiarazione secondo cui “il fascismo non fu come si racconta oggi” ha acceso discussioni che vanno oltre il gossip da festival, toccando nervi scoperti della memoria collettiva, interrogando la nostra percezione della storia e delle responsabilità morali di chi guida la cultura.

Fulvio Abbate, scrittore e critico palermitano, conosce la forza delle parole come pochi. Con ironica lucidità, non ha esitato a denunciare servilismi e compromessi. Quest’anno ha reagito all’intervista di Buttafuoco, suggerendo a Franco Maresco di ritirare il suo film, invocando coerenza morale e memoria storica, ricordando che l’arte ha radici profonde e che la memoria non si svende per un applauso o un premio. Le parole di Abbate riecheggiano il senso di responsabilità che gli artisti italiani hanno sempre avuto di fronte alla storia, alla politica e al pubblico.

Polemica attuale alla Mostra

Le parole di Buttafuoco hanno acceso un dibattito che non è superficiale: “Il fascismo non fu come si racconta oggi.” Abbate ha denunciato retorica ambigua, servilismo politico e silenzio sui crimini a Gaza, sottolineando come un intervento pubblico di un presidente di istituzione culturale possa avere un impatto morale e politico enorme. Maresco ha scelto di restare, dimostrando che anche restare è un atto di responsabilità. Il film non è proprietà della Biennale: è dono, specchio, provocazione, spazio in cui gli spettatori diventano partecipi di una riflessione più grande.

Questa polemica non è semplice cronaca da festival. È un invito a interrogarsi: la cultura può essere neutrale? Ogni gesto artistico ha un peso morale e politico? Ogni silenzio è complicità? Ogni scelta, piccola o grande, contribuisce a definire il mondo culturale e morale che abitiamo.

Cinema e scelta morale

François Truffaut ci ricorda: “Ogni inquadratura è una scelta morale e quindi politica.” Ogni fotogramma, ogni scena, ogni montaggio racconta chi siamo, chi scegliamo di essere. Se questo vale per un singolo film, vale ancora di più per un’istituzione culturale, per chi programma, decide e racconta. La Biennale, con le sue scelte, interviste, selezioni e promozioni, è atto politico.

Il cinema non è evasione. La Mostra non è spettacolo vuoto. È decisione: decidere se piegarsi o resistere, parlare o tacere, essere complice o vigile. La bellezza piegata al potere smette di essere bellezza: diventa ornamento, cornice, tappeto rosso.

La protesta di Novelli nel 1968

Guardare al passato insegna a comprendere il presente. Nel 1968, Gastone Novelli, pittore, rivolse verso il muro le tele della propria sala personale. La Biennale per lui era fascista, e quel gesto era denuncia pura. Non urlata, non spettacolare, ma netta e immutabile: coerenza morale. Novelli ci ha mostrato che l’arte può essere ribellione silenziosa, e che il silenzio stesso può parlare più forte di un manifesto. Il gesto di Novelli è stato memoria vivente, testimonianza di una cultura che non si piega, modello di dignità per artisti e spettatori di oggi.

Altre tensioni storiche della Biennale

La Biennale non è mai stata neutrale. Negli anni, artisti hanno denunciato censura, pressioni politiche, favoritismi e compromessi. Negli anni ’70 e ’80, installazioni provocatorie furono rifiutate, registi furono invitati a ritirare film, critici furono isolati per le loro posizioni. Alcuni boicottarono le esposizioni, altri sfidarono apertamente il potere con opere che criticavano la politica, la guerra e le ingiustizie sociali.

Negli anni ’90 e 2000, la Biennale si confrontò con nuove sfide: rappresentazioni della globalizzazione, conflitti internazionali e crisi sociali. Film e installazioni come quelli di Liliana Cavani, Ermanno Olmi, e più recentemente di registi emergenti, hanno portato il pubblico a interrogarsi su temi di politica, identità e memoria collettiva. Ogni gesto, ogni protesta, ogni silenzio dimostra che la cultura non può limitarsi a piacere, deve scuotere, interrogare, disturbare.

Ritirarsi o restare: coraggio in entrambe le scelte

Ritirarsi può essere ribellione, restare può essere resistenza. Entrambe le scelte sono dichiarazioni di coerenza morale, responsabilità civile e culturale. Venezia diventa simbolo dell’Italia: fragile, splendida, continuamente sfidata da un passato che non passa, da ambiguità travestite da eleganza e da una presunta neutralità che spesso nasconde schieramento. Ogni artista, ogni regista, ogni scrittore che sceglie di partecipare o meno deve considerare le conseguenze etiche delle proprie decisioni.

Il cinema come specchio della società

Ogni film proiettato sulle sale della Mostra non è solo storia raccontata. È storia vissuta, interrogata, posta davanti agli occhi di chi guarda. È specchio. Specchio di valori, contraddizioni, fragilità e coraggio. Il cinema italiano ha sempre avuto questa funzione: raccontare la vita, sfidare il potere, smuovere coscienze. Dalle neorealiste macerie di Rossellini e De Sica, fino ai film contemporanei di denuncia e riflessione, il cinema ha sempre chiesto allo spettatore una scelta: accettare passivamente o interrogarsi, emozionarsi e reagire.

L’Italia e la memoria storica

Non si può parlare di cultura e responsabilità senza parlare della storia italiana, delle cicatrici lasciate dal fascismo, delle lotte di resistenza, delle ambiguità che ancora oggi influenzano la politica e le istituzioni culturali. Ogni parola di Buttafuoco, ogni reazione di Abbate, ogni decisione di Maresco si inserisce in questa trama complessa. Venezia diventa teatro in cui la memoria si scontra con il presente, dove la responsabilità civile e artistica si confronta con il compromesso e la retorica.

L’arte come atto morale

L’arte non è mai neutrale. Ogni gesto, ogni opera, ogni film è scelta morale. Truffaut ci ricorda che ogni inquadratura è scelta morale e politica: ciò vale per il regista, ma vale anche per il critico, per il pubblico, per l’istituzione. La Biennale è il luogo in cui queste scelte diventano visibili, leggibili, valutabili. Il silenzio è complicità. La parola è potere. La decisione di partecipare o ritirarsi è testimonianza di coerenza.

Il ruolo dello spettatore

Lo spettatore non è passivo. Lo spettatore ha responsabilità. Chi guarda diventa testimone, interprete, giudice morale. Non basta emozionarsi: bisogna interrogarsi, capire, ricordare. La Mostra ci chiama, ci sfida a non restare indifferenti. Ogni applauso, ogni fischio, ogni commento diventa gesto morale, parte di un grande discorso civile e artistico.

Memoria, politica e ambiguità

La cultura italiana è intrisa di ambiguità. Il passato, mai davvero sepolto, riaffiora in ogni scelta, in ogni critica, in ogni parola. Venezia diventa così il campo di confronto tra memoria e contemporaneità, responsabilità e compromesso. Gli artisti devono decidere, ogni anno, se farsi complice o custodi della memoria. La storia ci insegna che restare in silenzio significa cedere, piegarsi al potere.

L’arte come ponte tra passato e futuro

Il cinema e la pittura, la letteratura e il teatro, diventano ponti tra passato e futuro. Ogni artista che osa parlare, ogni scrittore che denuncia, ogni regista che sfida, costruisce percorsi di memoria che attraversano generazioni. La Biennale è testimone di queste scelte, teatro e specchio di chi siamo, di chi siamo stati e di chi vogliamo diventare.

Film e artisti recenti

Negli ultimi dieci anni, opere come La Voce di Hind Rajab, che racconta il dolore di Gaza, o documentari che affrontano il tema dei rifugiati e delle guerre dimenticate, hanno trasformato la Biennale in un luogo di riflessione morale. Registi come Gianfranco Rosi hanno dimostrato che il cinema può essere specchio di ingiustizie, memoria viva e denuncia sociale.

Altri registi italiani e internazionali hanno scelto di ritirarsi o di denunciare pubblicamente pressioni politiche: esempi emblematici includono le tensioni attorno ai film di Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci negli anni Settanta, fino alle proteste più recenti di artisti che si sono opposti alla censura o alla mercificazione culturale.

Conclusione poetica e riflessiva

Venezia ci insegna che ogni scelta conta. Che ogni silenzio pesa quanto una parola. Che ogni inquadratura, ogni gesto, ogni film racconta non solo storie, ma valori. La Mostra del Cinema non è un evento superficiale: è atto morale, sfida civile, specchio della nostra coscienza. E come Novelli, Abbate, Truffaut ci ricordano, l’arte non si limita a mostrare, ma obbliga a scegliere, interrogarsi, sentire il peso della storia sulle nostre spalle. Venezia è memoria, responsabilità, coraggio. E chi la attraversa deve camminare con la dignità delle proprie scelte, respirando il tempo, ascoltando il silenzio, sentendo la forza delle parole e delle immagini, fino a comprenderne la gravità e la bellezza insieme.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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