di Giovanni Zambito - Un’occasione speciale per raccontare ai più piccoli - e insieme alle loro famiglie - il senso profondo del Giubileo, attraverso un linguaggio poetico e accessibile, fatto di simboli, storie e valori condivisi. In occasione del Giubileo dei Giovani, sabato 2 e domenica 3 agosto alle 18.00, Rai Yoyo ha presentato in anteprima due episodi di “La Porta Aperta”, il nuovo programma ideato e condotto da Oreste Castagna, volto amato dai bambini, che debutterà ufficialmente da metà settembre su Rai Yoyo e RaiPlay.
“La Porta Aperta” è molto più di un semplice programma per ragazzi: è un percorso narrativo e simbolico pensato per accompagnare bambini e famiglie alla scoperta del significato autentico dell’Anno Santo. Un viaggio carico di speranza, accoglienza e inclusione - i valori chiave del Giubileo - raccontato con delicatezza, immaginazione e grande capacità comunicativa. L'intervista di Fattitaliani a Oreste Castagna.
“La Porta Aperta” è molto più di un semplice programma per bambini. Com’è nata l’idea di questo viaggio tra fiaba e spiritualità, proprio in occasione del Giubileo?
I programmi per i bambini, quelli che vogliono davvero scoprire e esaltare l'infanzia, sono anche per i grandi: è tanto il codice che cambia. È nato da un'idea di Rai Yoyo, che mi ha chiesto un progetto molto rischioso, importante, sul tema del Giubileo. Un progetto comunitario, al di là del discorso cristiano. Abbiamo riunito esperti del settore ed è nata un'idea per tutti: bambini italiani, africani, arabi... Il tema fiabesco è magico. Il programma ruota intorno a un personaggio, il “custode”, e a una bambina che fa da interfaccia con i bambini a casa.
Nel programma interpreti il “custode della Fiamma della Lanterna”. Che cosa rappresenta questa fiamma e perché è così importante trasmetterne il significato ai più piccoli?
La luce è un simbolo presente in tutte le religioni. È una piccola fiamma che non si spegne mai, che nessuno può spegnere. Rappresenta la speranza, la maternità, la paternità, un viaggio. Nel nostro caso è anche luce cristiana, eucaristica. Ma è un messaggio universale, che riguarda tutti.
Chiara è la tua compagna di viaggio. Che ruolo ha nel racconto e cosa rappresenta agli occhi dei bambini?
Chiara - che poi è mia figlia - è un'interfaccia con il bambino a casa. È una bambina vera, non teatrale. Quando si diverte si diverte, quando si annoia si annoia. È spontanea, racconta le emozioni vere. Per i bambini è un punto di vista autentico, credibile. È sempre con me ad accogliere gli ospiti delle fiabe.
In cosa ti ha sorpreso o che cosa ti ha insegnato?
Mi ha insegnato che anche in televisione la spontaneità è determinante. Attraverso la verità delle emozioni, anche quelle negative, si può raccontare davvero. È una bambina magica.
Parlate di perdono, misericordia, accoglienza. Come si fa a rendere questi concetti comprensibili, ma anche emozionanti, per i bambini e le famiglie?
Sono concetti già presenti nelle fiabe. Il perdono e la misericordia sono alla base del “vissero felici e contenti”. I bambini si nutrono di questi valori già in famiglia. Evocarli attraverso la fiaba è semplice, perché sono già dentro quel linguaggio. Il racconto contiene naturalmente concetti spirituali profondi.
Ogni puntata si svolge in una tenda accogliente, con una merenda sempre pronta. Ci racconti il significato simbolico di questo spazio?
La tenda è il luogo dell’attesa e dell’accoglienza. Alla fine della puntata spezzare il pane ha un significato spirituale forte, ma non solo cristiano. È il senso della comunione, del condividere. La tenda rappresenta un luogo bello, in cui ci si sente accolti.
Nel programma compaiono lupi, principesse, streghe… ma con una prospettiva diversa dal solito. Cosa succede quando anche i “cattivi delle fiabe” imparano qualcosa?
È la bellezza del Giubileo: la porta è aperta anche ai “cattivoni”. I personaggi negativi, come il lupo, la strega, sono invitati ad attraversare un cambiamento. Ogni incontro ha un tema del Giubileo: giustizia, accoglienza, conservazione del creato… È un messaggio anche per gli adulti: il giudizio passa attraverso le azioni, non le etichette.
"La Porta Aperta" è pensata per i bambini, ma parla anche agli adulti. Che tipo di messaggio speri possa arrivare ai genitori e ai nonni che guarderanno il programma insieme ai piccoli?
Il programma parla a tutti. È pensato per i bambini, ma i grandi ci leggono altre cose: temi alti, come il senso della giustizia, del libero arbitrio, della scelta. Alla fine guardiamo attraverso un oblò magico cosa fanno i personaggi dopo essere usciti dalla tenda e aver ricevuto il pane. È un messaggio di comunione e condivisione, che riguarda tutte le età.
In un’epoca spesso dominata da contenuti veloci e superficiali, come si può far riscoprire ai più piccoli il valore dell’ascolto, della narrazione lenta, del tempo condiviso?
Il racconto è alla base di ogni comunicazione. Anche le piattaforme di successo oggi funzionano perché raccontano storie. La differenza sta nei contenuti: noi vogliamo raccontare storie importanti, che parlino di ambiente, intercultura, infanzia. Raccontare lentamente, con bellezza, è una sfida — ma è anche una responsabilità, specie per un servizio pubblico.
Il linguaggio delle fiabe si sposa con i valori cristiani. Secondo te, cosa hanno in comune la narrazione fantastica e il messaggio del Vangelo?
Le fiabe contengono valori di giustizia comuni a tutte le religioni. Sfiorano i temi del Vangelo. La differenza è che le fiabe sono più nette: il cattivo viene punito, il buono premiato. Ma nel programma parliamo anche dell’accoglienza del diverso, della trasformazione. La fiaba può diventare un modo per introdurre i valori spirituali del Vangelo.
Come si può parlare di spiritualità ai bambini senza forzarla, ma lasciandola fiorire con delicatezza, attraverso l’immaginazione?
Ci siamo affidati al racconto. Se è ben fatto, il racconto va da sé. Anche un oggetto semplice - una campanella, un corno, un suono - può evocare spiritualità. Parliamo di spiritualità perché è già dentro l'immaginazione. Il piccolo principe, la rosa… sono immagini che tutti riconosciamo, perché parlano al cuore.
Hai curato questo progetto insieme a Silvia Barbieri e Don Andrea Ciucci. Com’è stato lavorare a tre voci, con sensibilità diverse ma unite dallo stesso orizzonte?
Silvia Barbieri è una bravissima autrice, conosce bene l’infanzia. Scrive in modo semplice ma con contenuti forti. Entrambi veniamo dal teatro ragazzi. Don Ciucci porta una visione più istituzionale, ma è pieno di intelligenza. Abbiamo scelto insieme di non radicalizzare il programma in senso solo cristiano. Volevamo un messaggio più ampio, più condivisibile. Con noi anche Mons. Giulio Della Vite, figura di grande cultura. Così è nato un programma semplice ma profondo.
Se dovessi riassumere in poche parole cosa significa davvero “tenere aperta una porta”, oggi, per un bambino… cosa diresti?
Tenere aperta una porta significa accogliere. Non giudicare, ma guardare le azioni dell’altro. Vuol dire offrire un luogo dove si è attesi, accolti, dove si spezza il pane insieme. È la possibilità di cambiamento, di trasformazione. Anche per chi ha sbagliato.
Cosa speri che resti nel cuore di un bambino dopo aver visto “La Porta Aperta”? E cosa vorresti restasse negli adulti?
Vorrei che restasse la sensazione di essere visti, accolti, accompagnati. Nei bambini, la luce. Negli adulti, la consapevolezza che educare è raccontare: lentamente, con cura, con rispetto. È formare al senso della condivisione, della speranza.