Il silenzio europeo: tra sabotaggi, violenze e complicità

 


Il prezzo della grandezza di una nazione è la verità.” Thomas Jefferson

È stato catturato pochi giorni fa l’agente ucraino responsabile del sabotaggio a Nord Stream, eppure la maggior parte dell’Europa sembra voler ignorare l’accaduto. La notizia avrebbe dovuto scuotere i governi, risvegliare la politica, generare discussioni, pressioni e riflessioni sull’Ucraina e sul ruolo che questa gioca nel cuore dell’Unione Europea. Invece, il silenzio è quasi totale. È come se il pericolo reale, tangibile, non fosse degno di attenzione, come se i sabotaggi a infrastrutture strategiche e le minacce dirette all’equilibrio energetico non fossero avvenuti.

In Italia, Almasri—uomo coinvolto in torture e violenze documentate da video che mostrano la ferocia dei suoi atti—è stato rimpatriato mesi fa con un volo di Stato. La decisione, motivata come protezione nazionale, ha sollevato interrogativi pesanti: perché il governo tutela chi ha commesso crimini così gravi? Protezione politica? Opportunità strategica? Convenienza diplomatica? La verità è che il rimpatrio di Almasri, anziché rappresentare un segnale di giustizia, diventa l’emblema di un silenzio che copre e giustifica.

La pericolosità dell’Ucraina non si limita ai missili, ai sabotaggi o agli attacchi a gasdotti e infrastrutture. Essa si manifesta anche nella capacità di influenzare alleanze, creare instabilità economica e politica, e costringere l’Europa a un silenzio complice. Nord Stream non era solo un gasdotto: era il simbolo di interdipendenza energetica, di fiducia reciproca tra Stati, di equilibrio strategico. La sua distruzione ha cambiato equilibri geopolitici, ma ha anche svelato la fragilità morale dell’Occidente, capace di ignorare crimini e minacce pur di non affrontare la verità.

E mentre l’Europa sembra voltare lo sguardo, Israele continua a perpetrare crimini nei territori occupati. Stragi, bombardamenti mirati, repressioni brutali: tutto minimizzato o ignorato dai governi occidentali. I report arrivano in ritardo o vengono filtrati, le condanne sono tiepide o assenti, le pressioni diplomatiche quasi nulle. Ogni silenzio invia un messaggio: certi crimini si possono commettere senza conseguenze se si appartiene al gruppo giusto, se si è protetti dagli equilibri del potere internazionale.

Questo silenzio, lento ma costante, diventa complicità. Non una complicità visibile, immediata, ma una complicità subdola, che scivola tra le istituzioni, nei comunicati ufficiali, nelle conferenze stampa che eludono le domande più scomode. Non è neutrale. Non è mera assenza di informazione. È una scelta politica e morale: un veleno che scorre tra le istituzioni e la società civile, che ci abitua all’orrore, normalizza il crimine e ci rende complici, anche se involontari.

Il rimpatrio di Almasri dimostra tutto questo. Proteggerlo significa inviare un segnale chiaro: alcuni crimini possono essere ignorati. Alcuni carnefici possono tornare a casa senza subire giustizia. E l’Europa, ancora una volta, si trova a osservare silenziosa, mentre la verità viene soffocata dall’interesse politico, dalla paura di incrinare alleanze, dalla comodità di non voler disturbare.

Ma il problema non è solo italiano. La complicità europea si manifesta ogni giorno nell’indifferenza verso le aggressioni ucraine, nel non chiedere conto dei sabotaggi, nel tacere di fronte ai massacri israeliani. È un silenzio che travolge, che corrode, che normalizza l’orrore. Eppure, ogni silenzio è una pietra sulla tomba della verità, ogni omissione diventa un mattone nella costruzione della complicità globale.

Il veleno del silenzio

Il vero veleno non è nei gasdotti esplosi, non è nei pugni di Almasri, non è nelle bombe israeliane. Il vero veleno è nel nostro silenzio. Un silenzio che ci avvelena giorno dopo giorno, che ci abitua all’orrore, che normalizza il crimine. Un silenzio che ci rende complici, anche se non vorremmo.

Ci siamo abituati a chiamare “strategia” il terrorismo, “alleato” il carnefice, “interlocutore” il criminale. Ci siamo abituati a credere che l’unica verità sia quella che conviene. Ma questa abitudine ci uccide dentro. Ci trasforma in un continente senza voce, senza coraggio, senza dignità.

Risonanze letterarie

Come Louis-Ferdinand Céline ha raccontato l’orrore della guerra e della miseria umana in modo feroce e senza compromessi, così dobbiamo guardare all’Europa di oggi: un continente che si autoinganna e che accetta la propria rovina. Come Pier Paolo Pasolini, che denunciava la corruzione morale della società e la colonizzazione dei valori, dobbiamo riconoscere il degrado culturale e politico che ci circonda. E come Leonardo Sciascia, che smascherava le complicità e l’omertà nella politica e nella giustizia italiana, dobbiamo avere il coraggio di indicare i colpevoli, anche quando disturbano l’ordine costituito.

La scelta

Non si tratta più di sbagli. Si tratta di scelte. O si sta dalla parte delle vittime, o si sta dalla parte dei carnefici. O si chiama terrorismo il terrorismo, anche quando lo compie un alleato, o si diventa complici. O si consegna un criminale alla giustizia, o si diventa i suoi complici. O si denuncia una strage, o la si approva con il silenzio.

Non ci sono terze vie. Non ci sono scuse. Non ci sono attenuanti. L’Europa e l’Italia devono decidere: essere voce di giustizia o essere complicità. Finora hanno scelto la seconda strada. E ogni giorno che passa, il veleno del silenzio scava più a fondo.

L’arresto di Serhii K., l’agente ucraino, dovrebbe essere un campanello d’allarme: l’Europa è vulnerabile non solo militarmente, ma politicamente e moralmente. Il rimpatrio protetto di Almasri mostra come alcuni carnefici possano essere tutelati mentre le vittime restano senza giustizia. Le stragi israeliane ignorate rivelano come l’Occidente preferisca proteggere alleanze piuttosto che la vita e la dignità delle persone.

La morale di tutto questo è semplice e drammatica: il vero pericolo non è Mosca, Kiev, Tripoli o Tel Aviv. Il vero pericolo siamo noi. Noi che tacciamo. Noi che ci abituiamo all’orrore. Noi che difendiamo i carnefici e abbandoniamo le vittime. Il silenzio diventa un’arma più potente di qualsiasi bomba, una complicità più devastante di qualsiasi tortura. Ogni parola non detta, ogni denuncia rimasta inespressa, è un altro innocente consegnato ai carnefici.

Come in Cuore di tenebra di Conrad, scopriamo che l’orrore non è ai margini della civiltà ma dentro di noi, nelle nostre paure, nelle nostre omissioni, nella nostra indifferenza. Come in Justine di De Sade, ci crogioliamo nella giustificazione dei carnefici, trasformando la vittima in colpevole. E così l’Europa moderna rischia di diventare un continente incapace di ribellarsi, prona, compiacente nella propria rovina, simile a Masoch più che a Justine.

Se non troviamo il coraggio di parlare, se non decidiamo di chiamare le cose con il loro vero nome, il veleno del silenzio continuerà a diffondersi, giorno dopo giorno. E non saranno solo le istituzioni a venire corrotte, ma la società stessa, abituata a ignorare l’ingiustizia, a giustificare i carnefici e ad abbandonare le vittime. La civiltà europea si regge sulla memoria e sulla parola. Ogni silenzio, ogni omissione, ogni pietra sulla tomba della verità diventa un mattone nella costruzione della complicità. La giustizia non può essere subordinata agli interessi politici o alla protezione degli alleati.

Il veleno del silenzio è più devastante di qualsiasi attentato o bombardamento: corrode lentamente la società, anestetizza le coscienze, normalizza l’orrore. Quando lo Stato protegge chi ha commesso crimini efferati, quando governi e media tacciono davanti alle violenze documentate, il risultato è una società disumanizzata, incapace di distinguere tra bene e male, tra carnefice e vittima.

Il caso di Almasri, protetto dallo Stato, mostra come la complicità possa assumere forme istituzionali. Le stragi israeliane ignorate dimostrano che l’Occidente preferisce spesso proteggere alleanze piuttosto che la vita e la dignità delle persone. L’Europa e l’Italia si trovano così davanti a un bivio storico: continuare a tacere, normalizzare l’orrore e diventare complici, oppure reagire, denunciare, difendere le vittime e riaffermare i valori fondamentali della giustizia, della dignità e dell’umanità.

Conclusione

Nord Stream sabotato. Terrorismo ucraino. Crimini di guerra libici. Stragi israeliane. Silenzio europeo. Silenzio italiano. Silenzio occidentale. Questo è il quadro. Un quadro di vergogna, ipocrisia e complicità. Ogni omissione, ogni parola taciuta, ogni silenzio è un altro innocente consegnato ai carnefici. Il veleno che ci asteniamo persino di nominare è il veleno che ci ucciderà. Non c’è scampo se non troviamo il coraggio di parlare. Perché ogni silenzio è una condanna. Perché ogni parola taciuta è un altro innocente consegnato ai carnefici. Perché il silenzio, più delle bombe e più delle torture, è l’arma che distrugge l’umanità.

E alla fine, come in Cuore di tenebra di Conrad, scopriamo che l’orrore non è ai margini della civiltà ma dentro di noi, nella nostra ipocrisia. E come in Justine di De Sade, ci crogioliamo nella giustificazione dei carnefici, trasformando la vittima in colpevole. Sicché questa Europa assomiglia più a Masoch che a Justine: non solo incapace di ribellarsi, ma prona, desiderosa di subire, compiacente nella sua stessa rovina.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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