Il grido di Martina Oppelli: suicidio assistito, diritto negato, l'urgenza di una legge per la dignità del fine vita"

 

Foto Wikipedia

"La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri." Voltaire

Introduzione

Il recente caso di Martina Oppelli, una donna triestina affetta da sclerosi multipla in stadio avanzato, morta il 1º agosto 2025 in Svizzera, ha riaperto un dibattito necessario e urgente: quello sulla legalizzazione del suicidio assistito in Italia.

Martina non è solo una vittima del dolore fisico, ma anche dell’inerzia politica e delle ambiguità normative del nostro Paese. La sua vicenda tocca un nervo scoperto della società: il diritto di scegliere una morte dignitosa quando la vita non è più tale.

Suicidio assistito ed eutanasia: differenze fondamentali

Il suicidio medicalmente assistito consiste nel fornire, sotto controllo medico, i mezzi affinché il paziente stesso possa porre fine alla propria vita, in modo volontario, autonomo e consapevole. Il medico accompagna il paziente nel percorso, ma non esegue l’atto.

Diversamente, l’eutanasia attiva prevede che sia il medico stesso a somministrare il farmaco letale, su richiesta del paziente, che in quel momento può non avere più la forza fisica per farlo da sé. Entrambi i percorsi si pongono l’obiettivo di evitare sofferenze inutili, ma pongono differenti problemi etici e giuridici.
In alcuni Paesi, uno è legale, l’altro no. In altri, sono permessi entrambi, con garanzie e limiti precisi.

Il vuoto normativo italiano

In Italia, dopo la storica sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, il suicidio assistito è ritenuto non punibile in casi specifici, ma non è regolamentato da una legge organica. È quindi soggetto a interpretazioni locali da parte delle ASL e delle autorità sanitarie.

Questo porta a gravi disparità territoriali, ritardi, dinieghi, e spesso alla necessità di rivolgersi all’estero, come ha fatto Martina.
Il suo caso è emblematico: affetta da una patologia degenerativa irreversibile, ha chiesto l’accesso al suicidio assistito, ma per tre volte la sua ASL ha negato l’autorizzazione, giudicando che non fosse “tenuta in vita da trattamenti”.
Alla fine, è dovuta andare in Svizzera, dove ha potuto esercitare un diritto che il suo Paese le ha negato.

Il film dimenticato che parla al cuore: Miele

Nel film Miele (2013) di Valeria Golino, la protagonista (interpretata da Jasmine Trinca) aiuta persone gravemente malate a morire dignitosamente.
Lo fa nell’ombra, fuori dalla legalità, perché la legge tace. È una storia intima, dolorosa, fatta di silenzi, coscienza e limiti umani.
Miele racconta la fragilità di chi sceglie e di chi accompagna, e l’assurdità di vivere tra compassione e paura della legge. È un film che va riscoperto oggi, perché mette in scena esattamente ciò che l’Italia continua a non voler affrontare.

Le posizioni dei principali Paesi europei e occidentali

Svizzera
La Svizzera è uno dei pochi Paesi in cui il suicidio assistito è legale dal 1942, purché non vi sia un interesse personale da parte di chi aiuta il paziente. Non è necessaria la cittadinanza svizzera, motivo per cui molte persone da altri Stati (inclusi italiani) si recano qui.
Le cliniche private, come Dignitas o Lifecircle, seguono protocolli rigidi e tutelano il paziente sul piano giuridico e psicologico. L’eutanasia attiva invece non è consentita.

Belgio
Il Belgio è stato il secondo Paese al mondo, dopo l’Olanda, a legalizzare l’eutanasia attiva, nel 2002. La legge si applica ai pazienti maggiorenni e minorenni (con limiti), capaci di intendere e con sofferenze fisiche o psichiche insopportabili e senza prospettive di miglioramento.
Il suicidio assistito è anch’esso legale, e i medici possono scegliere se partecipare.

Olanda
L’Olanda è il Paese pioniere dell’eutanasia legale, approvata nel 2001. L’eutanasia e il suicidio assistito sono ammessi anche nei casi di malattie psichiatriche o sindrome da stanchezza della vita negli anziani, se documentate e validate da più medici.
È uno dei sistemi più trasparenti e rigorosi, con comitati di controllo post mortem e ampi margini per il consenso informato.

Spagna
La Spagna ha legalizzato l’eutanasia nel 2021 con una delle leggi più avanzate d’Europa. È prevista sia l’eutanasia attiva sia il suicidio assistito, per pazienti affetti da malattie gravi, incurabili o invalidanti, con sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili.
La richiesta deve essere confermata più volte e autorizzata da una commissione indipendente.

Portogallo
Dopo un iter tormentato e diversi stop della Corte costituzionale, anche il Portogallo ha approvato nel 2023 una legge che consente il suicidio assistito e, in alcuni casi, l’eutanasia.
È prevista una valutazione medica plurima, il consenso informato e l’assenza di alternative terapeutiche efficaci.

Germania
La Germania ha abolito il divieto di suicidio assistito nel 2020, dopo una sentenza della Corte costituzionale che ha sancito il diritto all’autodeterminazione anche nel morire.
Tuttavia, manca ancora una legge organica che regoli il procedimento, e il dibattito è tuttora acceso. I tentativi di legiferare sono stati respinti dal Bundestag nel 2023. L’eutanasia attiva resta vietata.

Lussemburgo
Nel piccolo Lussemburgo, l’eutanasia e il suicidio assistito sono legali dal 2009, con modalità simili a quelle del Belgio. Il Paese si distingue per la sobrietà del dibattito e l’efficienza del sistema applicativo.

Europa dell’Est
Nei Paesi dell’Europa orientale — come Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia — il tema è ancora fortemente tabù per ragioni religiose, culturali e storiche.
In molti casi, sia il suicidio assistito che l’eutanasia sono considerati reati gravi. Le cure palliative sono in espansione, ma resta forte la resistenza anche solo ad aprire un dibattito pubblico.

Perché serve una legge italiana

L’Italia non può continuare a delegare al silenzio, o a lasciare che siano i singoli giudici o medici a decidere su questioni che toccano la vita e la morte. Serve una legge chiara, nazionale, rispettosa della Costituzione, che tenga insieme:

  • La libertà individuale
  • La tutela delle persone fragili
  • La coscienza del medico
  • La dignità della persona

Una buona legge non promuove la morte, ma difende il diritto a non soffrire inutilmente. Come in altri Paesi civili e democratici.

Il mio giudizio

Credo che riconoscere il suicidio assistito non significhi abbandonare i deboli, ma rispettarli nella loro piena umanità. Significa guardare la sofferenza negli occhi, senza ideologie o moralismi, ma con la forza della compassione vera.

Martina Oppelli ha dovuto varcare un confine geografico per ritrovare la libertà, dopo che le era stata tolta quella fisica. È inaccettabile che in uno Stato di diritto una cittadina debba denunciare per tortura la propria sanità pubblica per aver negato un diritto che le spettava.

Dobbiamo ascoltare chi soffre, non solo con parole, ma con leggi. Abbiamo gli strumenti culturali, scientifici e giuridici per farlo. Quello che manca è la volontà politica. Ma il tempo è finito.

Conclusione

Il suicidio assistito non è una scorciatoia, né una minaccia sociale. È una scelta estrema, consapevole, sofferta. Merita rispetto, ascolto e tutela.
Come ci insegnano la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, il Canada, e tanti altri paesi, si può morire senza disperazione, senza clandestinità, senza dolore inutile.

È tempo che anche l’Italia diventi un Paese dove la libertà di morire con dignità sia parte della libertà di vivere con dignità. 

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top