Gianni Berengo Gardin: il custode gentile della nostra memoria

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“Quando, in futuro, si vorrà capire com’era l’Italia degli ultimi settant'anni, non si potrà prescindere dalle fotografie di GBG.” Ferdinando Scianna

Si è spento nella calma della sua Genova, all’età di 94 anni, uno dei più grandi maestri della fotografia italiana contemporanea: Gianni Berengo Gardin. Con la sua scomparsa, perdiamo non solo un artista eccezionale, ma una voce autentica e insostituibile che ha raccontato l’Italia con rispetto, profondità e immensa umanità.

Berengo Gardin è stato molto più di un fotografo: è stato un testimone della storia, un narratore che con la sua macchina fotografica ha saputo fermare il tempo, raccontando senza filtri e con la delicatezza di uno sguardo attento e partecipe la vita delle persone comuni, le trasformazioni sociali, i drammi e le speranze di un Paese in continua evoluzione.

Un uomo e una macchina fotografica al servizio della verità

Nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure, Berengo Gardin ha attraversato il Novecento con la passione e la dedizione di chi ha scelto di usare la fotografia non come mera rappresentazione estetica, ma come strumento di conoscenza e di denuncia.

La sua carriera, durata oltre sette decenni, ha prodotto più di 260 libri e centinaia di mostre in tutto il mondo. Dietro a ogni immagine, c’è il rispetto per la persona ritratta, la capacità di raccontare senza spettacolarizzare, di cogliere la poesia del quotidiano con sobrietà e verità.

L’impegno civile ha rappresentato una cifra essenziale della sua opera. Nel 1969, con Morire di classe, insieme a Carla Cerati, ha svelato al mondo la realtà dolorosa degli ospedali psichiatrici italiani, contribuendo in modo determinante alla riforma della legge Basaglia e a un cambio di paradigma nella società e nella cultura del nostro paese.

La poesia del quotidiano, la dignità della vita

Berengo Gardin ha trovato la bellezza negli angoli più nascosti e umili della vita. I suoi scatti parlano di mani che si intrecciano, di sguardi bassi, di strade silenziose, di esistenze semplici ma cariche di significato. Ogni immagine è un piccolo capolavoro di empatia e intimità, un invito a guardare il mondo con occhi più umani e attenti.

Il suo bianco e nero, mai banale o scontato, è diventato simbolo di una fotografia che non cerca l’effetto ma la sostanza, la realtà vera e cruda, ma sempre rispettosa e piena di pietà.

L’Aquila: una città amata e custodita nel cuore

Tra tutte le sue molteplici opere, spicca il legame profondo e struggente con L’Aquila, una città che Berengo Gardin ha visitato e amato con il cuore prima e dopo la tragedia del terremoto del 2009.

Nel 1995, la sua macchina fotografica aveva già raccontato la città, con i suoi vicoli, le sue pietre, la sua gente. Quando la terra tremò e distrusse gran parte di quella bellezza, lui tornò, deciso a non lasciare sola L’Aquila, a testimoniare quella ferita senza indulgere nel dolore fine a se stesso.

Le sue fotografie di quel periodo sono raccolte nel volume L’Aquila prima e dopo (2012), che mette a confronto con delicatezza la città di ieri e quella di oggi, segnando un percorso di memoria e rinascita.

Come lui stesso disse:

«Le strade deserte, le impalcature che tremano al vento come fantasmi, quel silenzio così pesante, che parla di perdita ma anche di speranza. Ho sentito un legame profondo con L’Aquila, un invito a non dimenticare, a custodire quella memoria.»

Un’eredità senza tempo

La morte di Gianni Berengo Gardin rappresenta una perdita immensa per la cultura italiana e mondiale. Ma il suo lascito è eterno, impresso nelle sue fotografie, che sono finestre sul passato, sul presente e su ciò che possiamo diventare.

In un’epoca in cui l’immagine corre veloce, spesso superficiale e manipolata, il suo lavoro ci ricorda l’importanza di fermarsi, guardare davvero, capire con profondità e rispetto. La fotografia, per lui, è sempre stata un atto di amore, di giustizia e di memoria.

Grazie, Maestro, per averci insegnato che ogni volto, ogni storia, ogni luogo ha un valore immenso e va raccontato con dignità.

Un dialogo immaginario in cielo: Berengo Gardin e Cartier-Bresson

Nel silenzio infinito del cielo, due grandi maestri della fotografia si incontrano, uniti da un rispetto profondo e da un amore condiviso per la verità e la bellezza nascosta nel mondo.

Henri Cartier-Bresson, il leggendario inventore dell’“istante decisivo”, accoglie con un sorriso sereno il nuovo arrivato. Gianni Berengo Gardin risponde con un cenno gentile, consapevole dell’onore di condividere questo spazio eterno con un gigante come lui.

«Benvenuto, Gianni», dice Henri con voce calda, «sono stato sempre ammirato dal tuo modo di raccontare l’Italia, dalla tua capacità di cogliere l’anima delle persone con una delicatezza rara.»

Berengo Gardin sorride, quasi timidamente, «Henri, è un privilegio poter parlare con te. Ho sempre cercato, come te, di catturare non solo l’immagine, ma il significato più profondo dietro ogni scatto.»

Henri lo guarda con affetto, «Ho saputo del tuo amore per L’Aquila. Anche io l’ho fotografata in un momento cruciale, cercando di afferrare quel senso di fragile eternità che solo certi luoghi hanno. Cosa ti ha insegnato la città?»

Gianni riflette un attimo, poi risponde con voce pacata: «L’Aquila mi ha insegnato la forza della memoria e la dignità della rinascita. Ho visto una città ferita ma capace di resistere, un silenzio che parla più di mille parole. Quel luogo mi ha mostrato quanto la fotografia possa essere un atto di amore e testimonianza, un impegno verso chi resta e ricostruisce.»

Henri annuisce profondamente, «È questo il potere della nostra arte: fermare un attimo, sì, ma per raccontare un intero universo di emozioni, di storie, di vite. Sono felice che siamo qui, insieme, a custodire queste verità senza tempo.»

I due si incamminano lentamente, come due viaggiatori stanchi ma soddisfatti, sotto un cielo infinito e luminoso, custodi eterni della memoria, della bellezza e della dignità umana.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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