L’Europa è oggi a un bivio. Sul palco del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, Mario Draghi ha pronunciato un discorso che è molto più di un intervento politico: è un vero e proprio campanello d’allarme. Non parla di crisi economiche isolate o di problemi interni ai singoli Stati, ma della condizione globale del continente. Un continente che un tempo era gigante economico, faro culturale e guida morale, e che oggi appare un nano in tutto: politico, economico, culturale e persino strategico.
L’incipit del suo discorso non lascia spazio a fraintendimenti. L’Europa osserva da spettatrice le crisi più drammatiche del mondo, mentre altri attori globali dettano regole e plasmando il futuro. La guerra in Ucraina, i conflitti in Medio Oriente, la competizione tecnologica e industriale con Stati Uniti e Cina sono tutti esempi di come Bruxelles abbia perso centralità. Draghi non si limita a descrivere la situazione: mette in guardia su ciò che rischiamo se non ci si muove con decisione e visione.
Europa assente sui grandi scenari internazionali
Nel suo intervento, Draghi sottolinea l’inerzia dell’Europa di fronte a conflitti cruciali. L’Unione ha fornito supporto economico e logistico all’Ucraina, ma non ha mai saputo posizionarsi come mediatrice credibile. I negoziati per la pace sono guidati da Stati Uniti, Russia e altre potenze, mentre Bruxelles resta ai margini. La lentezza decisionale e la frammentazione interna indeboliscono l’efficacia dell’azione europea.
La situazione mediorientale è un altro esempio lampante. Di fronte a conflitti come quelli a Gaza e alle tensioni con l’Iran, l’Europa ha reagito con comunicati tiepidi e misure simboliche, senza esercitare un ruolo concreto. I valori proclamati - pace, diritti, democrazia - non si sono tradotti in strumenti di azione reale. La percezione globale è chiara: l’Europa ha perso la sua capacità di leadership morale e politica.
Dalla forza economica alla marginalità globale
Per decenni si è pensato che la forza economica potesse sostituire la potenza politica. Draghi evidenzia come questa illusione sia ormai superata. In un mondo guidato da potere militare, innovazione tecnologica e accesso alle risorse strategiche, l’Europa appare lenta, frammentata e spesso incapace di agire con rapidità e coerenza.
Le divergenze interne tra Stati membri e l’assenza di una visione comune paralizzano decisioni strategiche. Gli interessi nazionali prevalgono sulla strategia europea, rendendo l’UE un attore debole, incapace di influenzare eventi decisivi. In pratica, l’Europa è prigioniera della propria complessità, incapace di mobilitare appieno strumenti economici, politici e diplomatici.
La decadenza culturale europea
Uno degli aspetti più sottovalutati, ma centrale nella diagnosi di Draghi, è la decadenza culturale europea. Per secoli, il continente è stato il cuore pulsante di pensiero, filosofia, arte e letteratura. Da Platone a Dante, da Shakespeare a Goethe, da Beethoven a Picasso, l’Europa ha plasmato la cultura e l’immaginario globale.
Oggi, però, la situazione è diversa. Nel cinema, Hollywood domina a livello internazionale, mentre Corea del Sud, India e altri paesi emergenti conquistano pubblico e prestigio. I festival europei, pur importanti come Cannes o Venezia, non dettano più innovazione, ma rimangono vetrine di celebrazione storica.
La letteratura europea perde terreno. Mentre in passato autori europei stabilivano canoni globali, oggi il mercato internazionale è dominato da opere americane, sudamericane o asiatiche. La narrativa europea appare spesso ripiegata su sé stessa, incapace di influenzare l’immaginario dei giovani nel mondo.
La musica segue lo stesso percorso. Dal classicismo all’opera, dal rock britannico alla chanson francese, l’Europa ha sempre definito gusti e stili. Oggi le classifiche globali sono dominate da artisti americani, coreani e latinoamericani. L’industria musicale europea fatica a innovare, limitandosi spesso a imitare modelli esterni.
Anche il sistema educativo soffre. Le università europee, pur prestigiose come Cambridge, Oxford, Sorbona e Heidelberg, perdono posizioni nei ranking mondiali. Molti dei migliori cervelli europei emigrano verso Stati Uniti o Asia, attratti da migliori opportunità, finanziamenti e infrastrutture di ricerca. Il fenomeno del brain drain indebolisce ulteriormente la capacità del continente di produrre innovazione.
Nel digitale e nella tecnologia, la situazione è altrettanto critica. Google, Apple, Meta, TikTok e Huawei controllano piattaforme, dati e contenuti globali. L’Europa non ha ancora creato un colosso tecnologico in grado di competere, limitando la propria capacità di esercitare soft power digitale.
La cultura non è solo estetica o intrattenimento: è politica. È capacità di modellare sogni, valori e modelli di comportamento. Quando il mondo guardava a Parigi, Roma o Berlino, l’Europa contava. Oggi, con l’immaginario globale che si forma su piattaforme americane o asiatiche, l’Europa non guida più la costruzione dei valori condivisi.
Politica e cultura: due facce della stessa medaglia
Draghi mette in evidenza un concetto fondamentale: senza cultura non c’è potere. Gli Stati Uniti combinano forza militare e soft power: Hollywood, università, tecnologia. La Cina esporta non solo merci, ma anche cinema, piattaforme digitali e influenza culturale. L’Europa possiede un patrimonio straordinario, ma lo mantiene statico, incapace di trasformarlo in leva di influenza.
Musei pieni, università vuote, festival celebrati senza innovazione. Il continente rischia di perdere persino la capacità di formare le generazioni future, relegando il proprio ruolo a spettatore, incapace di guidare.
Economia e demografia: fragilità interne
Oltre alla cultura, Draghi sottolinea fragilità economiche e demografiche. La crescita europea è lenta e la produttività inferiore a quella di Stati Uniti e Asia. La burocrazia e le barriere interne al mercato unico frenano innovazione e competitività. Alcuni Paesi membri hanno debiti pubblici elevati, limitando la possibilità di investimenti strategici.
Sul piano demografico, l’Europa invecchia rapidamente. La diminuzione delle nascite e l’aumento della popolazione anziana mettono sotto pressione i sistemi di welfare, riducendo la capacità di rispondere a crisi interne ed esterne. Il divario demografico con altre regioni del mondo minaccia il peso politico ed economico dell’UE nei prossimi decenni.
Le disuguaglianze tra Nord e Sud Europa e tra Stati più sviluppati e periferici aumentano il rischio di fratture politiche interne, rallentando ulteriormente l’azione collettiva dell’Unione. La somma di debolezza economica, rallentamento demografico e divisioni politiche genera un contesto in cui l’Europa rischia di diventare sempre più marginale.
Geopolitica globale e ruolo marginale
A livello internazionale, gli altri attori globali non aspettano. Stati Uniti, Cina, Russia e Paesi emergenti consolidano la propria influenza. La NATO, pur essendo un pilastro difensivo, non sostituisce la mancanza di autonomia strategica europea. L’UE non possiede eserciti comuni, infrastrutture militari integrate o capacità di deterrenza autonoma.
In economia, Stati Uniti e Cina investono massicciamente in tecnologie critiche, energie rinnovabili, intelligenza artificiale e semiconduttori. L’Europa rimane spesso in ritardo tecnologico, delegando gran parte della leadership industriale e digitale a potenze esterne. Questa condizione riduce ulteriormente la capacità di condizionare l’agenda globale.
Un nuovo Rinascimento europeo
La storia europea insegna che il continente sa rinascere. Dal Rinascimento all’Illuminismo, dalla ricostruzione post-bellica all’Unione Europea, l’Europa ha sempre saputo reinventarsi nei momenti più difficili. Draghi lascia intendere che oggi siamo di nuovo a un bivio: senza una nuova capacità di creare visioni culturali, politiche ed economiche, l’Europa resterà marginale.
Investire in ricerca, sostenere giovani artisti e studiosi, costruire piattaforme digitali autonome, promuovere lingue e pluralità culturale non sono opzionali: sono atti di sopravvivenza politica e culturale.
Conclusione: la sfida di Draghi
Il discorso di Draghi a Rimini non è un lamento: è un appello alla responsabilità. Churchill ricordava che se l’Europa fallisse, la colpa sarebbe nostra. Oggi Draghi ripete lo stesso monito: o torniamo a essere protagonisti di politica, economia e cultura, o resteremo nani, irrilevanti sulla scena mondiale.
Il tempo delle illusioni è finito. L’Europa deve ritrovare voce, visione e azione, riappropriarsi della propria storia, del proprio patrimonio culturale e della capacità di influenzare il mondo. Solo così potrà aspirare a un futuro da protagonista, anziché da spettatore impotente.
Carlo Di Stanislao