Edoardo De Angelis: “Vi racconto le storie che le statue mi hanno confidato”. L'intervista di Fattitaliani

 


di Giovanni Zambito - Il libro Anche le statue parlano, edito da Readaction Editrice, è il frutto di un progetto culturale che fonde archeologia, teatro e narrazione per dare nuova voce alle opere custodite nei musei italiani. L’idea nasce dall’esperienza delle visite teatralizzate: un modo originale e coinvolgente di vivere il patrimonio museale, in cui ogni statua, ogni reperto, diventa protagonista di una storia, anzi, della nostra storia. Il progetto è stato ideato e scritto da Edoardo De Angelis, uno dei più importanti nomi della canzone d’autore italiana, con la partecipazione degli attori Caterina Bernardi e Alessandro Maione. L’intervista di Fattitaliani approfondisce genesi, ispirazioni, obiettivi e sviluppi futuri di un’iniziativa che unisce passato e presente, voce e memoria, arte e vita.


Come nasce il progetto Anche le statue parlano? C’è stato un momento preciso in cui ha capito che il patrimonio archeologico poteva diventare anche “voce narrante”?

E’ il giugno del 2019, sono al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia per un concerto nei giardini della struttura. Vengo accolto dalla dottoressa Marta Novello, direttrice del Museo, la quale con gentilezza mi invita a una visita di cortesia. Il MAN di Aquileia è un meraviglioso luogo della Memoria, talmente pieno di suggestioni da fermare il fiato, e il tempo. La visita si rivela una vera e propria esperienza mistica, tanto da procurarmi un malessere psicofisico che rischia di compromettere il buon esito del concerto serale. Cammino tra le tante opere apparentemente silenziose, scambio sguardi e pensieri con Augusto “velato”, Diomede, Boreas “faccia di bronzo”, la mitica collega, la mima Bassilla, ma soprattutto rimango a lungo incantato davanti al busto di Antinoo, il giovinetto amato dall’imperatore Adriano. Mentre me ne sto là impalato, chino sui particolari del marmo scolpito, la dottoressa Roswitha Del Fabbro, che mi accompagna, pensa bene di scattare una foto di quel quadretto, e di inviarmela come ricordo della giornata, con l’aggiunta di un fumetto disegnato davanti alla mia bocca, come se stessi dialogando con Antinoo. Sul momento questo “gioco” si fissa nella memoria come uno scherzo grazioso, per sorriderne insieme. Ben presto, però, si trasforma in un’idea originale: ascoltare quello che le statue hanno da confidarci, dopo secoli di silenzio ...

Lei viene dal mondo della canzone d’autore: in che modo la sua esperienza musicale ha influenzato il linguaggio con cui ha scelto di far parlare le statue?

Il mio linguaggio professionale in effetti mi è stato assai utile per trovare una cifra espressiva tra prosa e poesia, ogni volta adattata al personaggio parlante, e al luogo in cui si trova. Poi le parole, le frasi, i testi hanno trovato vita nelle interpretazioni delle azioni sceniche, la regia delle quali è affidata a due straordinari attori, Caterina Bernardi e Alessandro Maione, che sono anche intervenuti nella intelaiatura del libro con un loro prezioso contributo di prefazione.

Il progetto è nato “quasi per caso”, si legge nella presentazione. Ma ora è diventato un format di successo. Cosa crede abbia colpito tanto il pubblico?

Credo che Anche le statue parlano si sia mostrato un evento di grande impatto emotivo e di grande presa sul pubblico sin dall’inizio per una coesistenza di buoni motivi: originalità dell’idea, lavoro di ricerca sulla personalità di ogni “soggetto” rapportata ai tempi odierni, forse anche la mia scrittura, ma soprattutto il talento dei due attori e la loro capacità di coinvolgere i presenti. In parte forse anche le tre canzoni che interpreto in ogni singola visita teatralizzata per dare respiro a Caterina e Alessandro e permettere loro di organizzare la scena successiva, soprattutto quando i Musei (come ad esempio il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma) richiedono spostamenti molto lunghi.


Nel libro si parla di visite teatralizzate: cosa significa, concretamente, portare il teatro dentro un museo?

Alessandro Maione spiega molto bene la tecnica sviluppata attraverso le duecento repliche fin qui sostenute, nella sua corposa prefazione. Nella realtà si tratta effettivamente di attività teatrali. C’è una scrittura dei testi, una regia, una interpretazione attoriale, e se vogliamo anche musicale; c’è sempre un pubblico numeroso (per quanto consentito di volta in volta dagli spazi), ci sono applausi, ci sono repliche … e poi commenti, recensioni, apprezzamenti …

Che tipo di lavoro c’è dietro la scrittura dei testi destinati a essere interpretati da attori? Come si bilanciano l’accuratezza storica e la libertà poetica?

Accuratezza e libertà espressiva si intrecciano perfettamente. Si inizia studiando la parte storica e artistica di ogni “statua”, poi si cerca di dare a questa un carattere opportuno, riscontrabile nell’attualità. Poi il pensiero, l’ispirazione e un po’ di mestiere vanno a configurare un testo, ormai pensato per stile e voce di chi lo dovrà interpretare. Un equilibrio da controllare sempre con cura, ma parecchio funzionale.

Come si costruisce il rapporto tra autore, interprete e “personaggio storico”?

Proprio attraverso l’esperienza della collaborazione. Oggi io so perfettamente con quale precisione ed effetto Caterina sa interpretare Afrodite, o Giunone, o Medusa o le Amazzoni, donne combattenti. So che se le affido una parte drammatica sa far leva sulle sue doti interpretative per prendere il pubblico fino alla commozione. Così come so perfettamente che se voglio da Alessandro un Caligola che faccia sorridere, o un Icaro morente che faccia piangere … non avrò ugualmente problemi nell’ottenere un ottimo risultato.

Nel libro scrive che ogni oggetto in un museo ha una storia da raccontare. Come possiamo educare il pubblico – soprattutto quello più giovane – ad “ascoltare” i musei, non solo a visitarli?

Questo è lo scopo, la finalità della nostra iniziativa: una sfida di inclusione per attirare in museo i più giovani, particolarmente i bambini, sempre straordinariamente attenti e partecipi, e altre categorie, come certamente non vedenti e ipovedenti. Per questo motivo siamo chiamati a tornare, più e più volte, in alcuni musei, per le richieste che riceviamo dai rispettivi responsabili di direzione.

Secondo lei, i musei italiani stanno diventando più accessibili, più “vivi”? Cosa manca ancora per una piena valorizzazione del patrimonio attraverso forme creative?

Difficile comporre un discorso generale. Tra tutti quelli visitati con il nostro lavoro, ci sono musei piccoli, come l’Antiquarium di Lucrezia nel Parco Archeologico dell’Appia Antica, a Roma e il gigantesco Museo Egizio di Torino. Ogni museo ha una sua comunicazione, proporzionata alla misura, e un suo sistema. Un esempio assai virtuoso è dato dal MAN di Aquileia, dove siamo appena tornati per la presentazione del libro. Abbiamo trovato una nuova sala conferenze e siamo rimasti affascinati dai nuovi spazi, gallerie visitabili di “Depositi”, nelle quali sono state disposte con ottimo ordine e perfetta visibilità centinaia di opere minori che non trovavano posto nelle sale principali. Un lavoro veramente apprezzabile.

Il libro si muove tra divinità, miti, sovrani, ma anche figure comuni. Qual è il personaggio o l’oggetto che l’ha colpita di più, a livello emotivo?

Ce ne sono davvero molti, in ogni museo … ad Aquileia Antinoo e Bassilla … a Villa Giulia, a Roma, il Sarcofago degli sposi … al Winckelmann di Trieste il rilievo delle Amazzoni … a Casa Cavazzini, a Udine, Icaro Morente … ma non voglio fare torto a tutti gli altri nomi che non posso far entrare in queste righe … vi invito a leggere il libro!


C’è un museo che le è rimasto particolarmente nel cuore?

Credo che ogni struttura abbia il volto di chi la dirige. Mi sono sentito “a casa”, grazie all’accoglienza ricevuta, quasi in tutte le strutture visitate, fuorché in una in particolare, che non menzionerò, ovviamente, per corretta riservatezza. Ma anche in quel caso la responsabilità del “malessere” non è attribuibile al Museo, davvero straordinario, né al direttore, ma alla difficoltà di un interfaccia equilibrato con la persona alla quale sono stato affidato. Per il resto, penso alle molte direttrici incontrate… come alle perle di una bellissima collana!

Nel progetto si intrecciano passato e presente, bellezza e fragilità. Pensa che dare voce alle statue possa aiutarci anche a comprendere meglio noi stessi oggi?

Certamente sì! Come dicevo, cerco sempre di riferire storie e pensieri dei miei personaggi storici ai fermenti culturali e sociali di oggi: non tralascio occasioni per parlare in difesa dell’universo femminile, contro la violenza, contro le guerre, contro la mala politica, i disagi sociali … e via discorrendo ...

Il libro è anche un appello alla tutela del patrimonio culturale. Come possiamo, secondo lei, trasmettere il senso di responsabilità verso la nostra storia collettiva?

Con l’educazione! Come sempre e come per ogni cosa. Educazione al rispetto, allo studio, alla Cultura, all’Arte, alla considerazione degli altri, al ben fare, al ben pensare, alla presa di consapevolezza di noi stessi e della nostra posizione nel mondo, in rapporto a tutti gli altri … “A ciascuno il suo”, come diceva Sciascia … e nel modo più corretto possibile. Un impegno quotidiano … come la medicina di una terapia necessaria alla sopravvivenza.


Se dovesse riassumere in una frase l’invito centrale del suo libro, quale sarebbe?

Rubo, dichiarando il furto, una frase alla dottoressa Roswitha Del Fabbro, presidente della Associazione Culturale CulturArti di Udine, alla quale si deve l’idea originale delle “Statue parlanti” e l’organizzazione delle visite e del libro. I Musei non vanno solo visti, ma anche ascoltati. Ogni statua, ogni opera esprime l’individualità di un pensiero, di un carattere, di un’esistenza, sia pure appartenente solo al mito. Io, lo posso assicurare, ho scoperto che fermandomi ad ascoltare le loro voci, le loro storie, i loro problemi … si riceve tutto chiaramente. Chiaro e forte. E’ come in tutte le favole: è necessario crederci perché diventino vere ...

Ci può anticipare se Anche le statue parlano continuerà a vivere anche in nuove forme, magari in altri contesti o formati narrativi?

Anche questo avverrà certamente … ma è in parte già avvenuto: nella Casa Colussi Pasolini a Casarsa, oggi sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, abbiamo portato, e riporteremo Anche le stanze parlano. E a Gorizia, nella storica piccola strada centrale Via Rastello, abbiamo già effettuato ben ventiquattro repliche di Anche le strade parlano. Al Museo di Storia Naturale di Udine abbiamo realizzato (in assenza di statue …)…

Fattitaliani

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