Foto da https://danielberrigan.org/
“Abbiamo scelto di essere criminali impotenti in un’epoca in cui i potenti commettono crimini.” Daniel Berrigan
Nel pantheon degli spiriti liberi del Novecento, Daniel Berrigan occupa una nicchia che brucia come brace sotto la cenere: poeta, sacerdote, profeta, attivista. Un uomo che ha fatto del Vangelo un coltello e della poesia un atto sovversivo. Nato nel 1921 a Virginia, Minnesota, gesuita dal 1952, apparve anche in un film – The Mission di Roland Joffé – ma il suo vero palcoscenico fu la Storia, e il suo copione, il fuoco.
“Priest, Poet, Prophet & Peacemaker”, titolava la stampa americana. E ancora: legendary. Eppure, Berrigan non desiderava essere un’icona. Desiderava disarmare il mondo. Davvero. Lo fece nel maggio 1968, insieme al fratello Philip e ad altri attivisti cattolici, gettando nel fuoco – alimentato da napalm – centinaia di documenti della leva militare, davanti alla sede della commissione di Catonsville. In piena guerra del Vietnam. Arrestato, condannato, si diede alla fuga. Inserito nella lista dei più ricercati dell’FBI, fu catturato nel 1970. “Un potere coercitivo – disse – merita una risposta incendiaria.”
Ma Berrigan non era un agitatore. Era un mistico armato di carne, un credente che si lasciava trapassare. Fondatore, nel 1965, della “Clergy and Laymen Concerned About Vietnam” assieme a Thomas Merton, Richard Neuhaus e Abraham Heschel, predicò contro ogni guerra: dal Vietnam al nucleare, fino alle battaglie per i malati di AIDS negli anni Novanta. Fu arrestato per l’ultima volta nel 2006. Morì nel 2016, quasi centenario, fedele al suo fuoco.
E poeta, sempre. Per Kurt Vonnegut, “Daniel Berrigan è Gesù poeta”. In effetti, la sua poesia è attraversata da una spiritualità scarnificata, fatta di ascolto, di morte, di invisibile. Più simile a Thomas Merton che al barocco Gerard Manley Hopkins, più terra che dottrina. Time without Number, il suo libro del 1958, fu finalista ai National Book Awards. Lo fu ancora nel 1970 con False Gods, Real Men. Ma il suo vero premio era l’attenzione delle foglie, il fremito delle pietre, il sussurro dei morti.
Scrisse versi come questi:
Vorrei che fosse possibile con rade parole dichiarare il mio compito: pura al di là di ogni indagine, la quercia offre le sue foglie, ed è grata...
O come:
Perfino le radici, legate mani e piedi, odono, si impennano cruciformi e attendono che l’incantesimo si spezzi...
La sua voce poetica non gridava. Era cenere e brace, vento e parola. Proclamava una fede povera, impastata di sangue e compassione. Una fede che afferra la mappa del secolo “in sangue” e sussurra: “inizia il tuo viaggio verso casa, nella terra dell’ignoto”.
In un ipotetico dialogo con Italo Nostromo, poeta contemporaneo dell’ombra e della soglia, Daniel Berrigan potrebbe ancora spiegare tutto questo con la semplice forza di un uomo che non ha mai tradito la propria voce.
Dialogo nella navata vuota
Una chiesa sconsacrata, notte, vento tra le vetrate rotte. Una candela accesa. Daniel Berrigan e Italo Nostromo siedono su due panche di legno.
La candela vacilla. Fuori il vento passa tra i vetri rotti. Dentro, restano le parole, come pane spezzato.
Carlo Di Stanislao