L’opera di Hans Ruedi Giger

 

Foto da Facebook

“Quando ho visto i disegni di Giger, ho capito che stavo guardando i sogni di un altro mondo. Era l’artista perfetto per creare il mio Dune.” Alejandro Jodorowsky

Hans Ruedi Giger (1940–2014), artista svizzero dallo stile unico e perturbante, è stato uno degli immaginari visivi più iconici del ventesimo secolo. Pittore, scultore, designer e visionario, ha saputo dare forma a un universo che coniuga l’organico al meccanico, la carne alla macchina, l’umano al mostruoso. La sua influenza è visibile ovunque: nel cinema, nella musica, nell’arte contemporanea, nella performance e perfino nell’architettura.

Ma Giger non ha solo illustrato l’oscurità. L’ha resa simbolo, mitologia, estetica.

Il linguaggio biomeccanico

Lo stile di Giger, definito “biomeccanico”, è una fusione di elementi anatomici, sensuali, macchinici e scheletrici. Il suo tratto aerografato, levigato, quasi liquido, restituisce immagini in cui il metallo sembra pulsare e la carne si fa acciaio.

I suoi quadri — cupi, erotici, alienanti — esplorano la nascita e la morte, il desiderio e il terrore, la macchina e il corpo. In questo dialogo fra l’umano e il tecnologico, Giger ha saputo anticipare molte delle angosce contemporanee: dalla disumanizzazione alla fusione con l’intelligenza artificiale, dalla perdita dell’identità all’invasività del controllo.

Dune: il film mai nato che cambiò il cinema

Uno dei capitoli più leggendari della carriera di Giger fu la sua collaborazione con Alejandro Jodorowsky per l’ambiziosissima trasposizione cinematografica del romanzo Dune di Frank Herbert.

Nel 1975, Jodorowsky riunì un gruppo di creativi straordinari: Moebius, Chris Foss, Dan O’Bannon, i Pink Floyd, Salvador Dalí. A Giger fu affidato il compito di visualizzare il mondo decadente della casata Harkonnen e il pianeta Giedi Prime. I suoi concept art — castelli organici, troni viventi, architetture ossee — sono capolavori a sé.

Il film non fu mai realizzato, ma quelle immagini influenzarono profondamente Alien (1979) e tutto il cinema di fantascienza a venire. Jodorowsky dichiarò:
“Giger disegnava l’inconscio. I suoi castelli erano viventi e malati. Perfetti per rappresentare un impero corrotto.”

Il documentario Jodorowsky’s Dune (2013) ha restituito al mondo la potenza visionaria di quel progetto abortito, e con esso la portata profetica del lavoro di Giger.

Le incarnazioni di Dune: da Lynch a Villeneuve

Dopo Jodorowsky, nel 1984 fu David Lynch a tentare di portare Dune al cinema. Il film, affascinante ma mutilato, fu un insuccesso. Lynch rinnegò il montaggio imposto dalla produzione, e il risultato è oggi un cult imperfetto.

Nel 2000 e 2003, la rete Sci Fi Channel produsse due miniserie più fedeli al testo, ma con risorse limitate.

Solo con Denis Villeneuve, nel 2021, Dune ha trovato una trasposizione cinematografica ampiamente apprezzata. Esteticamente maestoso, fedele allo spirito del romanzo, ha ridato voce all’epica di Paul Atreides. La seconda parte, uscita nel 2024, ha completato la narrazione con potenza visiva e drammaturgica, consacrando l’adattamento come definitivo.

Eppure, il Dune non realizzato di Giger e Jodorowsky rimane un mito: un’opera che ha influenzato l’immaginario collettivo pur senza essere mai stata proiettata.

Da Dune ad Alien: la consacrazione

Fu proprio grazie alla rete creativa costruita con Dune che Giger entrò nel progetto Alien. Il regista Ridley Scott, colpito dalle sue tavole pubblicate in Necronomicon, lo scelse per progettare la creatura aliena.

Giger creò lo xenomorfo: una fusione di insetto, scheletro, macchina e feto. Una creatura sessualmente ambigua, mortale, perfetta. Ogni dettaglio dell’universo visivo di Alien — uova, navi, interni — porta la sua firma.

Nel 1980 vinse l’Oscar per i migliori effetti speciali. Era l’ingresso ufficiale di un incubo nell’immaginario globale.

L’eredità nella cultura visiva

L’influenza di Giger si estende ben oltre il cinema. I suoi lavori sono custoditi nel Giger Museum di Gruyères, in Svizzera, e visibili anche nei celebri Giger Bar, ambienti completamente immersivi dove l’architettura si fa carne aliena.

Ha ispirato decine di artisti visivi, illustratori, tatuatori, registi, designer. Il suo stile è riconoscibile anche in videogiochi (ScornDoom), videoclip musicali (Korn, Tool, Emilie Autumn), moda, performance e architettura.

Giger e Marina Abramović: tra corpo, rituale e tecnologia

Un’influenza sorprendente e meno nota è quella che Giger ha avuto sull’artista serba Marina Abramović, pioniera della performance art contemporanea.

Pur operando in ambiti diversi, Abramović e Giger condividono una visione estrema del corpo: luogo di trasformazione, dolore, rito e contatto col sacro. In diverse occasioni, Abramović ha citato il lavoro di Giger come una delle più profonde influenze estetiche della sua fase più simbolica, in particolare per la sua capacità di coniugare eros e morte, spiritualità e tecnologia.

Durante una visita al Giger Museum, lo definì “un tempio del subconscio”, riconoscendovi lo stesso intento che guida molte delle sue performance: trasformare il trauma in linguaggio, la carne in mito, il corpo in portale.

Performance come The House with the Ocean View o Spirit Cooking — nelle quali il corpo è oggetto di astinenza, meditazione e mistero — trovano un’eco visiva nell’estetica biomeccanica di Giger, in cui ogni organo sembra sacralizzato o violato.

Entrambi, in fondo, lavorano sull’idea del corpo come antenna: tra mondo fisico e mondo invisibile.

Conclusione

Hans Ruedi Giger è stato più di un artista: è stato uno sciamano dell’immagine. Le sue visioni ci obbligano a guardare dentro ciò che normalmente respingiamo: l’alienazione, l’ibridazione, la fine dell’umano così come lo conosciamo.

Ha immaginato futuri corrotti e sensuali, sacri e mostruosi, regalando alla nostra cultura un linguaggio visivo per parlare dell’ignoto.

Come scrisse lui stesso:
“Nel mio lavoro, do forma visiva ai sogni e agli incubi. Non sono un inventore, ma un esploratore del mondo interiore.”

Epilogo: un altro Dune

Dialogo immaginario tra Giger e Jodorowsky

Una stanza senza pareti. Le ossa diventano archi, il pavimento pulsa lentamente come un cuore dormiente. Luci fredde, sospese nel vuoto. Seduti su troni viventi, Giger e Jodorowsky parlano.

Jodorowsky
(Ha gli occhi che brillano di giovinezza impossibile)
H. R., vecchio amico... sei pronto a disegnare un nuovo universo?

Giger
(Sorride senza muovere il volto)
L’universo è già dentro di noi. Basta aprirgli una ferita. Questa volta, voglio che le città respirino. Che i muri sussurrino sogni ai passanti.

Jodorowsky
Le tue città non respirano. Sanguinano. E vanno bene così.
(Pausa)
Ma questa volta... niente compromessi. Nessun produttore. Solo noi. Io scrivo il Dune che Herbert non osò immaginare, e tu costruisci il pianeta con carne e metallo.

Giger
Sarà un Dune senza eroi. Solo simboli.
Paul non nascerà da un grembo, ma da una macchina uterina senziente.
Gli Harkonnen non useranno armi, ma desideri.

Jodorowsky
Sì! E i Fremen non cavalcheranno vermi...
Ma i loro stessi sogni. Sogni lunghi cento chilometri, con occhi di sabbia.

Giger
E la spezia... non sarà una droga.
Sarà memoria liquida. Distillata dal dolore collettivo.
Solo chi ha sofferto abbastanza può vedere il tempo.

Jodorowsky
(Sorride, solleva le mani al cielo)
Hanno detto che eravamo folli, H. R.
Ma la follia è solo una forma di precisione troppo precoce.
Il nostro Dune non si proietta: si sogna.

Giger
E io disegnerò le loro visioni. Non importa se nessuno lo vedrà.
L’importante è che esista.
Da qualche parte... nello spazio interiore.

Le luci si affievoliscono. Le pareti si richiudono. L’universo ricomincia a battere, lento, biomeccanico.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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